Bayern Monaco, la storia di Nagelsmann: da ragazzo malinconico a leader
La storia di Julian Nagelsmann: dal ritiro e la morte del padre fino alla semifinale di Champions con il Lipsia. Chi è il nuovo allenatore del Bayern
Julian Nagelsmann sarà il nuovo allenatore del Bayern Monaco. Se la sua carriera dovesse avere una colonna sonora, sarebbe suonata dai Coldplay.
Le melodie degli inizi del gruppo britannico gli fanno tornare in mente la malinconia del suo addio prematuro al calcio. Gli ultimi album, invece, lo portano dentro un vortice di emozione positive, perché ad oggi il bicchiere è mezzo pieno, viste tutte le soddisfazioni che si è tolto come allenatore.
Un calciatore modello
In realtà parlare di Julian come un soggetto cupo e malinconico non sarebbe corretto. I compagni delle giovanili del Monaco 1860 lo definiscono come un ragazzo caloroso e sempre pronto a scherzare. Il suo modo di rapportarsi con tutti ha aiutato più di qualche giovane calciatore a superare la pressione che di solito fa esplodere i più insicuri negli spogliatoi delle accademy.
Julian era un leader anche sul campo, difensore centrale elegantissimo con un ottimo senso della posizione: “Non l’ho mai visto fare un tackle, era sempre al posto giusto nel momento giusto”. Queste le parole di Christian Trasch, che insieme ai gemelli Bender, Fabian Johnson e Julian Baumgartlinger ha condiviso la gioventù calcistica con il futuro allenatore del Bayern. Tutti sono diventati calciatori professionisti.
Il ritiro e la morte del padre
Tutti tranne Nagelsmann. I continui infortuni al ginocchio e un’operazione non andata a buon fine l’hanno costretto a ritirarsi a 21 anni. Come se non bastasse, poco dopo ha dovuto superare il lutto del padre Erwin, scomparso improvvisamente a 56 anni dopo una breve malattia. Un trauma che l’ha fatto maturare più velocemente rispetto ai coetanei e che forse ancora oggi lo aiuta nel rapportarsi con i suoi calciatori, a volte più vecchi di lui.
Quando si tocca il fondo, non si può far altro che risalire. Dopo lo shock sportivo e familiare, diventa subito il vice della prima squadra del Monaco 1860, ma il suo primo vero maestro è stato Thomas Tuchel. Nel 2007 allenava la seconda squadra dell’Augusta e aveva deciso di assumere Nagelsmann come scouting. Il suo compito era quello di studiare le tattiche degli avversari nella settimana antecedente alla partita, segnando ogni punto di forza e di debolezza dei calciatori rivali: “Ho imparato molto da lui e ho utilizzato il suo metodo come principio base per allenare”.
Dalle prime panchine alla Champions
Arriva poi la chiamata dell’Hoffenheim, che nel 2010 gli dà le chiavi del Under-17. Sei anni dopo, a soli 28 anni, viene promosso come allenatore della prima squadra. Subentrato al veterano Huub Stevens, dimissionario per motivi di salute, in realtà il suo arrivo in panchina era già in programma per quell’estate, ma la chiamata anticipata era necessaria per riempire il vuoto ed evitare la retrocessione.
Il club è al 17^ posto e sembra destinato a dire addio alla Bundesliga. Al termine della stagione, invece, viene raggiunta un’insperata salvezza grazie a 7 vittorie e 2 pareggi nelle 14 partite che Nagelsmann ha avuto a disposizione. Nelle successive tre stagioni con l’Hoffenheim raggiunge prima l’Europa League, poi i preliminari di Champions e infine la qualificazione diretta alla massima competizione europea per la prima volta nella storia del club.
La cura dei dettagli e il caso Gnabry
Traguardi che Nagelsmann è riuscito a guadagnarsi grazie a un’incredibile cura dei dettagli: dallo studio maniacale degli avversari fino all’utilizzo di droni e di un maxischermo impiantato sul campo di allenamento in modo da per poter spiegare scrupolosamente ogni situazione ai suoi calciatori.
Minuziosità e ricerca della perferzione che hanno cambiato il modo di giocare di molti, uno su tutti Serge Gnabry, che ritroverà al Bayern Monaco: “Sapevo che lui fosse in grado di migliorare i giocatori. Ed è quello che è successo con me. Continuava a motivarmi e darmi consigli. Gli allenamenti erano fantastici, mi faceva vedere tantissimi video dicendomi quando e come muovermi sul campo. Ha veramente cambiato il mio modo di vedere le partite”. Non male per uno che a inizio carriera non veniva considerato all’altezza per giocare in Premier League.
Il coronamento con il Lipsia
In due anni è riuscito a cambiare la mentalità di una squadra che era abituata a lottare per non retrocedere e Ralf Rangnick lo vuole come suo successore al Lipsia. Anche stavolta si trova al posto giusto nel momento giusto. Nei Bullen ha la possibilità di approfondire ancora di più il suo stile di gioco: “Mi piace attaccare gli avversari vicino alla loro porta, perché la tua strada verso l’obiettivo non è così lunga se porti la palla più in alto”.
Ed è proprio grazie ad un pressing asfissiante, gioco palla a terra e una continua ricerca della verticalità che il Lipsia negli ultimi due anni è stata la vera rivale del Bayern in Germania, anche a dispetto del Borussia Dortmund. Nella stagione del Covid è arrivato terzo, perdendo solo 4 volte in campionato, e in Champions League ha raggiunto la prima semifinale della storia del club tedesco, eliminando prima Jose Mourinho e poi il Cholo Simeone, due veterani del calcio europeo. E pensare che da giovane lo chiamavano “Piccolo Mou”.
Oggi il Bayern Monaco ha ufficializzato il suo arrivo per la prossima stagione dopo aver pagato i 25 milioni della sua clausola, record per un allenatore. L’eredità di Hansi Flick sarà difficile da raccogliere, ma come cantano i Coldplay: “Potrai diventare qualcuno di speciale, hai un cervello brillante e fulmini nelle tue vene. Andrai più in alto di quanto non siano mai andati”.