6 aprile 1994: Italia-Pontedera 1-2. “E il Brasile non accettò la sfida”
L’impresa più incredibile del calcio italiano raccontata dalle voce dei protagonisti di quella partita. Quando la gazzella sbranò il leone. Cento giorni prima di un fax alla federazione brasiliana. Per giocare la “finalissima” a Pontedera
Era un mercoledì, quel 6 aprile. Serenata rap in tutte le radio, la Pasqua passata da tre giorni, l’eco di un colpo di fucile a Seattle che si porta via Kurt Cobain e la sua solitudine. Uno sparo partito martedì 5 e scoperto solo venerdì 8. Niente resurrezione per il dio del grunge, purtroppo.
Restano ceneri, sue e della Prima Repubblica, sbriciolata dalle elezioni politiche di dieci giorni prima. Le ha vinte Silvio Berlusconi, con un nuovo partito chiamato Forza Italia. Invocazione calcistica, nell’anno del mondiale. La sua “discesa in campo”: una serpentina e una slavina. Crollano ideologie e certezze. Forza Italia va al governo.
Quel mercoledì, a Coverciano, non c’è nessuno a gridare forza Italia.
Amichevole a porte chiuse: la nazionale di Arrigo Sacchi contro il Pontedera di Francesco D’Arrigo. Quasi un’omonimia ribaltata. Forse già un presagio. Perché quel giorno una squadra di C2 ribaltò ogni logica. Leoni e gazzelle su un campo di calcio. Protagonisti di uno scontro impossibile. Da raccontare, perché quelle prede non si limitarono a correre davanti ai predatori. Un’ora e mezzo di pressing, togliendo loro fiato e idee. Due graffi e alla fine lo scalpo. Italia-Pontedera 1-2, mettetevi comodi.
D'Arrigo, l'uomo che mise in fuorigioco l'Arrigo. "Facevamo rombo e raddoppi". E l'aerobica
“Sacchi mi chiese di giocare come la Norvegia, avversario che avrebbero trovato al mondiale: pressing asfissiante e raddoppi continui. Non era un problema: giocavamo sempre così”. Venticinque anni dopo, la voce di Francesco D’Arrigo brilla ancora d’orgoglio. “Un evento forse irripetibile: una squadra di C2 che vince contro la Nazionale. Meritatamente, aggiungerei”.
Questa era la formazione dei leoni azzurri (4-4-2)
Marchegiani (Peruzzi); Panucci, Maldini, Costacurta, Baresi (Negro); Donadoni, Albertini, Conte, Stroppa (Fontolan); Signori (Massaro), Roberto Baggio (Casiraghi).
Questa invece quella delle gazzelle granata (4-3-1-2)
Drago; Vezzosi, Rocchini, Balli, Allori; Cecchi, Rossi, Pane; Moschetti; Cecchini, Aglietti.
Più Paradiso, Maraia, Pontis, Russo, Coli e Ardito.
I leoni sapete chi sono, le gazzelle probabilmente no. Eppure quell’anno avevano fatto tanto per farsi conoscere. “Eravamo imbattuti nel girone B della C2. Ci allenavamo bene e non perdevamo mai”, racconta D’Arrigo, che in settimana faceva fare anche sedute di aerobica ai suoi ragazzi per migliorarne la coordinazione. Allenamenti extra con un’istruttrice bellissima e molto preparata, almeno così ricordano gli appassionati di Pontedera. D’Arrigo precursore, mica solo per gli step: “Giocavamo col rombo a centrocampo. Non lo faceva nessuno in Italia. Avevo gente coi piedi buoni, era il modo migliore per sfruttarla”.
Qualità e quantità. Il Pontedera arrivò a quel mercoledì con 46 gol fatti e 11 subiti da Giulio Drago, la chioccia. L'unico che aveva già assaggiato grandi palcoscenici. Eppure il gruppo di D'Arrigo era In lieve frenata. Due pareggi prima dell’Italia, “che per noi era un test di lusso prima della trasferta di Montevarchi. E chiaramente non ci preparammo nello specifico. Anche perché avrebbe fatto ridere scrivere alla lavagna come fermare Baggio…”.
Rossi e Aglietti: l'uno-due che fece la storia. "E quell'inutile maxi recupero voluto da Sacchi"
Dopo un quarto d’ora dal fischio d’inizio di Collina, in tanti si resero conto che sarebbe stato inchiostro sprecato. Inutile, perché annullare Baggio e Signori veniva naturale. Poi la gazzella morse il leone.
Minuto 19. Aglietti, prima punta del Pontedera, riceve palla spalle alla porta e inventa un assist per Matteo Rossi, capello lungo e maglia numero 7. Sarebbe un attaccante, “ma lo facevo giocare mezzala, sfruttandone la capacità di inserirsi”. Proprio come quel giorno. Schema perfetto, Maldini sorpreso dallo scatto e Marchegiani beffato da un pallonetto impeccabile. Con una scarpa slegata, tanto che Rossi neanche festeggia. Alza il pollice verso Aglietti e si fa il nodo. Tutto normale, no? “Quel gol fu un capolavoro. Ci allenavamo spesso per farlo e qualche volta riusciva. Ma farlo contro Baresi, Costacurta e Maldini…”.
Il 6 aprile del ’94 Francesco D’Arrigo aveva un elegante cappotto beige. Il suo più illustre dirimpettaio sprofondava in un piumino larghissimo. E al minuto 22, il cappotto lo fece il Pontedera. Angolo dalla sinistra, testa di Rossi, respinta di Marchegiani e tap in vincente di Aglietti: 2-0. “Oh, ho segnato 130 gol in carriera e tutti ricordano quello più facile che neanche va nelle statistiche”.
Al telefono Alfredo Aglietti si fa una risata. Pochi mesi fa, da allenatore, ha riportato in serie A il Verona. Poi la società ha preferito affidarsi a Juric. Ma qui non parliamo del presente. Qui raccontiamo Alfredo, ragazzo di 24 anni, appena arrivato a Pontedera dalla Rondinella. “Ricordo un misto di stupore e consapevolezza. Sacchi chiese di fare 40 minuti a tempo, almeno così sarebbe dovuto essere. Il primo finì col nostro doppio vantaggio. Poi nella ripresa entrò Massaro. Accorciò le distanze e colpì una traversa nei minuti finali. Ci provarono in tutti i modi a pareggiare. Non è un mistero che Sacchi abbia chiesto un recupero lungo. Cinque minuti, poi sei, poi sette… “.
Collina si girò verso la panchina degli azzurri e chiese se doveva andare avanti ancora. Intanto dalla strada si era sparsa la voce che l’Italia stava perdendo con una squadra di C2. “Saranno stati un centinaio. Chiedevano di fischiare la fine. Non avevano neanche visto i nostri gol, ma si erano affezionati alla favola”. E il triplice fischio arrivò.
Incredibile, il Pontedera aveva vinto. Segnando due gol e mandando sistematicamente in offside gli azzurri di Sacchi, il re del fuorigioco. Ah, a proposito. A fine primo tempo, furono sostituiti i guardalinee. Non più quelli ufficiali, ma Ancelotti e Carmignani, primi assistenti di Sacchi. Niente. Anche così, Collina alzò spesso il braccio per dare merito alla linea alta di D’Arrigo, che ricorda i minuti successivi.
“Non ci rendevamo bene conto. Sacchi venne negli spogliatoi a fare i complimenti ai ragazzi. Poi iniziarono a cercarci da tutto il mondo. E fu un casino. Nel weekend a Montevarchi pareggiammo. E Aglietti, che è di San Giovanni Valdarno – comune rivale e confinante con Montevarchi – sbagliò un rigore che volle battere pur non essendo il rigorista designato. Ma lo perdonai, perché alla fine dell’anno fece 22 gol. E salimmo in C1, non dimentichiamolo”.
Aglietti non ricordava bene il weekend successivo all’impresa di Coverciano. Poco male. Quell’anno iniziò il suo volo, che lo portò a sfiorare la maglia azzurra nel ’96 quando vestiva l’azzurro del Napoli. “Era arrivata una sorta di preconvocazione. Era ancora Sacchi l’allenatore. Poi però non mi convocò”.
Barachini, il presidente che fece le scarpe all'Italia. "Eravamo mortificati". Poi il fax al Brasile
Chissà che non abbia un po’ inciso il ricordo di quel mercoledì. Una giornata che una persona ricorda meglio degli altri: Luciano Barachini, presidente di quel Pontedera.
Un uomo che ha fatto la sua fortuna facendo scarpe. Quel giorno era a bordocampo e vide la sua squadra farle alla Nazionale.
“All’intervallo la gente mi chiamava al cellulare. Quando dicevo che stavamo vincendo 2-0, riattaccavano o si mettevano a ridere. A fine partita accompagnai Sacchi nel nostro spogliatoio. Mi credi se ti dico che eravamo mortificati? Vedevo un uomo consapevole di cosa fosse appena successo. Noi ce ne rendemmo conto arrivati a Pontedera”.
La gente in strada, i caroselli, una festa come per la vittoria di un mondiale. E il Pontedera in fondo un po’ campione del mondo, grazie a quella vittoria, si sente ancora. E provò a dimostrarlo sul campo. “Dopo che il Brasile sconfisse l’Italia ai rigori nella finale di Pasadena, scrivemmo un fax alla federazione brasiliana. Per complimentarci, ma soprattutto per invitarli a Pontedera a giocarsi una sorta di ‘finalissima’. Risposero e dissero che sarebbero venuti. Ma non furono di parola…”.
Luciano tra l’altro in America era già conosciutissimo. “Lavoravo molto con gli Stati Uniti. Tanti clienti sapevano che avevo una squadra, ma non collegavano. Quando lo fecero, fui tempestato”. Ai mondiali il Pontedera: la provocazione dei giornali e un pensiero che attraversa l’oceano.
Il loro “mondiale” i granata lo vinsero con la promozione, perdendo solo due partite. E la festeggiarono con un’amichevole contro la Juventus, organizzata grazie all’amicizia di Luciano con Giovannino Agnelli, all’epoca numero uno della Piaggio. L’antico fiore all’occhiello di Pontedera. “E a fine primo tempo, prima che entrassero tutti i ragazzini, eravamo 1-1”, sottolinea il presidente.
Incredibile quel gruppo “costruito dal direttore sportivo Gianfaldoni, allevato da un allenatore che sulla spiaggia di Forte dei Marmi mi spiegava gli schemi col dito nella sabbia. Con quel perticone di Aglietti che aveva due piedoni infiniti. S’inciampava e faceva sempre gol”. “E con quelli di Cecchini, Moschetti e Rossi: 15, 10 e 8 reti quell’anno, rispettivamente”, interviene in viva voce Marco, figlio di Luciano, imprenditore e designer del marchio di famiglia. All’epoca aveva undici anni, ma ricorda tutto. Sono in macchina insieme. Stanno tornando da Milano. La loro azienda sponsorizza Miss Italia e orna i piedi di tante donne. “E infatti alle cene che organizziamo con i calciatori, le mogli sono sempre contentissime di venire. Tanto sanno che con noi si parla di scarpe. E poi qualcosa a casa lo portano sempre”, sorride Luciano, che segue ancora il Pontedera pur non avendo più incarichi operativi.
Il presidente sorride ripensando anche a uno dei maggiori talenti di quella squadra. Il compagno di reparto di Aglietti, Claudio Cecchini. Era stato allenato da Sacchi al Parma. Era scappato perché non sopportava la pressione ossessiva. “E stava per smettere anche dopo la nostra vittoria con l’Italia. Era fatto così, in certi giorni arrivava al campo e diceva che non gli andava più. Gli facevo vedere i giornali che parlavano di noi, lo coccolavo. E rimase, almeno per vincere quel campionato”.
Correvano quelle gazzelle, anche grazie a un preparatore atletico speciale: Alberto Bartali, pontederese doc, oggi alla corte di Fatih Terim al Galatasaray. “E visto che sono spesso a Istanbul per lavoro, mi ritrovo spesso con loro e con il nostro amico comune Moreno Roggi”. Gente di Pontedera, orgogliosa di un pezzo di strada fatta insieme. Una memoria collettiva, per ogni generazione. “Per il diciottesimo di mia figlia, nel 2005, organizzai una festa nella villa di famiglia. Tramite amicizie comuni, venne anche Antonio Conte. Un animatore, dal palco, chiese chi ci fosse dei presenti in quel famoso 6 aprile del ’94. Antonio sorrise e alzò la mano. In fondo era solo un’amichevole e quello schiaffo fu salutare, visto che poi arrivammo a undici metri dalla coppa”.
CHE FANNO OGGI GLI EROI DEL 6 APRILE '94
Il presidente e suo figlio fanno un’ultima osservazione. “Era una squadra speciale. Che capiva il calcio, oltre a saperlo giocare. E tanti infatti sono diventati allenatori a buon livello”. Pane, dopo una buona carriera nell’Empoli, è da sempre nello staff di Spalletti. Cecchi e Rocchini collaborano con Inzaghi alla Lazio, Rossi è stato a lungo il vice proprio a Pontedera, dove oggi allena Maraia. E spesso va a trovarlo Ardito, che debuttò a 17 anni proprio quel giorno, molto prima di diventare una bandiera di Siena e Torino. Oggi allena anche lui, come Aglietti che adesso è disoccupato e si lamenta scherzosamente “dei pochi soldi che Rocchini gli ha fatto guadagnare. Perché lui ha sempre fatto anche il promotore finanziario”. Del resto gli uomini di D’Arrigo, che oggi non va più in panchina, scrive libri e insegna calcio nel settore tecnico della FIGC, erano già abituati in campo a essere multitasking. E per questo hanno successo oggi anche in altri settori. Roberto Vezzosi, terzino che poi assaggiò anche la serie A col Napoli, oggi fa il rappresentante di pelli. Sulla fascia era la gazzella per eccellenza. La pelle di quel leone abbattuto a Coverciano ha un valore non commerciale. Il riscatto di una vita.
Oggi il mondo è cambiato: la parola trap richiama la musica e non un fischio dalla panchina. Berlusconi è tornato ad avere più gioie dal calcio che dalla politica, anche se il suo Monza fa la C come il Pontedera. Il grunge non è più rinato, ma ci sono speranze nell’indie. Per esempio, c’è un ragazzo romano che si fa chiamare Gazzelle.
I suoi testi hanno successo e a volte poca logica.
E sembrano un po’ quel Pontedera, capace di vincere con l’Italia, ribaltando ogni logica. “Molto meglio di un film”, ha scritto lui in Settembre.
Ed è così anche per quel 6 aprile 1994: un mercoledì da gazzelle.
LEGGI ANCHE: SPECIALE 1994, GLI ARTICOLI
ECCO LA LISTA DEGLI ARTICOLI
1. IL MIO 1994 (L'EDITORIALE DI GIANLUCA DI MARZIO)
2. 6 APRILE 1994: ITALIA-PONTEDERA 1-2 "E IL BRASILE NON ACCETTO' LA SFIDA"
3. 1994: COSA FACEVANO A QUEI TEMPI GLI ALLENATORI DELL'ATTUALE SERIE A?