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“Quando vedo i video di Ronaldo mi viene il magone”. Nossa, dall’Inter del “fenomeno” al Como di Essien

Uno scontro di gioco voleva portacelo via, ma per fortuna a Devis Nossa è andata bene. Il 27 novembre scorso allo stadio Mannucci di Pontedera Devis è caduto al suolo privo di sensi e in preda a convulsioni, durante Tuttocuoio-Como. Prontissimi i soccorsi, a Nossa è bastato un mese per tornare il leone di sempre e a 30 giorni esatti dall’incidente, sullo stesso campo, ha segnato una rete decisiva. Venti minuti bastano per capire di avere di fronte un ragazzo speciale…

“Del 27 novembre ricordo una brutta botta” – racconta Davis ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com Davo per scontato di prendere quella palla ma ho fatto male i calcoli e l’avversario mi ha anticipato. Ho preso un colpo fortissimo e mi ricordo solo il rumore dello scontro, tutto il resto mi è stato raccontato. Fortunatamente nel giro di un mese, grazie ai dottori, gli infermieri e tutto il personale medico sono tornato in campo: mi hanno operato la sera e il giorno dopo sono riuscito a tornare a casa. L’infortunio è stato brutto e grave, ma fortunatamente sono qui a raccontarlo”.

Un mese dopo, quasi per magia, stesso campo ma stavolta destino diverso: “Sì, perché mi sono presentato con la maschera al Mannucci e la sorte ha voluto che segnassi una rete decisiva proprio di testa. A volte pensi che le cose capitano per caso, invece un mese dopo proprio dove ci fu quel brutto incidente arrivò la palla buona per il gol: fortunatamente stavolta l’ho presa io”. Rete che magari ora può contribuire a un sogno: “Il nostro primo obiettivo era di salvarci, vista anche l’instabilità societaria. Adesso siamo in zona play-off e ce la giochiamo. La promozione diretta in serie B e un discorso riservato a Alessandria e Cremonese, noi adesso pensiamo a raggiungere il miglior piazzamento. Con i play-off allargati e scontri di sola andata può succedere di tutto”.

E hai anche fatto il record di marcature: è la tua miglior stagione? “Sicuramente sì. Sono in una squadra forte, con giocatori esperti, di categoria, che hanno vinto campionati importanti. Ho poi la fiducia dell’allenatore. Como è una piazza abituata ad altri palcoscenici e dopo la retrocessione dello scorso anno questa serie di buoni risultati ha riacceso la passione. Il cambio societario può essere un’ulteriore molla”. E la tua passione per il calcio come è nata? “Grazie a papà. Giocava nel Treviglio, la squadra del nostro paese, e io andavo a guardarlo. Ho avuto la fortuna di trasformare una grande passione nel mio lavoro. E’ stata la realizzazione di un sogno, anche se non ho raggiunto il massimo. Tuttavia una carriera in Lega Pro per me vale tantissimo, è un orgoglio”.

Squadra del cuore e idolo? “LInter e l’idolo Ronaldo, il fenomeno. Quando lui arrivò in Italia io avevo 13 anni ed era il giocatore più forte del mondo: aveva scelto la mia squadra. Cosa potevo chiedere di più? Ti rispondo pure (ride): giocarci assieme. Beh, arrivò la fortuna di giocare nel settore giovanile dell’Inter e di vederlo da vicino: un sogno. Quando vedo i video di Ronaldo mi viene da piangere: ma quanto era forte? In quegli anni, sia perché non c’era necessità di puntare sui giovani, sia perché c’erano grandi risorse finanziarie, i settori giovanili non erano molto seguiti. Ma aver fatto tutta la trafila dell’Inter, dagli esordienti alla prima squadra, per me è motivo di grande orgoglio. Feci anche 3 mesi in prima squadra, un traguardo quasi irraggiungibile per quei tempi. Erano pochi i giovani italiani portati con i grandi. Ora è più facile”

Ricordi speciali delle giovanili? “Sicuramente l‘emozione di giocare con Vieri, marcarlo era impossibile: un toro. Il giocatore che dava più consigli, invece, era Daniele Adani, che faceva da chioccia a noi giovani. E’ stato importante, perché non erano tantissimi gli italiani in prima squadra nell’Inter. Oltre a Lele, Toldo, Materazzi e Cannavaro, che in quel periodo era infortunato. Ma Adani è stato veramente speciale, era sempre con noi”. E di Ronaldo che mi racconti? “Era il periodo di Cuper e durante le partitelle con la prima squadra Ronnie era in fase di recupero dall’infortunio e si allenava a bordo campo: noi lo osservavamo a bocca aperta. Era di un altro pianeta. Era una persona semplice, alla mano, ma quando lo incrociavi ti metteva soggezione: avevi di fronte il giocatore più forte del mondo”.

Tre volte in panchina, serie A, Coppa Italia, Coppa Uefa, mai l’esordio: rimane il più grande rammarico? “Sì, perché essere portato in panchina e non fare neanche un minuto ti lascia un po’ di tristezza. Però, ripeto, in quel periodo arrivare in prima squadra era un privilegio per pochissimi giovani. La mia carriera tra i professionisti, 14 anni, l’ho fatta, non ho grossi rimpianti, se non quello… Però, almeno, ho vissuto quei grandi campioni e la maglia nerazzurra. Magari l’esordio avrebbe cambiato la mia carriera, ma va bene uguale”. La B, invece, te la sei guadagnata: “Sì, nell’Entella, ma poi la società ha fatto altre scelte, puntando su giocatori di categoria. Speriamo che sia arrivato il momento giusto. Ho fatto tantissime partite di Lega Pro, ho vinto campionati, ma la B l’ho solo sfiorata: è il mio obiettivo. Di smettere tanto ancora non se ne parla neanche (ride)”.

Cosa avresti fatto se non fossi diventato un calciatore? “Beh, faccio il papà (ride di nuovo). A me quando ero piccolino sarebbe piaciuto fare il camionista perché sono un appassionato di viaggi, hobby che coltivo tutt’ora con mia moglie. Da piccolo legavo la possibilità di viaggiare a un lavoro in cui ci si sposta sempre. Poi crescendo ho capito che quello del camionista è un lavoro molto difficile e che ti allontana dalla famiglia: poi per fortuna è arrivato il calcio…”. Ricordi il periodo azzurro? Certo, l’Under 19 e 20. C’erano giocatori importanti, che si vedeva sarebbero arrivati, come Montolivo, che sapeva trattare il pallone già da allora e aveva personalità: non a caso ha fatto una carriera importante. Un altro che mi impressionò, ma non ha avuto fortuna, fu Galloppa“.

Obiettivo? “Tra i miei obiettivi c’è la B, sicuramente. Pur essendoci stata la possibilità di giocarla qualcuno aveva deciso che non faceva per me e sarebbe una grandissima rivincita. A fine carriera, speriamo tra tanti anni (ride ancora), mi vedo più in un ruolo di responsabilità, tipo direttore sportivo o generale. Non mi sento tagliato, invece, per fare l’allenatore”. Allora in bocca al lupo Devis.