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Ajax, Finlandia e tanti rimpianti: Jari Litmanen, 46 anni da “Re”

Mar Baltico lungo i confini, campetti da hockey. Montagne, alberi, Finlandia. E che inverni da quelle parti. La luce? Un’utopia. Ogni tanto, però, spunta un raggio di sole. A dicembre pochi a dir la verità, 20 ore di luce in tutto il mese. A febbraio un po di più. E 46 anni fa, uno di questi, “battezzo” il piccolo Jari. Mamma Alice accanto a lui. Papà Olavi di fianco. Entrambi calciatori. Nella culla, poi, quello che diventerà il calciatore finlandese più forte di sempre. Nessun raggio fu più fulgido.

In Finlandia, Jari Litmanen è una leggenda. Basta sussurrare il suo nome ed ecco che riemergono i ricordi. Statue, documentari, film. Dediche su dediche. Alcuni conservano la sua foto nel portafogli, altri raccontano le sue gesta ai figli sperando ne raccolgano l’eredità. Altri ancora, spinti da quella nostalgia di chi non ha ancora rotto i fili col passato, riprendono quel vecchio filmato di quando vinse la Champions con l’Ajax nel 1995.

Oggi il “Re” compie 46 anni, di cui 7 trascorsi all’Ajax da stella in ascesa e altri 11 in giro per l’Europa da stella cadente. Arrivato ad Amsterdam come un ragazzino dalla faccia pulita, ne è uscito da uomo vincente e formato. Ma con quel sorriso che ne ha scandito i momenti migliori. Un giocatore silenzioso, timido e pacato. Talmente taciturno che durante il suoi anni all’Ajax preferiva soggiornare nel sobborgo di Diemen, per essere più vicino al centro sportivo. In campo, però, una bellezza. Tant’è che il team manager del club, David Endt, anni dopo dirà: “Aveva 21 anni, ma già allora era noto come il professore per l’attenzione che metteva nei dettagli. Non voleva essere un leader, ma lo era”.

Litmanen, trequartista per antonomasia: giostrava tra le linee come la più lesta delle volpi, approfittando delle distrazioni. Non lo vedevi, né sentivi, per gran parte del match. Poi, all’improvviso, olè. Punturina delle sue. “Ha un’eleganza calcistica fuori dal comune” diceva Van Gaal, colui che per la prima volta lo schierò da trequartista, subito dopo averlo visto segnare 4 gol in allenamento. Ma il suo “padre” calcistico resta Harri Kampman, il primo allenatore del debutto a 16 anni. Il quale, 23 anni dopo, ritroverà a fine carriera. Coi tifosi un’intesa unica poi, tanto da spingere gli ultrà olandesi a dedicargli un coro sulle note di Volare: “Litmaaaanen oooh oooh!”. Nel 1996 fu vicino alla Roma, ma Sensi sentenziò che ‘20 miliardi erano troppi e non se ne fece nulla. La 10 aveva già un nome: Francesco Totti. Ah.

Il regno di Litti terminò col passaggio al Barcellona nel 1999 (dopo 14 trofei con l’Ajax e 130 gol). Una realtà in cui la fantasia viene imbrigliata nella tattica (Riquelme docet). Ma un Re non si piega, fa valere il suo animo libertino. E il divorzio è dietro l’angolo. Nei successivi 11 anni “Mago Merlino” cambia 7 squadre (tra cui Liverpool e nuovamente Ajax), non riuscendo più a ritrovare la continuità di un tempo, complici anche diversi infortuni. Con la Finlandia, però, diventa il recordman di gol (32) e di presenze (137). Lascia il calcio nel 2011, non prima di aver vinto un’ultima Veikkausliiga con l’Helsinki, dispensando sporadici colpi di classe tra rovesciate e roulette.

Cos’è rimasto di Litmanen? Quel dribbling secco nello spazio di un sussulto, la 10 conservata nel museo dell’Ajax, l’intelligenza calcistica, il rimpianto, l’estro, l’umiltà, la nostalgia. Il tipico “se” di chi poteva dare di più. E che si è fermato poco prima. Infine, quel genio inconfondibile che venne dal nulla. O meglio, per dirla alla Le Carrè, semplicemente dal freddo. Auguri Jari.