60 anni di Pietro Maiellaro: “Ci manca il calcio degli oratori. Oggi giocherei in Nazionale”
Intervista allo “Zar”, tra l’amicizia con Maradona e qualche rimpianto
«Parliamoci chiaro». Lo ripete spesso in mezz’ora insieme al telefono Pietro Maiellaro, adorato negli stadi di mezza Italia tra gli anni ’80 e la metà degli anni ’90. E la chiarezza è stata sempre una sua qualità, in campo come nella vita. Il 29 settembre le candeline sulla sua torta di compleanno sono 60, età ideale per tracciare bilanci, porsi obiettivi e dare valutazioni mai banali. Come quando indossava il numero 10 e tutti lo conoscevano come lo “Zar”. Cresciuto a Lucera, provincia di Foggia. «Non ho grossi rimpianti, sono felice per come è andata e per quello che ho fatto. Nascere nell’entroterra foggiano e far carriera nel calcio certo non era facile all’epoca – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – non ci era mai riuscito nessuno in questa zona d’Italia. Sono fiero e felice di come è andata».
Non ci sono rimorsi, ma nostalgia sì. «Quando ho smesso ho sofferto molto, ora un pizzico di nostalgia c’è per come sta andando il calcio in questo momento. Forse ho fatto parte di un’epoca con grande qualità in campo, oggi a livello economico sarebbe stato fantastico far parte di questo calcio. Giocavo per strada a Lucera e quando eravamo proprio fortunati giocavamo in parrocchia altrimenti pietre o giubbotti per terra per fare le porte, si dribblava tutto a partire dalle macchine che passavano. Era la vera gavetta, imparavi a fare sterzate e cambi di direzione. Oggi manca il calcio degli oratori, quello che ti rende calciatore».
Maradona del Tavoliere e Zar: le due anime di Maiellaro
Icona di un calcio che sfornava talenti, Maiellaro è stato prima il Maradona del Tavoliere e poi lo Zar, ai tempi di Bari. E con il Pibe de Oro ha davvero rischiato di giocare: «C’è stato un momento in cui si pensava che potessi andare a giocare a Napoli – racconta – ogni volta che ci incrociavamo in campo per me era come incrociare un eroe. A lui piaceva che chi aveva i piedi buoni gli potesse stare vicino. C’era un periodo in cui Moggi sperava di potermi portare a Napoli ma non se ne fece più niente». Un ricordo speciale lo lega a Maradona: «Sono stato l’ultimo giocatore ad abbracciare Diego nella sua ultima partita italiana – ricorda – era un patrimonio del calcio mondiale: contro il Bari un mio compagno di squadra lo stava marcando con qualche calcione di troppo, così feci finta di rimproverarlo. Diego mi riprese “Non preoccuparti, lui mena a me e io meno a lui”. Ne ridemmo insieme».
La fuga nel bagagliaio da Taranto: «Faceva talmente caldo che si sciolse la camicia»
Sei anni della carriera Maiellaro li ha spesi nella sua Puglia: due a Taranto, poi il passaggio al Bari. Tornando a casa nascosto nel bagagliaio di una macchina: «Nel nostro piccolo fu simile alla querelle aperta per il trasferimento di Baggio dalla Fiorentina alla Juventus – ricorda – sono stato cinque ore e mezza nella sede del Bari, non volevo firmare. Poi mi chiamò Vito Fasano, all’epoca presidente del Taranto e in lacrime mi spiegò che era necessario che andassi via per permettere alla squadra di iscriversi al campionato con quei soldi. Allora firmai. Il giorno dopo sono dovuto tornare a Taranto, a prendere le mie cose dall’armadietto. Mi hanno nascosto in auto per non farmi riconoscere, perché la gente sotto la sede societaria era inferocita. Quel giorno faceva caldissimo, avevo una camicia di seta di una marca importante e le lettere che c’erano sulla camicia si tolsero per il caldo che faceva nel cofano».
Quel gol al Milan e i ricordi con Batistuta
Non si nascondeva certo in campo, Maiellaro. E tra i gol segnati uno ha un posto speciale: «Sono stati belli tutti ma quello più importante l’ho fatto con il Bari contro Cesena partendo da centrocampo: dribbling, tunnel e fallo evitato – racconta emozionandosi – il difensore avversario provò a chiudermi in scivolata ma non ci riuscì, poi segnai con il sinistro tra le gambe di Sebastiano Rossi». Nella galleria entrano di diritto anche un pallonetto meraviglioso con la Fiorentina contro il Milan (in porta c’era ancora Sebastiano Rossi) a San Siro e un lob dai 40 metri in un Bari-Bologna.
Proprio a Firenze («Tappa particolare, iniziai con una società e quando arrivai ce n’era un’altra. Tra centrocampo e attacco avevamo un’ottima squadra, vivevamo però di fiammate») ha incontrato un giocatore della qualità di Gabriel Omar Batistuta. «Ricordo questo ragazzo che arrivava da un volo lunghissimo e dalla Copa America – spiega Maiellaro – era un lottatore, doveva lavorare tanto sul discorso tecnico e abbiamo lavorato tanto per farlo accettare a livello di spogliatoio. L’abbiamo aiutato e questo ha fatto sì che diventasse il grande campione che è stato. Ha fatto un lavoro straordinario. Ho giocato con tanti campioni del mondo però se devo dire un nome, credo che Joao Paulo sia stato una cosa esagerata. Se non si fosse spaccato la gamba sarebbe stato titolare fisso nel Brasile».
«Io e Giovanni Loseto oggi giocheremmo in Nazionale»
E Maiellaro oggi dove giocherebbe: «In Nazionale? Credo di sì ma non solo io – spiega – Giovanni Loseto in difesa sarebbe in campo con la sigaretta in bocca. Cosa ho sbagliato? Forse qualche decisione presa troppo in fretta, mi sono sempre fidato dell’istinto e magari questo ti induce a sbagliare. Sono sempre stato libero da condizionamenti. Magari se avessi dato ascolto a qualcuno avrei fatto scelte diverse. Non avrei dovuto lasciare Bari, dopo che sono andato via investirono tanto per rifare la squadra, arrivarono Platt, Jarni e Boban. Sicuramente se fossi rimasto saremmo andati a giocare in Europa».
Dai rimpianti di Maiellaro a quelli del calcio italiano: «Viviamo una fase di stallo. Troppi computer, troppa tecnologia, si scelgono i calciatori con gli algoritmi e c’è troppa tattica. Quando escono dai settori giovanili si sentono tutti pronti e invece non è così. Sono tutti uguali. Si fa il giro palla da dietro e non ci sono idee, il portiere tocca il pallone più di un centrocampista. Non va bene. Dico che Guardiola ha portato qualcosa di diverso, ha cambiato il modo di giocare di una squadra ma vorrei vederlo alla guida di una squadra che si deve salvare».
«Neymar mi regala ancora il piacere di vedere le partite»
Nel Barcellona di Guardiola c’era il calciatore nel quale lo “Zar” rivede il piacere di giocare a calcio. «Togliendo Messi che appartiene a un altro livello, credo che la qualità di Neymar ce l’abbiano in pochi. Di giocatori così ce ne sono pochi al mondo, è ad altissimi livelli da 15 anni. Parlo di qualità tecniche, serve gente che ci emozioni. Fa tunnel da fermo come pochi. Se andrei in Arabia come lui? Lì gioca con la sigaretta in bocca, capisco il suo trasferimento: la scelta di Parigi l’ha condizionato. Non sarei mai andato via da Barcellona. Io negli Emirati ci andrei, guadagni bene e ti stressi poco».
Fine della chiacchierata, anzi no. Oggi Maiellaro dopo una carriera da allenatore nel calcio di periferia tra Campobasso, Noicattaro, Apricena, Ascoli Satriano, Pietramontecorvino e le giovanili di Foggia e Bari è nella sua Lucera, dove è stato anche direttore generale del club. Prima di salutarci, però, ci toglie una curiosità. La patente è sempre nel suo portafogli? Ai tempi di Bari non sempre questo succedeva. «C’è stato un periodo in cui non l’ho avuta – sorride – sono stato beccato e graziato, mi hanno voluto bene. Un giorno su corso Cavour a Bari guidavo una Golf. Lascio la macchina in doppia fila e salgo a casa a fare il borsone. Arrivò il carro attrezzi, feci un “casino” con il capo dei vigili urbani e alla fine riuscii ad andare via con la macchina. Non sono mai stato arrogante e questo è stato apprezzato, anche se un paio di magliette le ho regalate». Hanno la firma dello “Zar”. Per tutti, Pietro Maiellaro.