A scuola di “Dezerbismo”
De Zerbi analizzato nel dettaglio: tutto ciò che c’è da sapere sull’allenatore capace di trascinare il Sassuolo fino al terzo posto in questo avvio di Serie A e sul “Dezerbismo”
Il miglior calcio d’Italia. Il Sassuolo. Roberto De Zerbi come minimo comun denominatore. Se dalle parti del Mapei Stadium sta per avere inizio una nuova era dopo quella magnifica difranceschiana, il merito è del trentanovenne allenatore bresciano. Frutto di un gioco già ben distinguibile, di un terzo posto in classifica e del miglior attacco della Serie A (14 gol). #Dezerbismo è già in tendenza su Twitter. E prossimo ad entrare nell’enciclopedia Treccani, proprio come il “sarrismo”.
A Sassuolo stanno realmente comprendendo il perché a Foggia De Zerbi fosse venerato quasi quanto la Madonna dei sette veli. Lo stesso motivo per cui chi è stato allenato da RDZ lo definisce passionale come il ‘Cholo’ – perché sa farsi trascinare dalla passione durante i momenti chiave dei match, anche sul piano emotivo – e intenditore di calcio come Guardiola. La strada per entrare nell’Eden insieme ai due mostri sacri appena citati è ancora lunga, ma i presupposti ci sono tutti. A 39 anni. Considerando da dove è partito: Darfo Boario 2013/14, squadra di Serie D che, per uno strano scherzo del destino, veste proprio i colori neroverdi.
Non è un dettaglio trascurabile che Ramon Planes, ds del Barcellona, lo stimi a tal punto da essere stato ripreso in tribuna al Mapei Stadium in occasione di Sassuolo-Genoa. Il dirigente blaugrana si è detto intrigato da quell’allenatore maniaco del dettaglio: ossessione imprescindibile per diventare un grande della panchina. Dicono che De Zerbi non sia mai sazio di apprendere e studi le partite sia di giorno sia di notte. Proprio come Arrigo Sacchi: suo estimatore numero uno, che avrebbe voluto portarlo anche in under e col quale si confronta spesso.
Capace poi di creare la giusta alchimia col gruppo a disposizione, lavorando molto sulle motivazioni, l’ex Benevento. Anche con toni duri e alzando la voce, quando necessario. Ma sempre col rispetto alla base di tutto. Pensate che in occasione delle finali playoff affrontate col Foggia nel 2016 mostrò ai propri giocatori un video motivazionale prima del fischio d’inizio con i gol della stagione e vari video messaggi creati dalle rispettive famiglie. Convincente e toccante allo stesso tempo.
De Zerbi conosce nel dettaglio i propri calciatori, anche perché adora sceglierli lui stesso. Li vuole specifici per il proprio tipo di calcio: li preferisce adatti piuttosto che il classico nome da prime pagine. Con questo Sassuolo, per la prima volta in Serie A – rispetto a Palermo e Benevento, dov’era entrato in corsa –, ha potuto consultarsi in prima persona con la società sulla campagna acquisti e i risultati lo stanno ripagando.
Lui, bresciano e tifoso del Brescia fin da bambino come tutta la sua famiglia (e in particolare il padre) aveva ricevuto in tempi non sospetti l’offerta di Cellino che voleva a tutti i costi portarlo sulla panchina della squadra della sua città. Un onore non da poco, ma De Zerbi non intravide i giusti presupposti tecnici per costruire un progetto adatto alla sua filosofia di calcio. Così non se ne fece niente. Quando si dice mettere davanti il proprio credo rispetto al cuore, laddove molti avrebbero firmato a scatola chiusa. Molti, ma non Roberto De Zerbi.
Il “dezerbismo” nel segno della scuola olandese
Chi conosce De Zerbi, sa che è uno con cui è difficile scendere a compromessi. Il suo credo calcistico come una religione che a Sassuolo ha trovato terreno fertile per essere professata. La filosofia del vincere grazie al talento e al lavoro, perché farlo con le barricate non appaga. Quella che in un certo senso trae origine dalla scuola olandese di un profeta chiamato Johan Cruijff.
Coprire il campo in maniera totale, dove tutti possono far tutto: quando c’è uno spazio libero dove giocare palla, De Zerbi vuole che qualcuno lo occupi immediatamente. I giocatori non interessati alla costruzione del gioco devono smarcarsi per offrire linee di passaggio. In costruzione invece, l’obiettivo principale è il passaggio tra le linee: bisogna muovere la palla, senza forzare la giocata ma cercando passaggi preferibilmente corti con palla a terra. La palla si alza solamente per creare degli uno contro uno o per fare un assist.
Un calcio fatto di princìpi, in cui è compito dell’allenatore trasmettere ai propri uomini concetti e soluzioni interpretabili a seconda della situazione. Perché il calcio va letto e, appunto, interpretato. Senza vincolarsi mai a un solo e unico sistema di gioco: sarebbe un limite troppo grande. Serve acquisire conoscenze.
Sono gli undici in campo i veri protagonisti, poi: quelli che per poter arrivare al lieto fine devono sapersi collegare tra loro grazie a un filo conduttore comune. Il coraggio di giocare palla, di tenerla e di divertirsi giocandola. Un credo, appunto. Che ovviamente può sempre essere migliorato grazie alle idee. Ma modificato mai.
Tutto racchiuso nel libro sacro del “dezerbismo” che domenica sera, contro i diavoli rossoneri, è chiamato all’ennesima prova del nove. Proprio col Milan, club nel quale De Zerbi crebbe col numero 10 sulle spalle durante l’intera trafila nel settore giovanile, senza però mai riuscire ad esordire. Di fronte a quel Gennaro Gattuso con cui nel 2016, in occasione della finale playoff tra Pisa e Foggia, venne quasi alle mani. Acqua passata tra i due, anche se De Zerbi al ‘Ringhio’ rossonero nella scorsa stagione col Benevento fece due scherzetti non da poco: il primo pareggiando in extremis grazie al gol di Brignoli; il secondo con la vittoria a San Siro per 1-0 nel girone di ritorno.
‘Anti’ Zeman con Pep e Bielsa come maestri
Fa abbastanza sorridere pensare che nel 2013, appena qualche anno prima dello screzio in occasione della finale playoff, De Zerbi e Gattuso avevano affrontato un viaggio insieme in Germania per assistere agli allenamenti del Bayern Monaco di Pep Guardiola. Il catalano è sempre stato un punto di riferimento per De Zerbi, se non il punto di riferimento vero e proprio. Discepolo principe di quella scuola olandese tanto cara all’allenatore del Sassuolo, Pep.
Il trentanovenne bresciano al ritorno dal viaggio si disse estasiato. Non gli pareva vero di aver potuto osservare da vicino un uomo come Guardiola con una passione così sconfinata per il lavoro di allenatore, tanto da calcolare addirittura il tempo in cui riusciva a non a pensare al calcio durante la giornata: non più di 40’ totali! Dopo le sedute di allenamento, Pep nel suo ufficio personale mostrava tutta la programmazione della stagione: così corposa, minuziosa e dettagliata da impiegare ore e ore per leggerla tutta. Ma talmente interessante da non osare nemmeno interromperlo, anche quando era ora di andare a dormire.
Tuttavia RDZ non studia solo il tiki taka di Guardiola. Altri allenatori che stima molto sono Gasperini, Tuchel, Luis Enrique, Giampaolo, Sarri, Spalletti, Paulo Sousa, Nagelsmann, Favre e Schmidt. E ovviamente il ‘Loco’ Bielsa: suo mentore alla pari di Guardiola. “Dicono che è matto, ma forse sono gli altri ad esserlo. È uno scienziato del calcio e una persona d’altri tempi. Più scientifico rispetto a Guardiola, che è un genio”.
Invece, a chi afferma che il suo gioco assomigli molto a quello di Zeman, risponde di sbagliarsi di grosso nonostante consideri il boemo un altro grande maestro di calcio. “La sua idea è quella di un gioco più in verticale e codificato. Io preferisco che i miei abbiano la palla tra i piedi”. In tre parole: “Siamo agli opposti”. De Zerbi spera però di riuscire ad essere ricordato un giorno per il gioco divertente ed efficace espresso con una provinciale ma in grado di opporsi a chiunque, proprio come il Foggia della Zemanlandia. Vorrebbe dire che questo suo Sassuolo plasmato dal “dezerbismo” continuerà ad esprimere il miglior gioco d’Italia ancora per molto.