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“Col calcio non ci prendiamo più”. Birindelli: allenatore o ristoratore, ma sempre libero

La nuova sfida dell’ex Empoli, Juventus e Pisa, motivata da una passione, ma anche dalla disillusione verso un mondo che non sente più suo

In tanti di lui ricordano il missile di La Coruna, o la palla messa per Zalayeta al Camp Nou, nella cavalcata che condusse la Juventus in finale di Champions League nel 2003. Alessandro Birindelli è stato uno di quei calciatori che forse passavano inosservati, molta sostanza e poca apparenza: “gregario”, se questa definizione vale ancora qualcosa. Gli inizi a Empoli, poi 11 anni e tre scudetti con la maglia bianconera. E dopo il ritiro, come capita a molti suoi colleghi, il percorso per diventare allenatore. Fin quando qualcosa si rompe e Birindelli non si sente più a suo agio in questo calcio: “Te lo dico alla toscana, non ci pigliamo più“, racconta a gianlucadimarzio.com. Una battuta, dietro la quale però c’è un mondo tutto da scoprire. Fatto di princìpi, integrità, passione, disillusione e, adesso, una nuova sfida. Il mondo di Alessandro Birindelli, che (per ora?) saluta il calcio e decide di dedicarsi alla ristorazione. L’Etoile Restaurant, nella sua Pisa, ha aperto proprio il giorno in cui le restrizioni dovute all’emergenza Covid si sono allentate, lo scorso 26 aprile: un periodo non facile per la categoria, ma questo non ha fermato Birindelli: “No, non chiamatemi ristoratore”, ci dice sorridendo. “Ma questi primi giorni stanno andando bene. L’apertura è stata soft, in famiglia, non potendo fare una grande inaugurazione. Speriamo di poterla fare presto”. E infatti i primi clienti sono stati proprio i giocatori del Pisa, compreso suo figlio Samuele: “Tanti di loro abitano qui in zona e mi hanno fatto una bella sorpresa”. Piatto forte? “Le mitiche, linguine con le vongole veraci. Apparentemente semplici da preparare, ma in pochi le sanno fare come si deve. E il nostro chef per fortuna è tra questi”. Insomma, se capitate da quelle parti, sapete già cosa ordinare.

 

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Alessandro Birindelli, 46 anni

 

“Non ci pigliamo più”

Ma cosa ha spinto Birindelli ad accantonare la carriera da allenatore e dedicarsi alla ristorazione? “In primis la mia grande passione per il mare, la buona cucina e il buon vino. E poi mi piace stare a contatto con la gente, rapportarmi con persone diverse: non è facile accontentare tutti, ma ci si prova. E se arrivano critiche, mi sono già fatto la pelle da calciatore”. Ma non è tutto. Alla base c’è anche uno “strappo” con il calcio: “Ho fatto delle riflessioni. Probabilmente parlo una lingua diversa rispetto alle persone con cui mi devo rapportare, non avverto il giusto feeling. Non voglio fare polemica, ma la mia progettualità e il mio modo di intendere questa professione, non coincidono con almeno l’80% delle dinamiche delle società di calcio attuali”. Facile, allora, pensare che Birindelli se ne vada a cuor leggero. E invece… “Mi pesa tantissimo lasciare il mondo del calcio, perché ho fatto tanti sacrifici per arrivare e affermarmi come giocatore. Vengo da una scuola, come quella di Empoli, che mi ha formato non solo come calciatore, ma soprattutto come uomo. Ho avuto la grande fortuna di avere educatori prima che allenatori, che mi hanno insegnato rispetto e valori oggi sconosciuti”. Un episodio fa capire più delle parole questa visione: 2013, Birindelli — allora allenatore degli Esordienti del Pisa — durante una partita ritira la sua squadra dal campo, in seguito a una lite avvenuta tra i genitori di due ragazzi in tribuna. “Tanti capirono”, ricorda Birindelli, “ma altrettanti mi accusarono di essermi fatto giustizia da solo. Quello era un campionato creato apposta per insegnare il fairplay, non potevo non intervenire. Ma se intervenire significa prendersi delle sanzioni, c’è qualcosa che non va. Gli slogan e le parole non bastano, se poi si permette agli allenatori in panchina di urlare, imprecare e bestemmiare davanti ai bambini e ai genitori di inveire contro squadre e arbitri. Questi atteggiamenti vanno corretti”.

Superlega: oltre schemi e schieramenti

Apparentemente separate, l’educazione e la valorizzazione dei giovani e la creazione di una Superlega europea fanno parte di uno stesso orizzonte. E il pensiero di Birindelli va oltre schemi e schieramenti: “Il progetto in sé poteva essere valido, ma un gruppo di società non può fare come vuole per conto proprio, senza pensare ai danni collaterali di questa scelta. Ma è anche vero che i progetti delle federazioni e delle istituzioni non coincidono con le esigenze delle società. Se i club della Superlega hanno sbagliato sul piano della comunicazione, Uefa e Fifa lo hanno fatto non presentando una contro-proposta valida. Entrambi gli schieramenti sono rimasti sulle proprie posizioni, invece bisognava trovare un compromesso: il problema è reale ed evidente, l’Uefa deve andare oltre gli incontri, gli eventi e le partite benefiche: deve agire, perché a fine anno le società fanno i conti e i passivi a bilancio su qualcuno poi andranno a pesare. Senza dimenticare i calciatori, che non vengono ascoltati e che non possono imporsi del tutto”. 

Nel nome della Juve

C’è stato un Birindelli allenatore, ora un Birindelli imprenditore. E soprattutto, un Birindelli calciatore. E il suo nome è legato, soprattutto, alla Juventus. Ma che idea si è fatto di questa stagione al di sotto delle aspettative, della prima Juve di Pirlo? “Innanzitutto, e mi dispiace, non la chiamerei la Juve di Pirlo. Ritengo Andrea il meno responsabile di questa annata. La squadra non ha identità, non l’ho mai vista aggredire le partite, le manca un’ossatura. Negli ultimi due-tre anni sono stati commessi errori a più livelli, è capitato che l’allenatore venisse scelto dopo i giocatori e che questi non fossero compatibili con le idee di chi stava in panchina. Penso alla scelta di Sarri. Questo è indice di confusione in società: può sbagliare anche chi ha vinto tanto, e prendersi le responsabilità”. Puntare tutto su Ronaldo è stato giusto? “Parliamo di un giocatore fuori dal normale, ma anche di un accentratore. Se l’idea è iniziare un progetto a lungo termine, con giocatori più giovani, Ronaldo non è utile”. 

 

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Semifinale di Champions 2003: Birindelli esulta con Del Piero e Trezeguet

 

La scuola toscana

Alla Juventus, Birindelli ha vinto sotto la guida di Lippi; e vi era arrivato grazie a Spalletti, che ai tempi di Empoli proprio a Lippi lo aveva segnalato. E se — almeno per il momento — non andrà a infoltire la nutrita schiera di allenatori toscani, Birindelli ha le idee chiare sul perché, curiosamente, ora non ce ne sia neppure uno in Serie A (eccetto Semplici, che però è subentrato al Cagliari a stagione in corso). “Spalletti, Sarri, Allegri… sono fuori perché hanno troppa personalità, danno fastidio. Luciano lo vedrei bene a Napoli, ma un po’ dappertutto. È un allenatore molto diretto, a Milano e Roma si è assunto responsabilità e decisioni importanti. Vedo bene anche Sarri a Roma, perché i giocatori si sposerebbero bene con la sua filosofia. Tuttavia, ritengo Fonseca un ottimo allenatore”.

L’esperienza in Zambia

Tra le pieghe della carriera di Birindelli ce n’è una sottile, quasi nascosta: ma è una di quelle di cui è difficile cancellare il segno. Risale all’inizio della sua carriera da allenatore e a un’esperienza come vice di Dario Bonetti sulla panchina della nazionale dello Zambia. “No, non ho conosciuto un nuovo mondo. Ma un mondo vecchio, purtroppo. E noi facciamo finta che non esista: questo è il problema più grosso. Ho visto tanti giovani con la voglia di allenarsi senza strutture adeguate, senza maglie e scarpe addirittura, ma sempre con il sorriso stampato in faccia e la voglia di fare. Ricordo le trasferte in Ruanda, Uganda, Yemen: lì ho capito la fortuna che abbiamo da questa parte del mondo e mi arrabbio quando sento lamentarsi un giovane qui. Il calcio lo ringrazio per tante cose, ma soprattutto perché mi ha fatto conoscere persone con grande bontà d’animo e alle quali bastava un po’ d’acqua per essere sereni”.

 

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Birindelli durante l’ultima esperienza da calciatore, col Pescina in Lega Pro

Non escludo il ritorno

Per un Birindelli che lascia, un altro che resta. Samuele, figlio d’arte, quasi 150 presenze con il Pisa. “Mio figlio ha il suo carattere, la sua testa: non so dove arriverà, ma l’atteggiamento che ha è corretto. Per come sta in campo, in partita e in allenamento, per come si pone verso i compagni. È un ragazzo del ’99, ma ha già tante presenze nei professionisti e sa farsi apprezzare dagli allenatori. Ho provato più emozione per il suo debutto che per il mio con la Juve, di gran lunga“. Facile credergli, se abbiamo un po’ capito di che pasta è fatto Birindelli. Che alla fine non esclude il ritorno, per citare Franco Califano: “Le mie porte per il calcio sono sempre aperte. Ma devo essere libero di denunciare quando qualcosa non va, altrimenti contribuirei al suo male. E non sarei onesto, con me stesso e con gli altri”. Parola di Birindelli. Parola che vale.