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Spalletti, stivali e scudetti: nella storia di Napoli l’allenatore che nessuno avrebbe voluto

Il toscano saluterà con la Samp: 999 panchine in carriera e l’anno sabbatico sullo sfondo

Due anni che sembrano venti, una storia d’amore partita dalla contestazione, uno scudetto che resterà nella storia. Quante vite napoletane ha vissuto Luciano Spalletti in appena due stagioni? Lo stesso allenatore toscano se lo sarà chiesto più volte. Quella contro la Sampdoria sarà l’ultima volta sulla panchina azzurra, alla sua apparizione numero 999 da allenatore. Una carriera lunghissima, che non ha mai spiccato il volo perché non ha mai avuto bisogno di volare. “Per quello che voglio fare io, non servono le ali ma gli stivali” aveva detto qualche giorno fa. Il senso di quelle parole si è rivelato, chiaro, nelle ultime ore. Anno sabbatico, addio, ciclo finito. Il Napoli di Spalletti non esiste già più: la squadra che ha saputo riscrivere i numeri e i record del calcio italiano, incantare e vincere in Europa, superare sé stessa stupendo un po’ tutti tramonta al termine di due anni che hanno visto il toscano padrone e protagonista di tutto.

 

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Un napoletano su due non l’avrebbe voluto in panchina nell’estate del 2021. Mezza città aveva storto il naso alla notizia del suo arrivo. In fondo, se il sogno è lo scudetto, perché affidarsi a chi l’ha sempre sfiorato e mai raggiunto proprio come il Napoli delle ultime stagioni? La risposta è arrivata due anni più tardi: perché sarebbe stato perfetto. La stessa fame, la stessa ironia della sorte, gli stessi conti da chiudere con il destino. E un appuntamento con la storia. Eppure la sua di storia a Napoli non era cominciata male, perché lo scudetto era stato un obiettivo anche al primo anno di azzurro: corsa lunga con Inter e Milan, mano nella mano fino al rettilineo finale, poi quell’aprile disastroso e l’addio al sogno. La fotografia della scorsa stagione sta nella gaffe rimonta di Empoli: sconfitta per 2-3 e apriti cielo. Il vaso di Pandora azzurro che si rompe per sempre. Qualcosa si chiude, ma qualcosa si apre. Sul treno del ritorno di quel giorno verso Napoli non c’era nessuna certezza, nemmeno Spalletti lo era. Persino il suo momento sembrava finito. Il finale di stagione poi ha cambiato tutto: il ritiro forzato, le cene con De Laurentiis a tavola, la scelta di dire basta a un ciclo fatto di Insigne, Mertens, Koulibaly, lo spettro dei 91 punti e di Sarri mai andato via.

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Ironia della sorte: anche in una stagione come l’ultima, quel record non sarà battuto. Il Napoli di Spalletti potrebbe arrivare a una sola lunghezza di distanza da quella squadra. “Non giochiamo per i record, ma per far felice la gente”. Bugia bianca? Forse no. Spalletti è quello che si vede davanti alle telecamere ogni domenica, l’uomo capace di vestire in mocassini e stivali da lavoro a poche ore di distanza. La missione era semplice un’estate fa: rimboccarsi le maniche come si fa a La Rimessa, a Montaione, il suo porto sicuro, l’ancora della sua vita. Ci sono cavalli e struzzi, le maglie dei campioni che ha incontrato, c’è il ricordo del fratello Marcello – la dedica più sentita subito dopo l’aritmetica scudetto – e la sua famiglia. Napoli è diventata casa in un attimo, Castel volturno il centro dei suoi pensieri. Plasmare una squadra giovane e forte è sempre stato il suo sogno. Diventato in un attimo realtà.

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Spalletti non ha mai dimenticato la contestazione dei tifosi di un anno fa, quel terzo posto criticato come fosse un fallimento. L’attacco non era mai stato a lui, ma l’ha sentito suo. Ci ha lavorato, ha provato a portare dalla sua la gente di Napoli che ora non vorrebbe farlo andare via. A maggio 2022 lo striscione: “La Panda te la restituiamo, basta che vai via”. A maggio 2023 lo scudetto. Una storia che a scriverla si farebbe fatica. E quella Panda a diventare simbolo di una vittoria. Semplice, comoda, spettacolare, internazionale. Luciano sa far giocare le sue squadre, sa valorizzare i campioni in campo, ma soprattutto sa prendere in contropiede tutti. “Il futuro è già deciso, non si cambia idea” mentre tutti si aspettano il rinnovo. E un tatuaggio dedicato al suo Napoli mentre si scrive l’addio. Due anni che sembrano venti in una città che ha imparato ad amarlo e che lui ha imparato ad amare. Tra tour notturni in strada, fughe in Vespa con gli amici del posto, cene affacciati sul mare. “È così bella questa città che a guardarla ti si fanno gli occhi azzurri” aveva detto solo pochi mesi fa. Di certo, negli occhi di Napoli resteranno le giocate di una squadra che ha avuto nella sua stella l’allenatore. In attesa dell’ultimo saluto al termine della gara con la Sampdoria, con qualche lacrima e un tricolore in più.