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Bandiera di San Jacinto plasmata da Sarri e Sousa: Inter, ecco “mate” Vecino

“A Firenze sto benissimo”. Sì ma se arriva l’Inter con una valigetta contenente i 24 milioni di clausola… cambiare idea è un attimo. Guardandosi poi intorno e notando quanti ormai ex compagni abbiano deciso di lasciare la Fiorentina, il gioco è fatto. Fugato ogni dubbio, se ce ne fosse stato ancora qualcuno. Matias Vecino ha deciso: sarà un nuovo giocatore dell’Inter. Tempo di un aperitivo milanese con l’agente Lucci e il futuro avversario di derby, Bonucci, ed è già tempo di visite mediche. Poi mancherà solo la firma sul quadriennale offerto dai nerazzurri prima di diventare ufficialmente un nuovo acquisto dell’Inter.

‘Mate’ e ‘Viejo’ dalle origini molisane: chi è Vecino

Pacato, razionale, Vecino. Gli eccessi non fanno proprio per lui. Avete capito, no? Un tipo abbastanza semplice da inquadrare, di quelli considerati più maturi rispetto all’età anagrafica fin da ragazzi. Classe ’91 ma “Viejo” da sempre, l’uruguaiano. Suo soprannome insieme a “mate”, in onore della sua bevanda preferita da gustare nel tempo libero, magari tra una partita di Playstation e l’altra. Anche se il suo grande amore è Luisina, la sua fidanzata. La famiglia prima di tutto: Sudamerica docet. Fin da quando da ragazzino viveva a San Jacinto, a una cinquantina di chilometri da Montevideo: un pueblo, un paesino con meno di cinquemila abitanti, fondato da immigrati italiani – origini molisane, nel caso della famiglia Vecino – che si dedicarono alla coltivazione del grano e della vite. Come molti pueblos dell’Uruguay, San Jacinto ha le sue scuole, il suo municipio, la sua Chiesa, la sua ampia piazza e la sua cancha. Il suo campo da calcio, che però tutti chiameranno per sempre stadio. E la sua squadra, El Rojo, che fu quella in cui Matías inventò le sue prime giocate. Lo portò nel club il padre Mario, che fu giocatore anche del Liverpool di Montevideo, storica società nata in onore del Liverpool inglese, che in Italia abbiamo conosciuto quando la Lazio acquistò da quel club Emiliano Alfaro. Mario era dunque una vera autorità cittadina. La madre Doris, professoressa di inglese, fu però chiara da subito con Matías: se voleva giocare doveva studiare. E quantomeno arrivare al diploma. Matías la prese in parola e da bambino venne premiato tra gli studenti più meritevoli con il Pabellón Nacional, che altro non è che una grande bandiera dell’Uruguay. La piazzò a sventolare fuori dalla finestra della sua stanza, per vederla sempre sognando di difenderla nel mondo quando usciva nel cortile con la pelota una volta finiti i compiti. E così seguì il suo cammino, fin quando, quattordicenne, perse il padre: ucciso da un incidente stradale mentre andava a lavoro. San Jacinto perse il suo idolo e referente futbolistico. Quando gli intitolarono la cancha di 800 spettatori, che ancora oggi si chiama Estadio Mario Vecino, nessuno immaginava che Matías sarebbe diventato il campione che avrebbe fatto conoscere al mondo l’esistenza di San Jacinto. E pensare che per lui scoppiò addirittura una guerra tra Nacional e Peñarol, le due potenze del calcio uruguagio. Il Peñarol annunciò la chiusura della trattativa, ma alla fine a comprare il giocatore fu il Nacional, che poco tempo dopo Vecino avrebbe salutato con un gol al 90′ nell’1-0 sui Wanderers, qualche ora prima di prendere l’aereo per l’Italia. Dove è diventato il giocatore per cui l’Inter ha deciso di pagare ben 24 milioni di clausola.

Il tuttocampista plasmato da Sarri e Sousa

A scoprire Vecino è stato “il direttore Pradè. Giocavo nel Nacional, lui venne in Uruguay, mi incontrò, mi parlò della Fiorentina e io dissi di sì firmando fino al 2018 e sapendo che stavo compiendo un passo importante per la mia vita e la mia carriera”. Gli artefici della sua trasformazione in tuttocampista però sono due allenatori che in carriera di talenti qualcosina hanno dimostrato di capirne: Sarri e Paulo Sousa. In realtà, quando arrivò in Italia, ad attenderlo in maglia viola c’era Montella ma con l’aeroplanino la scintilla non è mai scattata. Troppo acerbo a quei tempi forse, Vecino, per imporsi da titolare in una Fiorentina formato europeo. Meglio mandarlo in prestito. Scelta azzeccata, di quelle che possono far svoltare una carriera: dopo la breve parentesi di Cagliari, ecco l’Empoli. Ad accoglierlo un Sarri versione maestro. Lo plasma. Lo schiera interno in un centrocampo a 3. L’uruguaiano perde qualche chilo e inizia a lavorare ore e ore sui movimenti in mezzo campo. Sarri lo istruisce usando video, disegni alla lavagna, schemi buttati giù sul block-notes e facendogli ripetere allo sfinimento determinati esercizi. Vecino inizia la trasformazione da tuttocampista, processo che Sarri stesso avrebbe voluto ultimare portandoselo con sé anche a Napoli. Senza però mai riuscirci. “Sarri è una persona molto speciale, mi ha insegnato tantissimo, parlavamo di tutto”. Al resto ci ha pensato Paolo Sousa: gli ha cambiato ruolo impostandolo come mediano in un reparto a due e, di fatto, lo ha completato. Fino a renderlo il giocatore osservato da vicino da Conte ai tempi della Nazionale (vista la possibilità di vestirlo d’azzurro per le origini italiane, sfumata poi dopo la prima presenza con l’Uruguay) ma soprattutto voluto fortemente dall’Inter: un centrocampista centrale capace di garantire copertura per la linea difensiva ma abile anche a verticalizzare palla al piede. Insomma, efficiente in entrambe le fasi. Senza dimenticare la media di 11,3 km percorsi a partita: nessuno come lui in viola. “Sousa? Mi ha aiutato tanto a crescere, il fatto che sia stato un grande centrocampista mi ha aiutato ulteriormente. Lui e Sarri sono i due sono i tecnici più importanti della mia carriera”.

Tanto che, proprio grazie a loro, oggi Vecino può considerarsi un giocatore da Inter. Anzi, un nuovo giocatore dell’Inter. Tempo di un aperitivo milanese, delle visite mediche di rito e e quel “a Firenze sto benissimo” sarà solo un lontano ricordo. Sta per iniziare ufficialmente l’avventura nerazzurra: prima però, concedetegli il tempo di un mate.

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di Rosario Triolo