La realtà dello Stabæk, il miglior settore giovanile di Norvegia: “Da Gift Orban a Bohinen, ecco i nostri segreti”
La nostra intervista a Torgeir Bjarmann, ds dello Stabæk: tutto sul club col miglior settore giovanile di Norvegia
Tra mare, prati e tanto verde c’è spazio anche per il calcio. Siamo nel sud della Norvegia, a Bærum per essere precisi. L’atmosfera è magica, quasi fiabesca. La squadra del posto si chiama Stabæk ed è un esempio di sostenibilità in un mondo che va nella direzione opposta. Non si compra se non si vende: così diventa fondamentale puntare sui giovanissimi. E in questo sono i numeri uno in tutto il paese.
Nel miglior settore giovanile di Norvegia: il racconto del ds dello Stabæk
Partiamo con ordine. Lo Stabæk, dopo essere sceso in seconda divisione norvegese, è appena risalto in Eliteserien. State pensando che la priorità sia salvarsi? Non proprio: “Avere il miglior settore giovanile in Norvegia è il primo obiettivo. Siamo famosi per puntare tanto sui giovani, ma siamo anche un club che vende: i nostri talenti di solito partono intorno ai 18 anni. Nella scorsa partita di coppa abbiamo schierato un ragazzo del 2007”. A parlare è Torgeir Bjarmann, ds del club e vero uomo di calcio. Anni da difensore centrale tra la Norvegia e l’Austria, poi la scelta di cambiare ruolo. Non in campo, bensì in dirigenza.
La filosofia dello Stabæk è quella di tutte le società che puntano alla valorizzazione dei talenti. Farli crescere per poi rivenderli e investire ancora. Ma la particolarità del club norvegese è una: “Nelle nostre giovanili non reclutiamo tanti ragazzi, puntiamo in particolare su giocatori provenienti da queste zone. Poi sopra i 18 anni andiamo su calciatori di tutto il mondo”. Uno scouting a chilometro zero.
Ma poi ci sono le eccezioni. L’ultimo esempio è un ragazzo capace di portare a casa una tripletta in 3 minuti in Conference League: Gift Orban, gioiello classe 2002 del Gent. “Io di solito vado in Nigeria o nei migliori paesi africani per guardare dei tornei selezionati. Lì ho scovato Gift. Non c’è voluto molto per capire che fosse speciale. Quello che faceva in quei tornei lo faceva anche in Norvegia e lo fa ora in Belgio. La cosa che mi aveva sorpreso di più è la sua capacità di andare in profondità”. Eppure la sua avventura europea non era iniziata bene.
“Lo staff al tempo non era convinto di lui. Li ha fatti ricredere di essere l’attaccante giusto. Dopo la prova è tornato in Nigeria ma poi l’ho riportato in Norvegia. È un mio capolavoro. È stato difficile per lui adattarsi al clima del nostro paese. Ma io l’avevo visto giocare a casa sua e conoscevo le sue qualità”. L’occhio di Bjarmann non sbaglia mai.
Ma torniamo alla filosofia dello Stabæk. Non tanto scouting in giro per il mondo, si punta più a cercare talenti a costo zero dalle parti di Bærum. L’unico a viaggiare sapete chi è? Proprio Torgeir, che spesso prepara la valigia e lascia la Norvegia, unendo il ruolo da ds a quello da scout.
E quali sono le caratteristiche che devono spiccare di più in un calciatore? “Al primo posto c’è la passione, ma poi bisogna avere buone qualità e intensità nel gioco. Qui produciamo tanti centrocampisti centrali”. Un esempio lo abbiamo in Serie A: Emil Bohinen. “Emil è un giocatore fisico, bravo col pallone tra i piedi e in fase di recupero. Ha bisogno di giocare più partite per crescere ancora. Qui abbiamo avuto anche Botheim, all’inizio lo avevamo preso in prestito dal Rosenborg. Ha tanta autostima, è un grande realizzatore ma ha bisogno di essere servito”.
Di ragazzi usciti da lì ce ne sono tanti. Un altro che dirà la sua tra qualche stagione è Antonio Nusa, diamante del Brugge, che lo scorso settembre si è presentato a tutti segnando all’esordio in Champions League, diventando il primo 2005 a farlo. Sì, avete letto bene. Un 2005 che apre i conti così deve avere qualcosa di speciale; “Lo conoscevo già prima di arrivare allo Stabaek. Quando lo guardi ti accorgi subito delle sue qualità. Dopo undici partite lo ha voluto il Brugge, gli auguriamo il meglio”. E poi c’è spazio anche per qualche “rimpianto”: “Per un periodo stavamo osservando tanto Isak Hien. Al tempo era scoppiato il Covid e non si poteva viaggiare in Svezia per guardarlo dal vivo. Ma avevo delle sensazioni forti su di lui”.
Ci sarebbero migliaia di dettagli da analizzare in una realtà così. Immaginate una piramide: sulla punta, insieme a passione, qualità e talento c’è anche l’educazione e l’istruzione. Tutti i ragazzi devono andare a scuola.
Adesso lo Stabæk è pronto a regalare altre pepite d’oro al calcio europeo: “Abbiamo tre ragazzi del 2007 davvero forti. Uno di questi è Filip Riise, il nipote di John Arne. Ha debuttato nella scorsa partita di coppa e ha anche segnato ai rigori. È cresciuto tanto. Ma ce ne sono molti nell’under 18”.
Il progetto dello Stabæk continua a crescere. Tanto passa da Bjarmann, principale protagonista di un meccanismo che non smette di funzionare. La differenza la fanno sempre le idee.