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A tutto Gullit: “Mi voleva la Juve, ma scelsi il Milan. Che bello giocare alla Samp. E al Chelsea mi hanno fatto fuori”

Una carriera da fuoriclasse assoluto vissuta sempre al massimo. Giocate straordinarie e aneddoti da raccontare, per uno dei più grandi talenti transitati nel nostro campionato negli ultimi 30 anni. E’ Ruud Gullit, intervenuto questa sera ai microfoni di Sky Sport. Tanti gli argomenti trattati dall’ex campione olandese, a partire dall’avventura in Italia, dove ha vestito le maglie di Milan – vincendo tutto – e Sampdoria. “Giocare in Serie A è stato incredibile, tutti i fuoriclasse del mondo in quel periodo si trovavano in Italia – ha detto Gullit -. Ho imparato tantissimo. Il mio arrivo? Inizialmente mi voleva la Juventus. Quando ero al Psv un nostro dirigente aveva una idea di Super League, la Juve voleva partecipare solo perché volevano me. Loro avevano vinto tanto, il Milan non aveva vinto niente. Così ho preferito andare in una squadra che ancora non aveva vinto. Con il Milan avevamo un modo di giocare già all’avanguardia, in quel periodo le squadre avevano degli attaccanti che stavano fermi ad aspettare il pallone, da noi invece non si poteva fare. Dovevamo iniziare il pressing da subito. Il Milan ha sempre fatto di tutto per mettere i propri giocatori nelle condizioni di fare meglio, per questo è stato molto avanti”.

Capello o Sacchi? Tutti e due bravi allenatori, ma diversi. Per me, a livello personale, non c’era differenza tra i due. Con Capello ho avuto qualche discussione, avevamo opinioni diverse e ci siamo scaricati un po’ di parole. Lui poi ha raccontato questo episodio nello spogliatoio del Real Madrid, invece al Milan nessuno parlava di quello che succedeva nello spogliatoio. E’ una regola del calcio, non deve mai uscire niente di quel che succede negli spogliatoi per essere vincenti. Ci sta che succedano certe cose, si deve litigare, nel calcio non è importanti essere amici ma bisogna sempre rispettarsi. Al Milan questa cosa funzionava al massimo. Sacchi? Lui aveva talmente tanto stress per le partite che, in ritiro, sperava sempre di beccare qualcuno sveglio anche di sera per parlare di calcio. E’ una brava persona e un grande conoscitore di questo sport, ha dato molto al calcio italiano e ai suoi giocatori. Quando sono arrivato al Milan era tutto molto serio, io invece cercavo di essere sempre allegro. Era il mio modo di scaricare la tensione. Ma c’era una cosa che proprio non sopportavo. Quello che odiavo di più nello spogliatoio di San Siro era il bagno: c’era la turca, così anche nell’unico posto dove si può stare rilassati dovevo sempre stare in tensione…

Mi è piaciuto molto anche stare alla Sampdoria – ha aggiunto l’olandese -, ho giocato 7 anni nel Milan e mi sono reso conto che le squadre che giocavano contro i rossoneri non concedevano mai spazio, invece contro la Samp giocavano diversamente, in maniera più aperta. Nel Milan al massimo ho fatto 9 gol, invece alla Samp ne ho messi a segno subito 15 al primo anno. E poi c’era Mancini che era un grande giocatore, uno di quelli che non ha dato realmente quello che valeva. Era molto più forte di quanto la gente pensasse. I difensori in Italia? Bergomi era bravo, mentre uno che mi menava era Riccardo Ferri (ride, ndr). Comunque erano tutti corretti, l’unico che ogni tanto non era corretto era Passarella”. E sul momento attuale della nostra Serie A? “È difficile dare un giudizio corretto sul calcio italiano quando non lo segui tanto – chiosa Gullit -, dall’esterno ad esempio si vedono sempre gli stadi vuoti. L’unico stadio pieno è quello della Juventus e questo è importante. Penso che questo campionato stia pagando anche un periodo economico non facile”.

In chiusura anche un aneddoto legato all’esonero sulla panchina del Chelsea: “Quando si diventa allenatori capita di prendere delle decisioni non molto popolari, la cosa importante è fare scelte oneste. Alcuni giocatori li avevo avuti come compagni, poi sono diventato allenatore – racconta l’olandese -. Al Chelsea è stata una situazione strana: una volta mi interessava Laudrup, ma ad un certo punto non ho saputo più niente. Vialli e Zola avevano già parlato con Laudrup e facevano il mio lavoro, io invece non sapevo nulla. E così il giorno dopo sono stato esonerato. Ma la mia rabbia non era verso Zola o Vialli, ma verso un dirigente che stava sempre con me e che non mi ha mai detto niente. La società mi proponeva giocatori che io non volevo, per questo ho avuto la sensazione di essere un ostacolo, forse c’erano degli interessi particolari da parte di qualcuno. E’ andata così”.