Apocalypse now: pronunciata, sottovalutata, avvenuta. L’incubo-assenza azzurra al Mondiale è servito
Sguardo fisso sul cronometro, tempo che scorre inesorabile. “Non può succedere”, il pensiero ricorrente nella mente di chiunque, finché l’istante più brutto da 60 anni a questa parte nel mondo azzurro diventa inconfutabile attualità. Solo a scriverlo si fatica a crederci, ma per la terza volta nella storia l’Italia non prenderà parte ad un Mondiale: un’assurdità, considerando una coppa alzata solo tre edizioni fa. Cruda realtà, invece, ripensando a quell’”apocalisse” pronunciata spesso in conferenza stampa quasi con leggerezza, ignari di quanto (sportivamente parlando) si potesse andare incontro ad una tragedia sportiva.
Crederci era semplice obbligo. Più forti sulla carta e singolarmente, non evidentemente come gruppo: quello che la Svezia è riuscita a creare, come immagine in un cerchio unito a inizio e fine partita, incollando ed inchiodando ogni ironia su mobili ad una qualificazione apparentemente sogno, realisticamente rivelatasi alla portata. Merito di chi all’inferiorità tecnica ha saputo contrapporre le poche armi a propria disposizione, cavalcando le indecisioni di una selezione azzurra priva di quel carattere necessario per regalare una (e a giugno più) notti magiche ad un paese intero.
Erano in 73mila stasera nel San Siro tricolore: chi pronto a viaggiare da Bari a Catania per vivere un‘esperienza unica diventata incubo, passando dai sorrisi e dagli sfottò prepartita a restare con lo sguardo fisso sul pianto di Buffon, il cui sipario da leggenda azzurra si è chiuso nel modo più ingiusto: dal debutto in uno spareggio mondiale vinto, nel ‘97 contro la Russia, al destino beffardo della serata di San Siro. Gettare spugna e maschera, un po’ come Bonucci nella ripresa: denudarsi completamente di fronte a limiti palesati in maniera evidente, tra campo e panchina, in un fallimento forse senza precedenti. Di fronte al quale nessun supereroe è riuscito, a conti fatti, a salvare una nazione intera da una catastrofe a dir poco inattesa.
Giocare con le parole, ora, diventa più semplice che mai. Fine dell’avVentura, sVentura: chi più ne ha, ne metta. Ma restare indifferenti di fronte ad una sconfitta simile, la cui responsabilità finisce per ricadere su una Federazione intera, risulta impossibile. I volti di Jorginho (mai convocato prima) e Insigne ad aleggiare su decisioni prese in ritardo dal CT o mai concretizzatesi, privando una squadra di una dose di qualità e genio superiore: la non volontà o il mancato coraggio nell’osare e disegnare, rispetto alle qualità del gruppo a disposizione, l’abito più congeniale per raggiungere un obiettivo minimo mancato in maniera clamorosa, di fronte al quale si attende ora solamente un ricambio del CT già scritto.
Una soluzione? Almeno ora, a caldo, difficile pensare esista. L’unico pensiero porta ad una tabula rasa: cancellare l’incancellabile, a livello di una delusione che negli anni resterà fortissima ed indelebile, sa di qualcosa di imperdonabile. Perché se gli occhi cullano lacrime e osservano undici macchie gialle esultare in mezzo al campo, l’udito passa da un inno italiano intonato prima e durante il match al volume crescente di 1500 anime rimaste le uniche a cantare a fine match. È lontano, lontanissimo il ricordo del “popopo” sulle note dei Seven Nation Army, di quelle sere d’estate in cui restare uniti e spingere tutti insieme una nazione calcistica, di fronte ad una pizza e una birra con amici, per stavolta non ci sarà concesso.
Ci mancheranno le cose semplici, quelle che sarebbe stato giusto fare anche in campo: calciando di più, osando di più, ricordando di più. Ciò che l’Italia è sempre stata e che avrebbe dovuto ancora essere: anche stasera, più che mai stasera. Ritrovandosi sì ad abbracciarsi, ma nel modo più triste possibile, attorno all’addio alla Nazionale del proprio Capitano e di pilastri come Barzagli, probabilmente Chiellini e De Rossi. E contemplando qualcosa che non poteva e doveva succedere; ma che per la terza volta nella nostra storia, imperdonabilmente, è accaduto. Apocalypse Now: ora, purtroppo, è così. Nominata, sottovalutata e capace di travolgere un movimento ed un popolo costretto a fronteggiare una delle più grandi delusioni di sempre.