Ruslan Malinovskyi si è preso l’Atalanta
Corre, spinge, lotta, dribbla, tocca decine e decine di palloni, dai sui piedi nasce praticamente ogni azione offensiva dell’Atalanta, almeno fino all’ingresso di Gomez e Ilicic. Parliamo di Ruslan Malinovskyi. Ieri alla prima partita da titolare in Serie A, ha stupito soprattutto per le doti da leader, nonostante sia in Italia da solo due mesi. I compagni lo cercano, sanno di potersi fidare. Rassicurante. Metà bravo ragazzo e metà sergente del centrocampo.
Il giorno dopo la prima da titolare a Bergamo si parla solo di lui. Sicuramente Gasperini non gli ha mai fatto mancare la fiducia: entrato dalla panchina con Spal e Torino, non appena l’Atalanta è andata in svantaggio. Poi a riposo con il Genoa e di nuovo dentro dalla panchina a Zagabria, fino a ieri sera. L’obiettivo è continuare un processo di crescita iniziato ormai sei anni fa, quando ha lasciato l’U19 dello Shakhtar Donetsk – che ai tempi giocava in terza divisione ucraina – per scalare le categorie: Sevastopol prima e Zorja poi, con cui ha giocato per la prima volta in Europa League, prima di trasferirsi in Belgio al Genk.
Perché Ruslan è così. Testa sulle spalle, non cerca gloria o soldi facili. In passato poteva andare in Inghilterra o in Germania, ma ha preferito aspettare. Aspettare per crescere, per farsi trovare pronto quando sarebbe arrivata la chiamata giusta. A 26 anni, dall’Italia, dalla Serie A, dall'Atalanta, nel campionato in cui ha sempre sognato di giocare. Tanto che un anno fa si è fatto promettere dal Genk che, se fosse rimasto per vincere il campionato, a giugno non avrebbero ostacolato la sua voglia di fare il grande salto.
Ci ha provato la Roma, poi era vicinissimo alla Sampdoria. Alla fine ha scelto l’Atalanta, che lo ha reso il terzo giocatore più pagato nella storia del club, dopo Zapata e Muriel. Responsabilità. È arrivato a Bergamo in punta di piedi, con umiltà. Come uno dei tanti. Ma sono bastati pochi minuti di un’amichevole estiva contro il Norwich per capire che no, lui non è uno dei tanti. Quando entri in campo una settimana dopo il tuo arrivo e ti trovi perfettamente in sintonia con compagni che non hai mai visto, non puoi essere uno dei tanti.
Un altro colpo “alla Sartori”. Dal nord Europa, l’ex direttore sportivo del Chievo ha pescato de Roon, Gosens, Hateboer, Freuler, Djimsiti. Tutti arrivati come semi-sconosciuti, tutti titolari all’esordio nerazzurro in Champions League. Mancava Castagne, per infortunio, già compagno di Malinovskyi al Genk.
Gasperini stravede per lui perché può giocare in tutti gli ruoli del centrocampo. Parte come trequartista, riserva naturale del Papu Gomez, ma l’idea è che possa giocare più arretrato, deve solo prendere ancora un po’ di confidenza con il calcio italiano. Calciatore moderno, perché abbina grandi doti tecniche a una fisicità impressionante.
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Un altro allenatore che stravede per lui è Andrij Shevchenko, attualmente CT dell’Ucraina. Non rinuncia mai a Malinovskyi nel suo centrocampo e negli ultimi due anni Ruslan gli ha già regalato tre gol. Il primo proprio contro l'Italia, in amichevole a Marassi. Un po' destino e un po' voglia di stupire in uno stadio – Marassi – in cui sognava di giocare anche con un'altra maglia. L’ultimo, invece, qualche settimana fa contro la Lituania: sassata col mancino dal limite dell’area. Palla nell’angolino, imparabile. E ora Gasperini si aspetta lo stesso.
Perché l’ucraino, questo gran tiro da fuori, con l’Atalanta non l’ha ancora messo in mostra. Aspetta il momento giusto per far esplodere finalmente i suoi nuovi tifosi, che aspettano anche i gol (16, con 16 assist, in 51 presenze l’anno scorso). Ma non c’è fretta, fa tutto parte di un percorso di crescita ben definito. Iniziato in Ucraina, passato dal Belgio e non ancora terminato, anche se gioca in Serie A e in Champions League. Mai accontentarsi, il suo mantra. E Gasperini non vede l’ora di mettergli tra le mani le chiavi del suo centrocampo.