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Manuale del perfetto portiere: “Così Vicario è diventato un campione”

La crescita di Vicario spiegata dal suo ex preparatore, Lotti: “Al Venezia abbiamo dovuto lavorare su tre aspetti. Ma si capiva la sua forza”

Mi ricordo ancora quando Guglielmo era arrivato: era un ragazzino. Ma gli ho subito voluto bene”. Quell’accento da centro Italia, quella concretezza che nel tempo è diventata veneta. Massimo Lotti è un bel mix di culture, regionali e calcistiche. Quando giocava, faceva il portiere, ha girato per mezzo Stivale, per chiudere però nel 2011 a Venezia, che nei suoi ultimi sei anni di carriera lo ha adottato.

E salvo due anni da preparatore portieri dello Spezia, in Veneto è rimasto: Padova prima; Venezia, appunto, poi. Dove di portieri ne ha conosciuti tanti. Vi dicono niente i nomi di Audero e Vicario (elogiato da Buffon)? Ecco, giusto due per fare il punto. Ora sono in Serie A, e il “piccolo” Guglielmo, che ora piccolo non è, fa il vice di Donnarumma in Nazionale.

 

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Vicario, la sua crescita

Come costruire un campione: manuale d’uso in tre mosse. Lotti ha allenato Vicario dal 2015 al 2019: dalla D alla Serie B, che gli è valsa la chiamata del Cagliari in A. “Abbiamo lavorato molto bene insieme”, racconta a Gianlucadimarzio.com, “Ma siamo dovuti procedere per gradi”. Vediamoli.

Prima di tutto: mettere massa. Ormai ogni portiere deve avere una certa stazza. Anni fa si preferivano quelli più piccoli, perché si pensava che nelle parate basse fossero più efficaci. Ora i nuovi metodi di allenamento hanno cambiato tutto: la reattività è incredibile, per tutti. Anche per chi è alto più di due metri. Guardate i portieri più forti del mondo e lo capirete. Ecco, Guglielmo quando è arrivato in Serie D era troppo magro, doveva crescere. Lui è un friulano doc: chi li conosce sa quanto siano determinati e decisi. Non è stato da meno”.

 

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La crescita tecnica di Vicario

Muscoli, sì. Ma anche tecnica. “Secondo punto: bisognava lavorare sulla velocità di reazione. La massa serve per tenere botta anche con i possibili scontri di gioco: in area può succedere di tutto e un portiere deve emergere. Vicario era già arrivato piuttosto completo, e possiamo dire che era un portiere offensivo”.

Offensivo? “Sì, di quelli che attaccano la palla, che non stanno chiusi nella loro area, ma che escono. Dovevamo lavorare sulla reattività, dicevo: lui ha le leve molto lunghe, una buona apertura del braccio. Bisognava fare in modo che la copertura della porta fosse abbinata a una grande rapidità. Perché in D è una cosa, in C un’altra, in B un’altra ancora. In A, non ne parliamo proprio”. “E poi” continua, “c’era l’aspetto podalico. Ormai il portiere, lo sappiamo, è un libero aggiunto, e c’è bisogno di un tocco palla che sia efficace e preciso”.

 

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Vicario e la crescita psicologica

Tutto qui? No. Regola tre: l’aspetto psicologico. “Una cosa in cui credo molto”. Perché? Ripercorriamo la carriera di Vicario a Venezia. In D arriva in prestito dall’Udinese, ed è titolare, ottenendo la promozione. In C, il club allora di Tacopina decide di acquistarlo, ma di fargli fare il vice di Facchin. La stagione successiva è in B, ma alle spalle proprio di Audero.

Quindi, l’anno dopo, finita l’era Perinetti e Inzaghi e con una squadra da ricostruire, Lotti si espone: “Tacopina mi aveva chiesto se Vicario avrebbe potuto fare il titolare. Mi dovevo assumere la responsabilità, diceva il presidente, e io non avevo dubbi: dissi di sì. Ma a Vicario questa cosa non l’ho mai detta, perché doveva fare bene da solo”. E lo fece. Quell’anno, il Venezia retrocedette in C ai playoff, ma Guglielmo fece così bene da essere ingaggiato dal Cagliari che lo girò in prestito al Perugia.

 

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Ma come si gestiscono questi cambi di gerarchia? “Era giovane, doveva crescere. Non si è mai lamentato delle panchine, anzi penso che gli siano servite per avere una crescita emotiva anche più tranquilla” racconta Lotti. “Non ha mai avuto bisogno del contentino, semmai con lui dovevo lavorare al contrario”.

  

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Cioè? “Quando giocava, voleva sempre dimostrare tanto, soprattutto la partita successiva a quella in cui era titolare. E questo lo portava a strafare. Gli ho dovuto far capire che un portiere deve essere determinante ma non può mai andare oltre una certa misura”. Lezione imparata: il campione è servito.

(si ringrazia la società Venezia per le foto)