Questo sito contribuisce all'audience di

Umiltà e DNA, alla dura ricerca della Rin(o)scita: Gattuso e la panchina del Milan, storia di un “film” divenuto realtà

Era rientrato dalla porta di casa (Milan) sul retro, con la massima umiltà e cercando di non far troppo rumore. Inevitabile che un nome come il suo, ricco di storia e successi al solo sguardo ad un passato esaltante, potesse finire per attirare l’attenzione di tutti: anche quando il ruolo ricoperto, leggermente differente rispetto a quelli testati in precedenza, lo avrebbe visto iniettare nelle vene di tanti giovani della Primavera un DNA rossonero che ormai in pochi possiedono. E che Rino Gattuso, da oggi, sarà pronto a trasmettere anche alla prima squadra: in uno scenario buttato lì ad inizio stagione divenuto, giorno dopo giorno, pura realtà.

Tredici anni in maglia Milan da calciatore, salutando post gara contro il Novara tra le lacrime: cinque di separazione da Milanello prima di tornare, dopo una chiamata improvvisa di Mirabelli in estate ed un pressing “alla Baresi” portato avanti dalla dirigenza. Il settore giovanile come punto di (ri)partenza dopo esperienze dure, segnanti, soprattutto con colori che (curiosamente) antitetici: Sion, Palermo e Ofi Creta prima, il biennio a Pisa poi. Dal paradiso della B raggiunta all’inferno di una situazione societaria nerazzurra surreale, culminata con un lunghissimo passaggio di proprietà e con l’addio post retrocessione: amato e sempre apprezzato, per una sincerità fuori dal comune e quel volto mai nascosto da critiche ed autocritiche, senza alcun alibi. Stesso carattere che lo ha portato a recuperare le chiavi di casa dall’angolo di un cassetto per sentirsi nuovamente se stesso, da vulcano di passione ed adrenalina spentosi, lentamente, all’ombra dell’arena Garibaldi.

Nessun passo indietro: avrebbe ricominciato con calma, diversamente, “completandosi” ed elevandosi puramente a ruolo di insegnante per tanti ragazzi, con la solita etica del lavoro in primo piano. Ma quella panchina rossonera che ha da sempre guardato e silenziosamente sognato dal campo, o alla peggio da spettatore, ora sarà sua. Roba da sorrisi, spontanei, ripensando anche alle risposte di fronte a tutte le domande poste nel giorno della sua presentazione: l’incomprensione nel pensare a funerali anticipati per chi, almeno nella scorsa stagione, aveva centrato gli obiettivi prefissati, e soprattutto la convinzione personale di “non essere pronto per allenare una squadra così importante”. Eppure, cinque mesi dopo, è cambiato tutto: l’unico vero, forte candidato in caso di esonero di Montella è sempre stato lui, Rino, uomo simbolo riportato in società in un “recupero” di bandiere pienamente apprezzato dai tifosi. Chiamato ora, dopo un eccellente avvio di stagione con la Primavera, a restituire quel tanto richiesto “veleno” in corpo anche a chi avrebbe dovuto, da tempo e a priori, già averne.

Non vi fate film”, aveva detto qualche settimana fa: storie di qualche chiacchiera con Mirabelli in un postpartita lontana da occhi indiscreti, per quelle nuove voci su un possibile salto in prima squadra tornate a farsi sentire sempre più. La locandina, ora, è invece servita e illuminata: nel momento forse meno semplice, con una squadra attualmente ben lontana dalle aspettative post mercato, ma non per questo altrettanto poco onorevole. Ricordando i tempi in cui era leader carismatico in campo e tentando, nel possibile, di restituire brillantezza e una nuova anima ad un Diavolo spento, proprio come lo era lui: riaccesosi lentamente ripartendo dal basso, e pronto a riesplodere ora. Questione di sangue, DNA e di un passato impossibile da dimenticare: in una Rinoscita, personale e non, che Gattuso proverà a vivere. E far rivivere.