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“Vorrei allenare la Lazio…”. Pippo, la 21, l’occasione: il sogno (in)finito di Inzaghino

Telefono che vibra, messaggino: chi sarà? Forse lui. Sì, sì. Lui! Puntuale, preciso: “Coraggio fratello, è il tuo momento”. Sorrisetto di Simone, quell’sms vale molto. Filippo lo incita, lo incoraggia. Storia d’amicizia tra i due, quei “200 gol di differenza” contano poco. Fratelli, sì. Prima di tutto amici. Pioli saluta, sconfitta nel derby decisiva. C’è Inzaghino. Proprio lui, quello “famoso perché fratello di Filippo”.

Oggi, però, ha la sua occasione sulla panchina della Lazio. Non più nell’ombra, bensì da protagonista. Obiettivo cercato, voluto, trovato. Un sogno. “Vorrei allenare i biancocelesti” dichiarò in passato. Finalmente c’è riuscito. Allievi, Primavera, fino alla Serie A. Messaggino, un altro! Stavolta è mamma Marina, che forse piange a San Niccolò. Come quella volta in cui i suoi ragazzi giocarono insieme in Nazionale, altro sogno di una vita.

Inzaghino, oggi, è diventato grande. Con la Lazio, grazie alla Lazio. Calcisticamente prima, quando arrivò ragazzino da Piacenza. Primo gol in A? Toh, alla Lazio! Destino. Scudetto, poker al Marsiglia, Coppa Italia, miglior marcatore stagionale con 19 reti. 20 squilli nelle coppe europee e record imbattuto. Poteva andare al Milan, scelse l’Olimpico. Decisivo. Caratterialmente poi, da allenatore. Quanti trofei con la Primavera: due Coppe Italia, una Supercoppa e tanti giovani lanciati (da Tounkara a Palombi). Il 4-3-3 come “unico credo”. Un viaggio, quello di Simone. Travagliato sì, tra infortuni e marachelle.

Cucchiaio traditore, ricordi? Taibi para e sfotte, contro la Reggina. Mancini si infuria. Addio campo per un po’. Anche se tra i due c’è sempre stato un certo feeling: “È stato lui a volermi nell’estate del ‘99. La Lazio puntava su Anelka, ma convinse Cragnotti ed Eriksson”. Ogni tanto il Mancio si arrabbiava, i “gol sbagliati erano troppi”. Ora Simone ricorda quei momenti e prende spunto. Poi la Supercoppa Europea e un aneddoto simpatico: Stam gli rompe il naso nella sfida contro il Manchester, Inzaghino si infuria, vorrebbe “dirgliene quattro”. Finisce lì. Due anni dopo, i due si ritroveranno compagni di squadra, ma Simone non dice più nulla: “In spogliatoio si sfilò la maglietta, pieno di muscoli! Poi Mihajlovic mi guardò e mi disse di star zitto. Io, scherzando, gli risposi che non avrei detto niente”. Ricordi di quell’Inzaghi calciatore.

Coi tifosi, poi, un feeling speciale: nel 2007, dopo un lungo stop, rientra contro il Torino. Standing ovation all’Olimpico, cori e incitamenti. Emozioni. Poi più nulla però, un paio di prestiti (Samp e Atalanta) e quel gol al Lecce dopo 4 anni di astinenza. Ultimo sussulto di una carriera che ha sfidato la sorte. Perdendo spesso. Stop lunghissimi e rientri, quel pallonetto al Perugia in una storica vittoria. Gol mangiati, altri segnati (55). Mani nei capelli e urla di gioia, come quel rigore il giorno dello Scudetto. Inzaghi, semplicemente. “Le donne lo hanno rovinato” sussurra qualcuno, specie in quei baretti piacentini dove si discute su quale “Inzaghi” avesse più talento. Filippo svela: “Devo ammettere che mio fratello tecnicamente è più forte, ha più qualità voglio dire”.

Tra i due, dicevamo, nessun invidia. Stima reciproca, con Pippo che oggi “allena grazie a Simone”. Quest’ultimo, infine, sempre presente nelle occasioni importanti del fratello. Vedi Atene o il giorno del ritiro. Qualche sfida tra i due? Una volta sì, al Torneo Arco di Trento. Vince Simone. E mentre Filippo trionfava al Viareggio due anni fa, Inzaghino alzava la Coppa Italia Primavera. Messaggini? No, tre chiamate perse! Primo pensiero del maggiore, un po’ come da piccoli, quando Pippo scendeva in piazza coi suoi amici “soltanto se avessero fatto venire anche Simone”. Ora una nuova sfida, 16 anni dopo ancora lì. Stagione andata, l’illusione dell’Europa ancora viva. Si riparte dal ritiro di Norcia. Resta il sogno, quello sì. Di Inzaghino, ora Inzaghi. Diventato grande con la Lazio.