Alla scoperta del giovane Marotta: l’oratorio, il debito in greco e le lacrime per il Varese. Il ricordo: “Un leader silenzioso, umile e sempre disponibile”
“Papà, mi presti 50 lire? Devo comprare Marotta”. Suona strano, no? Ma è tutto vero: siamo ad Avigno (Varese) all’inizio degli anni ’60, e Marotta è semplicemente Beppe, un ragazzo come tantissimi altri. A raccontare quell’episodio, Mauro Marocco, amico d’infanzia – e oltre – dell’attuale ad della Juventus. “C’era un torneo rionale – racconta Marocco a gianlucadimarzio.com -, e Beppe in quel momento era bravino. Anche se non abitava nel mio palazzo volevo che giocasse nella mia squadra. Allora tornai a casa da mio papà e gli chiesi dei soldi per prendermelo. Mio papà mi prese in giro e non me li diede: alla fine giocò in un’altra squadra e noi perdemmo…”. Mauro e Beppe hanno passato infiniti pomeriggi a inseguire il pallone, che poi sarebbe diventata ben più di una passione per entrambi: ex giornalista il primo, dirigente di successo il secondo. Ma da piccoli, era solo un gioco. Anche se dopo quel famoso torneo, la carriera da giocatore di Marotta non decolla, anzi: “Con il passare del tempo – continua Marocco – non è rimasto così bravo. Anzi, era abbastanza scarso. Però quando giocavamo dimostrava quello che sarebbe diventato: intelligente, anche se in campo era lento come un cammello”.
Un’intelligenza che il giovane Beppe dimostra in ogni ambito, persino in oratorio, luogo di ritrovo per tutti. “Anche lì si intuiva la sua indole. Beppe era molto legato al prete di Avigno, don Ambrogio Cereda. Alla domenica c’era sempre il film all’oratorio: si andava lì e si beveva la gazzosa con la cannuccia. Beppe – assieme all’amico Renzo Guglielmi – era quello che faceva andare il film. Quando c’era qualcosa da organizzare gli davano sempre le responsabilità, di Beppe si fidavano tutti. Ha sempre avuto questo ruolo da leader, ma era una leadership silenziosa, non da spaccone”. E parlando con la gente di Avigno del giovane Beppe, viene fuori sempre una parola: umiltà. Tutti raccontano di come sapesse ascoltare gli altri e quindi agire di conseguenza. E anche se ora è arrivato in alto, non si dimentica del suo passato: “È sempre disponibile ogni volta che Varese lo chiama anche per cose non pubblicizzate. Se può, aiuta sempre: questa è l’immagine che ho di Beppe”.
Marocco e Marotta sono cresciuti assieme, ma per davvero: hanno condiviso 13 stagioni scolastiche fra elementari, medie e superiori – rigorosamente nella sezione F del Liceo Classico Cairoli di Varese – sempre nella stessa classe. Ma contrariamente alle aspettative, Marotta a scuola non andava benissimo, così come il suo amico Mauro: “Nessuno dei due era bravo, eravamo entrambi dei lavativi, ma eravamo comunque brillanti. Siamo stati promossi ogni anno – ricorda Marocco – senza impegnarci più di tanto (ride, ndr). Diciamo che la sfangavamo ogni volta. Mi ricordo di quando abbiamo preso l’esame di riparazione in greco e latino e andavamo insieme a ripetizioni da una professoressa di Bodio”. Probabilmente, più che le lingue antiche al giovane Beppe interessava il calcio. O meglio, il Varese. “Mentre eravamo al liceo, Marotta andava a seguire il Varese come raccattapalle, era molto appassionato del mondo biancorosso. Tutti i giorni era lì a seguire l’allenamento, e pian piano si è guadagnato la simpatia della squadra e della società”.
Da lì, è successo qualcosa di praticamente irripetibile. Per Marotta, è iniziata una sorta di cursus honorum: da raccattapalle a presidente del Varese nel giro di pochi anni, guidato dal desiderio di fare del calcio la sua vita. “Così è diventato magazziniere, poi il presidente Colantuoni l’ha preso sotto la propria ala protettiva ed è diventato il suo pupillo”. Marotta non si è fermato: ha capito che quella è la sua vita e che il suo desiderio da bambino si stava pian piano realizzando. Stava entrando nel campo che da ragazzino vedeva solo attraverso le recinzioni, per non uscirci più. “Ha cominciato – continua Marocco con orgoglio – ad andare alle trasferte: il suo compito era di scaricare le valigie dei giocatori. Non aveva raccomandazioni, solo la sua voglia e una sconfinata passione. Poi è passato ad organizzare gli alberghi, e via via così fino a ruoli sempre più importanti”.
Quasi come il sogno americano: è diventato segretario generale del Varese a soli 23 anni, poi direttore sportivo, direttore generale e presidente. All’età di 28 anni: storie di un altro calcio. Un giornale di Milano titola che Beppe è un predestinato, ed è assolutamente vero. Anche se non mancano i momenti difficili, come quello della retrocessione in C2, proprio nell’anno da presidente. “In quel periodo – ricorda Marocco – facevo il giornalista al seguito del Varese, e quando è retrocesso Beppe si è chiuso negli spogliatoi a piangere. Fuori, tutti contestavano, ma lui non aveva nessuna colpa: gli è stata tirata addosso la croce. Per un ragazzo così giovane è stato davvero complicato”. Ma poi la carriera di quello che era un semplice ragazzo di Avigno ha spiccato il volo. Da raccattapalle del Varese ad amministratore delegato della Juventus: a volte la realtà supera le fiabe. E forse, è proprio per questo che Marotta è arrivato dove è ora: “È una dote enorme – conclude Marocco – perché ha ricoperto ogni ruolo, dal magazziniere al presidente. È la sua forza, riesce a capire tutti e sa come comportarsi con ciascuno, perché sa cosa provano le persone”. E pensare che tutto è partito da 50 lire…
A cura di Luca Mastrorilli