Giovanni Bucaro si racconta: “E’ stata dura senza allenare. L’Avellino ha riacceso in me la scintilla”
L’ex allenatore della Primavera della Juventus ha parlato in esclusiva per gianlucadimarzio.com: “L’Avellino e i suoi tifosi meritano altre categorie. Crediamo nella vittoria del campionato”
Il suo nome, di origine ebraica, vuol dire “dono di dio”. E’ forse per questo che Giovanni Bucaro, attuale allenatore dell’Avellino considera la sua una vita da predestinato: “Chi ha il privilegio di giocare a calcio a grandi livelli è segnato da un dono”. Nato in Sicilia, una terra che l’ha reso fiero, carattere scostante. Quadrato, introverso. Il calcio come unica legge di vita: “Sono cresciuto a pane e pallone”, inizia così il suo racconto in esclusiva per gianlucadimarzio.com. La sua storia da “calciatore” vero e proprio nata per caso, durante un giorno di scuola: “Leggemmo su un giornale che il Palermo avrebbe provinato dei ragazzi al Barbera. Per noi era un sogno giocare lì. Tutto è iniziato così”. Poi sorride e ricorda: “Una mia professoressa diceva sempre a mia madre che non facevo altro che parlare di Platini”. Dal niente al tutto, dal tutto al niente. Un leit motiv, a volte piacevole, altre meno, che ha caratterizzato vita e scelte di Giovanni Bucaro.
Campano di adozione, la sua carriera prende forma in quell’isola felice chiamata Sorrento: “Fu una chiamata che mi ha totalmente cambiato la vita”. Poi aggiunge: “Ricordo che a mia madre venne l’esaurimento nervoso”. In effetti l’impatto con la nuova realtà non fu per niente facile: “Mi mancava casa, spesso ho pensato di lasciare”. Con l’andare del tempo, però, quel bambino con il dono di dio, viene letteralmente adottato dalla città costiera: “Sorrento è una città che ti vuole bene. Che ti abbraccia, ti coccola e ti protegge”. Il ricordo più bello è marchiato a fuoco con il suo esordio tra i professionisti: “Avevo 16 anni e Papadopulo mi lanciò in C 2”.
L’ESPERIENZA A FOGGIA MI HA CAMBIATO LA VITA
Il talento di Bucaro non passa inosservato, anzi. E’ il Foggia a farsi avanti, quella che poi sarebbe diventata la squadra dei miracoli: “Fu un passo importante della mia carriera. Si capiva che c’erano programmi importanti”. Proprio a Foggia incontra Zdenek Zeman, che diventerà poi il suo mentore: “Per me era ed è il calcio. Nessuno giocava come noi all’epoca. E l’artefice di tutto era Zeman”. Cosa aveva di speciale? “Un carisma unico che non ho mai trovato in nessuno. Le sue esercitazioni, la sua metodologia potevano sembrare cose di fantascienza, invece è arrivato prima di tutti su determinati concetti”. Poi aggiunge: “Lui ti faceva lavorare tantissimo per farti capire che soffrendo si sarebbero potuti raggiungere grandi risultati”. Che tipo era? Bucaro sorride: “Ti diceva poco ma ti faceva capire molto. Quando sono andato a giocare in altre squadre avevo la sensazione che altri allenatori conoscevano poco rispetto a lui”. Un aneddoto? “Eravamo in ritiro e ricordo che io ed altri miei compagni eravamo cotti, non riuscivamo più a correre. Ci mandò via e dopo mezzo’ora ci richiamò dicendoci di ricominciare a correre”.
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La sua carriera prosegue tra alti e bassi, fino all’ultima esperienza ad Avellino: “L’ho sempre ritenuta una piazza speciale”. Giovanni, però dentro di se ha sempre avuto un’idea chiara: “Mi sono sempre sentito un allenatore. E’ stato un percorso naturale”.
DALLA SICILIA ALLA PRIMAVERA DELLA JUVENTUS
Appese le scarpette al chiodo, Bucaro inizia la carriera di allenatore partendo dalla “sua” Sicilia: “Ho iniziato a Campobello di Mazara in Serie D. Ci salvammo in una situazione societaria disperata”. Pochi mesi, prima di tornare nella sua terra d’adozione: la Campania. Destinazione Pomigliano D’Arco: “Un’esperienza che mi ha segnato. Due anni magnifici. Avremmo anche potuto vincere il campionato”. Poi sceglie Manfredonia, svelandoci un aneddoto “Mi voleva il Trapani in D. Rifiutai e mi chiesero un consiglio su una possibile scelta: indicai Boscaglia. Sappiamo poi come è andata a finire”. Un anno complicato quello al Manfredonia, sia sentimentalmente che calcisticamente. Una salvezza che lo mette in luce agli occhi della Juventus.
Già, perché il duo Marotta-Paratici, è alla ricerca di un allenatore per la Primavera e la scelta ricade proprio su Giovanni Bucaro: “Il mio nome lo fece Roberto Marta scopritore di talenti all'Atalanta. Mi chiamò Giovanni Rossi e chiudemmo subito la trattativa”. Poi aggiunge: “La Juve mi ha aperto un mondo”. Cosa è cambiato nella sua testa? “Io dico sempre che fino a quel momento avevo fatto pallone, alla Juve ho fatto calcio. E’ una macchina perfetta”. La sua vittoria più grande a strisce bianconere si chiama Leonardo Spinazzola: “Era poco più di un bambino, e non aveva molta voglia di allenarsi. Dissi a Paratici che sarebbe potuto essere da Juve. Vederlo in Champions con l’Atletico è stato un orgoglio”. Un’esperienza che sarebbe potuta continuare, invece…: “Perdemmo 5-0 con il Varese nelle final eight, una sconfitta del genera alla Juventus non te la perdonano”.
DA AVELLINO AD AVELLINO UN CERCHIO CHE SI CHIUDE
Dopo l’esperienza di Torino, Bucaro riparte in Serie C, da Avellino. Una squadra giovane che diverte i suoi tifosi: “Avevo in squadra tanti ragazzi di talento”. Uno su tutti era Davide Zappacosta. La sua “seconda” scoperta: “Lui nasceva come ala, ma aveva una gamba diversa rispetto agli altri. Il suo non era un cross da Serie C”. Il ricordo più bello coincide proprio con lo spostamento dell’attuale calciatore del Chelsea sulla linea difensiva: “Il derby contro il Benevento. A fine primo tempo perdevamo due a zero senza sapere neanche noi come. Nella ripresa pareggiammo ma avremmo potuto anche ribaltarla”. Poi tante scelte sbagliate, un periodo difficile, e un progressivo allontanamento dal mondo del calcio. Tutto ri-parte proprio da Sorrento: “Scelsi con la testa, sarei dovuto restare fermo e aspettare”. Poi il Savoia: “C’era un problema al giorno, una società inesistente che ha illuso tutti”. Poi confessa: “Questo è un mondo che ad un certo punto può diventare perverso. Io ho fatto come il gambero”.
Fino alla rinascita nel nome dell’Avellino: “E’ scattata di nuovo quella scintilla giusta. Senza quella non si può allenare”. Come è nata la trattativa? “Mi ha chiamato il ds Musa, tutto è avvenuto in piena notte. L’Avellino è sempre stato dentro di me”. Un inizio difficile: “Sono entrato in uno spogliatoio depresso. Io Daniele Cinelli abbiamo recuperato la squadra soprattutto da un punto di vista mentale”. E adesso? “Siamo pronti, forti. Non abbiamo paura di nessuno. Abbiamo una media punti di 2,45 e resteremo attaccati a questo campionato con tutte le nostre forze. Dobbiamo concentrare tutte le energie nelle ultime partite per regalare una gioia a questi tifosi che meritano altri palcoscenici”.
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Infine, salutandoci ci confessa: “Il mio sogno è sempre quello di allenare in Serie A, ed è anche la mia forza. Ci credo con tutto me stesso e ci crederò sempre”. Perchè infondo è proprio vero, i sogni restano sempre quella scintilla che ci da il coraggio di credere nelle cose più belle.