“Rosicava, non ce voleva sta”. Candreva, il primo allenatore racconta: “Er Puzza, i conetti, la famiglia: ecco il mio Antonio”
Quel “regazzino” non ce voleva proprio ‘sta. Sconfitta? Mai al mondo, “te pare?”. Dall’oratorio alla Lodigiani: “Lo chiamavo Er Puzza, non voleva mai perdere! Si incazzava! Partiva, ti saltava e segnava”. Istantanee di un Candreva (rosicone!), velocissimo. Con quel “cambio di passo incredibile” da far vibrare l’erba, come racconta Stefano Streccioni in esclusiva su GianlucaDiMarzio.com. Il primo allenatore di quel “regazzino” che ora corre anche in Nazionale, Sant’Antonio Candreva: “L’ho allenato fino ai 13 anni (nel ’96 passò alla Lodigiani dai pulcini del Tor de’ Cenci ndr), ci siamo rincontrati dopo il suo addio alla Juve. Rimase deluso dal trattamento ricevuto dai bianconeri, ma sono cose vecchie. Insieme al gruppo degli ’87 giocammo una partita a calcetto, una rimpatriata”.
Rewind. Son passati quasi 20 anni. Ma il ricordo è ancora nitido: “All’epoca la Lodigiani sfornava talenti, era l’èlite del calcio giovanile: non solo Candreva, ho allenato anche Emiliano Moretti (oggi al Torino ndr). Nella rosa che avevamo Antonio emergeva, lui come altri 4-5 ragazzi tutt’ora nel professionismo. In testa aveva il calcio, la passione. Quei tipici comportamenti di chi ha voglia di arrivare”.
Nato a Tor de’ Cenci, quartiere romano tra la Cristoforo Colombo e la Pontina. Sempre di corsa, col pallone in mano. Tanto discolo da “tiraje i capelli” quando rompeva le plafoniere delle lampade. “Regazzì, mo’ ve lo buco ‘sto pallone”. Una cosa così. Poi l’arrivo alla Lodigiani. E i conetti, a fine allenamento, li portava sempre lui: “E’ il ricordo più bello, mi aiutava a portare l’attrezzatura, i cinesini, la sacca dei palloni. Voleva sempre giocare, era sempre il primo ad arrivare. Non se ne vedono più di scene così. Si vedeva da queste piccole cose che sarebbe esploso”.
E il ruolo? “In qualsiasi zona lo schieravi faceva la sua parte. Inizialmente lo utilizzavo a centrocampo, da mezzo destro. Oppure da centrale. Calciava con entrambi i piedi”. Ternana, Udinese, i vari prestiti in giro per l’Italia. Senza emergere: “E’ bravo, ma gli manca qualcosa”. Poi, nel gennaio 2012, l’arrivo alla Lazio. E tutto quel che ne consegue. Dai fischi agli applausi, fino alla rete nel derby con scivolata verso la Nord: “All’inizio non capivo come potesse rimbalzare da una società all’altra, pensavo fosse un problema caratteriale, ma con l’esplosione che ha avuto a Roma ho capito: Antonio aveva la necessità di stare nel suo habitat naturale, avere la famiglia vicino. E’ stato un aspetto che l’ha completato”.
Papà Marcello e mamma Antonietta. “Solidi ma trasparenti” racconta Stefano: “Al tempo Antonio era molto seguito, in particolare dal papà. Genitori seri, molto discreti. Durante le riunioni con gli altri dirigenti li definivo così, solidi e trasparenti. Perché erano presenti, certo. Ma non interferivano mai con gli addetti ai lavori”. Stefano racconta e si emoziona. Lo chiama Antonio, senza usare il cognome. Usando quel tono confidenziale che sa di vecchio amico. In fondo, l’ha visto crescere. E oggi che non allena piu quell’affetto è ancora vivo: “Se l’ho visto in Nazionale contro la Spagna? Certo, ne seguivo i movimenti”.
Spazio ai retroscena: “Lo proposi alla Lazio, me lo ricordo bene. L’ho già raccontato. Era il 2002. Sai quei discorsi che si fanno negli spogliatoi? Magari dopo la doccia? Ecco lì! Ne parlai con Giancarlo Oddi e Fabrizio Rambaudi. Loro conoscevano molto bene la Lodigiani, così come conoscevano i suoi gestori, Rinaldo Sagramola (oggi ad del Brescia ndr) e Tonino Ceci. Ne parlai sì. Poi l’anno successivo Oddi lo propose alla famiglia Cragnotti ma non se ne fece nulla”.
Peccato, i motivi? “Erano anni bui per la Lazio, c’erano problemi finanziarie importanti. La società era vicina al default. All’epoca Antonio aveva 15 anni, la Lazio non poteva permettersi di spendere così tanto per un ragazzino. Non poteva immaginare che qualche anno dopo sarebbe esploso…”. Guarda caso, proprio a Roma (e alla Lazio). Puntando, dribblando, segnando. Come tanti anni fa, quando si incazzava all’oratorio. “Er puzza, non ce voleva sta!”. Partito da lì, poi tornato. Infine consacrato. Quanta fatica, ma ne è valsa la pena. Sant’Ulisse Candreva.