A tutto Mihajlovic: “Berlusconi venne due volte a Milanello per convincermi a non far giocare Donnarumma”
A tutto Mihajlovic. Dal Sinisa bambino all’allenatore che, in questa Serie A, sta facendo grandi cose col Torino. Passando per l’esordio di Donnarumma, l’acquisto di Romagnoli al Milan e la vita da calciatore. L’allenatore granata ha parlato al Corriere dello Sport, in una lunga ed interessante intervista.
Partendo dalla stagione al Milan: “Quando mi hanno preso volevano un allenatore di personalità e quando uno prendeMihajlovicsa a cosa va incontro – ha dichiarato – Perciò tu non puoi prendere Mihajlovice pensare di far fare come vuoi te. Ci si può parlare, ci si può confrontare, però sono sempre io quello che deve decidere. Quando sono arrivato al Milan ho cercato di ridare nello spogliatoio la cultura del lavoro. E ci sono riuscito. Abbiamo ridotto molto gli infortuni, per esempio Alex, che non aveva mai giocato l’anno prima, con me ha fatto tutte le partite. Le prime sette, otto giornate abbiamo perso tempo perché volevamo provare a giocare quattro tre uno due come voleva Berlusconi, anche se si capiva che non si poteva stare in campo in quella maniera. Poi con il Napoli si è perso e allora ho detto a Berlusconi che io non volevo più giocare così. Quando sono stato esonerato li ho lasciati in Europa League e in finale di Coppa Italia, dopo la partita con la Juve, che forse è stata la migliore della stagione. Donnarumma? L’ho fatto esordire a sedici anni e mezzo, fino a quel momento il portiere titolare era Diego Lopez. Berlusconi venne due volte a Milanello per convincermi a far giocare Diego Lopez. Io ho detto “Guardi ci sono due soluzioni possibili: o lei mi manda via e mette Diego Lopez o io rimango e mettoDonnarummain porta”. Per fortuna sua mi ha lasciato. Romagnoli non lo volevano prendere. Venticinque milioni di euro. Sinceramente in quel momento quella cifra era alta. In quel momento, ma in prospettiva no, tanto è vero che quest’anno era stato offerto dal Chelsea quasi il doppio per acquistarlo. Anche Niang, non giocava mai. Poi con me fu lanciato. Quell’anno doveva essere venduto all’estero, io mi sono opposto e adesso è titolare in squadra. Togli questi tre giocatori e il Milan attuale non sarebbe quello che è”. Tanti calciatori valorizzati da Mihajlovic: «Io penso che per giudicare il lavoro di un allenatore si deve guardare anche questo. Ho fatto lo stesso alla Samp: De Silvestri, Soriano,Eder,Gabbiadini. E lo stesso Torino di ora. Sono cose importanti anche quelle, per la società che si allena”.
E ora il Torino… “Con Cairo mi trovo bene. Lui è uno molto ambizioso, a me piace. Non mi andava di venire a Torino e pensare di salvarmi, io sono ambizioso. E ho trovato in Cairo quello che speravo, ci siamo trovati subito, ci siamo piaciuti subito per la voglia di fare, per quello che avevamo in testa. Benassi e Baselli in Nazionale? Sono sicuramente due giocatori che sposano bene quantità e qualità. Devono migliorare naturalmente nella fase difensiva, tutti e due.Basellisi sapeva che aveva grandi qualità, però era sempre molto moscio, ci ho parlato mille volte poi l’ho fatto uscire anche all’esterno incazzandomi. Adesso ha cominciato a capire e sta migliorando dal punto di vista della personalità, è un ragazzo sveglio. Devono molto crescere, sono tutti e due giovani, ma fanno bene tutte e due le fasi, di possesso e non. Sicuramente sono due giocatori che possono giocare tranquillamente in Nazionale e possono essere la base del futuro centrocampo, perché hanno tutte le carte in regola per farlo”. E Belotti? “E’ forte perché ha fame. Ed è migliorato tantissimo. E’ uno che non si risparmia mai, neanche in allenamento. E lui sa che deve ancora crescere. Ma la cosa fondamentale è che lui non deve perdere l’umiltà e la cattiveria che ha. Ho avuto la fortuna di conoscere anche i genitori. Persone umili. A fine anno, se continua così, sarà a tutti gli effetti il miglior attaccante in Italia”. Sullo spirito Toro: “Dico sempre ai miei giocatori che noi dobbiamo seguire due principi. I principi morali che distinguono la storia del Toro e i principi di gioco che sono quello che dobbiamo fare. Io quando ho firmato sono voluto andare subito a Superga per vedere e per capire e nei prossimi giorni voglio portare qualche giocatore perché assorba quei valori. Sento mia la storia granata perché io sono fatto di carattere, di sangue, di passione, di sofferenza. Io ho i sogni, non sono un sognatore, ho mangiato pane duro perciò so come si arriva a fare certe cose. Una volta ho detto che per un toro non c’è un’arena amichevole: per il toro quando va nell’arena vincere o perdere cambia tutto, perché significa morire o vivere. Poi dobbiamo saper giocare bene perché mi dispiace che quando si parla del Torino ci si riferisca solo alla grinta e al carattere, perché questo Torino ha anche i suoi principi di gioco, ha anche organizzazione e qualità. Il futuro? Ci vuole tempo e bisogna fare passo per passo. Ma bisogna sempre alzare l’asticella: prima nessuno diceva Europa, io l’ho fatto e ci credo e sono contento che ora comincino a farlo anche i dirigenti o i tifosi, perché significa che stanno acquisendo stima e fiducia. Perciò per noi perdere a San Siro o pareggiare con la Lazio non deve essere un’abitudine, noi ci dobbiamo incazzare perché possiamo fare di più. Per me non è normale perdere a San Siro o pareggiare con la Lazio. Io voglio vincere, poi si può anche perdere, ma c’è sempre modo e modo di perdere”. Sui giovani del campionato: “Quelli dell’Atalanta. Ce ne sono due o tre che sono molto bravi. Conti,Kessie,Gagliardini. E, nel Milan, Calabria, che esordì con me, e Locatelli. Ci sono un sacco di giovani giocatori capaci, bisogna solo avere il coraggio di farli giocare”.
Sul litigio con Vieira: “Dopo quella storia siamo diventati amicii. Tanto è vero che lui, anche se era infortunato, è venuto alla mia partita d’addio al calcio. Non gli ho detto negro di merda, gli ho detto nero di merda. Io penso che tutto quello che succede in campo deve rimanere in campo e poi deve passare. Poi lui quando è tornato in Inghilterra ha detto che io gli ho detto negro di merda. Io potevo dire tranquillamente che non era vero. Non sono fatto così e ho confermato: sì, gli ho detto nero di merda. Ma la mia offesa non era nero ma era merda. Perché nero di merda è razzismo e zingaro di merda non è razzismo? Che cambia? Non cambia nulla. Io ho tanti miei amici che sono neri. Io comunque con tutti sono in buoni rapporti e quando ho avuto qualche problema hosempre detto le cose in faccia e sempre affrontato i problemi da uomo, e non da codardo. Se c’è stato qualcuno con cui poi non ho fatto pace? No. Per esempioMutual quale ho sputato, cosa che non avrei dovuto fare. Io sono andato a Firenze, lui era giocatore ed era preoccupato. Ma io gli ho detto guarda non ti angosciare, è stata colpa mia. Tu sei stato bravo a provocarmi, io sono stato coglione e ti ho sputato. I giocatori stessi sapevano come ero in campo e venivano a provocarmi, così come tante volte io andavo a provocare loro. Una volta mi ricordo di Bierhoff che è stato astuto. Ero nella Lazio, abbiamo giocato con Milan e c’era il bombardamento su Belgrado in corso. Quando giocavo avevo bisogno sempre di avere qualche nemico per poter rendere al massimo. Ma Bierhoff, furbacchione, viene prima della partita e mi dice “Guarda, ti voglio dire una cosa: mi dispiace tantissimo per quello che succede nel tuo paese perché non ve lo meritate. Io sono con voi”. Io lo guardo e gli dico grazie. Lui va via e io mi dico: ora come cazzo faccio, non posso menarlo dopo che mi ha detto questo del mio paese. Insomma sono rimasto là senza menare, deluso”.
E poi Mihajlovic ricorda il piccolo Sinisa: “Andavo molto bene a scuola, ho fatto 12 anni. Da noi si fanno otto anni obbligatori, poi ci sono quattro anni delle medie e poi vai all’università. Danno voti da uno a cinque e io tutti e dodici anni avevo sempre cinque. A sei anni ho cominciato ad andare a scuola e ho vinto un premio letterario. Una premessa: sono nato a Vukovar però ho vissuto aBorovoche è il vecchio Bata, quello famoso per le scarpe. Mia madre lavorava lì. Vinsi questo premio letterario e vennero quelli del giornale locale per chiedere, a chi aveva vinto, cosa volesse fare da grande. Io ho detto che volevo fare il calciatore professionista. Fino a quattordici anni, quindici anni giocavo solo a scuola, non avevo nessuna squadra e ho fatto la prima partita per la nazionale croata non avendo nessuna squadra. Sono nato in una famiglia povera, mia madre lavorava in fabbrica e mio padre faceva il camionista. Perciò non avevo neanche un paio di scarpe, tanto è vero che un mio amico che giocava a rugby mi regalò un paio di scarpe, ma erano quelle alte, con sette tacchetti. Allora ho tagliato il primo tacchetto per farne sei. E sono andato a giocare così nella Nazionale croata, con le scarpe da rugby. Poi ho cominciato a sedici anni in serie C e sono stato per due anni il miglior giocatore. A diciotto anni sono andato aVojvodina che è stata la mia prima squadra professionista. Il mio idolo? Ero da sempre tifoso della Stella Rossa e il giocatore che mi piaceva più di tutti era MilosSestic. Quando sono andato aVojvodinail capitano di quella squadra era lui. Mi misero a tavola con lui, non riuscivo a mangiare perché troppo emozionato. La guerra? E’ stata dura per tutti, la prima casa distrutta era la mia”. Poi il trasferimento in Italia, alla Roma: “Ero in trattativa con la Juve perché l’anno prima, con la Stella Rossa, avevamo vinto la Coppa dei Campioni e la Coppa intercontinentale e io ero ben quotato nel calcio internazionale. Con la mia squadra dovevamo andare agli Europei in Svezia e invece ci hanno mandato via per l’embargo e la società, ormai in crisi, ha venduto tutti. In verità Boskov mi voleva portare alla Sampdoria due anni prima, però da noi non si poteva fare perché ai tempi del comunismo un giocatore prima di ventotto anni non poteva andare fuori. Così, dopo l’embargo, stavo valutando la proposta della Juve. Poi, all’improvviso, Boskov è andato a Roma, mi ha chiamato e sono andato perché lui mi stimava e mi sono detto che era meglio andare in una società dove c’era un allenatore che mi conosceva. La guerra? E’ stata dura, figuratevi che la mia casa la distrusse il mio migliore amico. Dopo mi ha spiegato il perché e ha fatto anche bene. Io ero in vacanza ad Ibiza, chiamai a casa e scoprii che c’era la guerra. I miei genitori non volevano lasciare la casa, poi videro il mio amico che iniziava a sparare sulle mie foto. Allora si sono resi conto che tutto ormai era cambiato, sono riusciti a prendere l’ultimo treno utile per fuggire e lui allora ha buttato giù la mia casa. Dentro di me dicevo ma come è possibile che lui lo abbia fatto? Eravamo due fratelli. Tutte le guerre fanno schifo, però questa guerra civile nostra era peggiore di tutte perché tu vedevi all’improvviso due amici, due persone cresciute insieme, che si sparavano uno contro l’altro. Mi disse: “Io ho cercato in tutti i modi di far capire ai tuoi genitori che dovevano andare via, io la casa dovevo buttarla giù perché sennò mi ammazzavano. Sono dovuto andare a sparare sulle foto per fargli capire che dovevo fare sul serio: quando sono andati via ho buttato via la casa. Le mura si rifanno, la vita di due persone no. Perciò ho salvato la vita ai tuoi genitori e anche la mia. Queste guerre civili sono i peggiori crimini. Poi ci sono stati i bombardamenti sulla città dove avevo vissuto, una cosa durissima. Durante la guerra ho vinto la Coppa dei Campioni, durante il bombardamento abbiamo vinto il campionato con la Lazio. Per me andare all’allenamento o giocare la partita era un toccasana perché io in quei momenti mi distraevo, pensavo solo a giocare e a divertirmi. ConStimac, che giocava nell’HajdukSpalato. Noi eravamo cresciuti insieme, perché io sono nato in Croazia e perciò tutta la trafila della Nazionale l’ho fatta con i croati. ConStimac, Allen Boksic siamo cresciuti insieme. Mi ricordo che giocammo la finale di Coppa serba. Era la partita prima di andare a giocare la finale di Champions League. In quel periodo c’era il bombardamento, c’era la guerra, non sentivo i miei genitori da dieci giorni, non sapevo se erano vivi o morti e prima di entrare in campoStimac, per provocarmi, disse: “Spero che muoiano tutti i tuoi aBorovo, spero che li ammazzino tutti”. Io non ci ho visto più, è iniziata la partita e ho cominciato a menare, tanto che alla fine ho preso il rosso. Poi abbiamo giocato tre giorni dopo in campionato e io di nuovo sono stato espulso. Non ci siamo mai più parlati. Poi io sono diventatoCtdella nazionale serba, lui eraCtdella nazionale croata e ci siamo incontrati per una partita di qualificazione. Ma erano passati ormai quindici anni. Allora sono stato io il primo a fare il passo. Tutti sapevano quello che era successo e gli ho detto “Guarda nella vita si cresce, si migliora, si fanno i figli, si fa una famiglia. Si passa sopra, non possiamo sempre pensare a quello che è successo”. Ci siamo poi rivisti anche in una riunione della Fifa dove erano presenti tutti iCt, ci siamo dati la mano e abbiamo fatto la pace. Erano passati quindici anni, perciò abbiamo dato un esempio, anche se io, in quel periodo, lo avrei riempito di botte».
Sugli allenatori: “All’inizio il più importante è stato Petrovic, mi ha preso in C e mi ha portato in A. Boskov mi ha portato in Italia ed Eriksson mi ha allungato la carriera facendomi diventare centrale. Mourinho? ho litigato anche con lui. Fu quando allenavo il Catania. Noi vincemmo 3 a 1, era l’anno deltriplete. Ora non ricordo bene, ma deve essere successo qualcosa sui giornali e allora ho detto che non potevo parlare di calcio con uno che non aveva mai giocato al calcio. Lui ha risposto ricordando una volta che avevo sputato a un avversario, ci siamo presi un po’. Poi ci siamo visti in una riunione ed è venuto lui a salutarmi. E’ finito tutto là, poi sono anche andato a vedere i suoi allenamenti, mi interessavano. E’ un tipo, a me piace come allenatore, quello che fa, è un po’ sopra le righe però lo fa sempre in modo giusto. E’ tutto il contrario di Guardiola. PoiMourinhoo lo ami o lo odi, non c’è una via di mezzo.MourinhoèMourinho. Anche se adesso ha un po’ di problemi, è stato ed è uno dei più grandi allenatori in circolazione”.