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Rivoluzione Anouk: “Dovevo giocare coi maschi, ora vendono le nostre maglie”

Vent’anni fa in Olanda il calcio femminile non esisteva. Poi è arrivata Anouk Hoogendijk, apripista e modello del movimento: “Parità di genere? È stata dura: da bambine non sapevamo nemmeno cosa poter sognare”

La guardi e dai tutto per scontato. Bellezza, pallone, likes. Il filtro social rende tutto perfetto, pulito. Eppure la storia di Anouk Hoogendijk nasce dal fango e dalle botte agli stinchi. Come quella di ogni calciatrice, certo. Solo che lei è dovuta crescere in mezzo ai ragazzi. “Per forza”, inizia a raccontare l’ex mediano ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com. “Ho cominciato a 9 anni e all’epoca era già tanto trovare una squadra femminile nei dintorni: giocavano tutte insieme, le migliori con le peggiori. Allora mi sono spostata in una maschile. Fino ai 18. Ero l’unica”.

Anouk è olandese, oggi ha 34 anni come Megan Rapinoe e si è ritirata nel 2017. Ma rispetto alla miglior giocatrice dell’ultimo Mondiale, è come se fosse vissuta una generazione indietro. Quando trecce bionde e pallone sembravano ancora un’assurdità: “C’erano un sacco di pregiudizi di genere. Ho imparato a difendere le mie scelte e a convivere tra gli scherzi e le battutine. Apriti cielo. Ve la immaginate, circondata da un gruppo di adolescenti in spogliatoio? “Per fortuna ne avevo uno solo per me. Facevo parte della squadra, ma mi guardavano in modo diverso: dovevo sempre dimostrare tutto”. Sul campo. “Ogni settimana era una battaglia per convincere i compagni delle mie qualità. E quando vincevamo o segnavo, solo allora cominciavano a portarmi rispetto. A capire che non ero pazza, che sarei potuta diventare una professionista.

Anche se la stessa Anouk non aveva esattamente in mente cosa potesse significare: non esisteva un campionato, la nazionale femminile era fuori dai radar. “Niente in tv, niente sui giornali, niente pubblicità. Sono cresciuta con le magliette di Overmars, Litmanen e Davids, il grande Ajax degli anni ’90. “Ho avuto solo calciatori maschi come modelli, trovando la mia strada senza avere un contesto attorno. La verità è che noi ragazze non sapevamo nemmeno cosa poter sognare.


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Un rigore per la storia

Oggi invece le Oranjes sono campionesse d’Europa e vicecampionesse del mondo in carica, il calcio femminile è lo sport che cresce più rapidamente nel paese (160mila tesserate: solo Germania e Svezia in Europa ne contano di più) e all’avanguardia anche in termini di parità di genere. Sembra passata un’eternità. Hoogendijk si guarda indietro e sorride: “Quando gli ultimi anni giocavo nell’Ajax o con l’Olanda c’era il mio nome sulle maglie comprate dalle ragazze: lì ho realizzato davvero cosa siamo riuscite a fare”.

Un percorso lungo una carriera: di questa incredibile transizione Anouk è stata la grande apripista. È stato bellissimo far parte di ogni inizio. C’ero nel primo Ajax, nella prima lega di calcio femminile professionistico, nella prima squadra qualificata ai Mondiali, nella prima agli Europei”. Quella del momento clou, nel 2009: l’Olanda parte da Cenerentola del torneo, si qualifica ai quarti e già così è una bella storia. “Per la prima volta avrebbero trasmesso una nostra partita in tv. Contro la Francia è battaglia, 0-0 dopo 120’ e calci di rigore. Tocca anche a Hoogendijk andare sul dischetto. Un bel respiro, destro a incrociare, gol. È quello decisivo.

“Fino ad allora nessuno ci conosceva, poi quando siamo tornate a casa (l’Inghilterra vincerà in semifinale 2-1, ndr) i tifosi ci hanno accolto in festa. Tutti ne parlavano e ne scrivevano”. Woonderbarlijk succes, titolano i giornali: trionfo miracoloso. Da quel giorno tutto cambiò. La federazione inizia a pagare la nazionale, si riconosce uno sport. Verso il pieno professionismo: l’estate scorsa, su iniziativa di Edwin Van der Sar, l’Ajax ha dato l’esempio adottando l’equiparazione contrattuale tra uomini e donne, con identiche condizioni sul salario minimo.


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“L’ultimo Mondiale? Un’onda da cavalcare per tutte”

Un obiettivo inseguito anche dall’Italia, troppo a lungo rinviato: com’è possibile che ai tempi di Carolina Morace le nostre tesserate erano più di 100mila, cinque volte i numeri di oggi? “Ci vuole senz’altro programmazione”, Hoogendijk prova a spiegare la lezione olandese. “Negli ultimi anni abbiamo investito molto in infrastrutture e realtà locali. Ma la svolta è arrivata con il successo: a volte c’è bisogno della scintilla dei risultati per convincere la federazione a cambiare. E la gente a seguirti. È anche questione di occasioni: “L’Olanda maschile non si è qualificata né a Euro 2016 né al Mondiale due anni dopo. E nel 2017 invece le ragazze hanno vinto l’Europeo in casa: una bella consolazione per il nostro calcio”. La sfortuna di Robben è diventata la fortuna di Miedema. Magari funziona anche tra De Rossi e Bonansea.

“Il Mondiale 2019 è stato un evento senza precedenti”, continua Anouk, che ha accompagnato la sua Olanda in Francia. “Grande seguito mediatico, ottima organizzazione. Una finestra per tutte le nazionali e per questo sport: il pubblico sta cominciando a capire che il calcio femminile è qualcosa di diverso, non ha senso il paragone con i maschi”. Occhio però alla teoria di Andy Warhol: “La popolarità può sgonfiarsi tanto rapidamente quanto è arrivata. Quindi è questo il momento di cavalcare l’onda e alzare l’asticella. Investire sulle giovani.


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Questione di immagine

Anouk oggi è il megafono del movimento. Pioniera del calcio olandese anche come influencer, da oltre 200mila followers su Instagram. “È fondamentale che ci siano dei punti di riferimento, per avvicinare la gente a noi e raccontare delle storie”. Come la sua: figlia di due insegnanti di ginnastica, poi 103 presenze e 9 gol in nazionale, fino a Ballando con le stelle edizione Amsterdam. “E noi dobbiamo essere consapevoli della nostra responsabilità, curando la propria immagine: che tipo di modello essere? Quali messaggi trasmettere? C’è da rifletterci bene”. L’ex calciatrice non ha dubbi: In primis siamo atlete, e poi donne. Quindi vogliamo mostrarci in forma e appassionate: quanto ci alleniamo, quanto ci teniamo e combattiamo per il nostro sport”.

E la soddisfazione più grande, come spesso succede, arriva dai bambini. “Una volta parlavo a un ragazzino dell’Olanda maschile”, Hoogendijk riflette un po’ e ricorda. “Era qualche anno fa, quando aveva mancato quelle qualificazioni importanti. Allora lui rimane a bocca aperta: -La nazionale maschile? Pensavo che la nazionale fosse solo per le donne!-. Alla faccia della parità di genere. La piccola Anouk se la ride: finalmente i sogni hanno una forma.