#LioneJuve, giochi di specchi: quando Pjanic non era Pjanic
Da piccolo lo beccarono all’alba a giocare in un garage: “Pensavano fossi un ladro”. Predestinato. Appena nato, invece, impietosì una guardia di frontiera piangendo a più non posso. Tempi difficili, di guerra. Ogni rumore era un sussulto. C’era prudenza. Ma grazie a quelle lacrime “lo fecero passare”. Dall’inferno al pardiso destinazione Lussemburgo. Papà Fahrudin era un calciatore e “Mire” lo emulava, tra gli altri ragazzini era il più forte per distacco. Consigli e raccomandazioni: “E’ la testa che ti permette di diventare un professionista, ricordatelo sempre”. A 13 anni il Metz, stavolta l’impatto è un po’ più forte. “Era un ragazzo meraviglioso da allenare, molto altruista”.
Giochi di esordi, di prime volte, di prime punizioni. Più una strana “somiglianza fisica con Michael Owen”. Infine il Lione, nel 2008, un 18enne come tanti in una squadra di campioni. E di campionati stravinti: “Ogni stagione è stata un salto di qualità”. A quei tempi Miralem era solo un ragazzino, pure senza barba. “Scommessa” lo chiamavano, meglio non esagerare coi giudizi. Poi, però, Miralem è diventato Pjanic. Un nome. Il Pianista che eliminò il Real con un sigillo dei suoi, uno che fulminava portieri con una punizione (ps: marchio di fabbrica). Juninho era il suo mentore, passava giorni interi ad osservarlo: “Arrivò molto giovane, già calciava bene. Ora è ai livelli di Bale e Cristiano Ronaldo”. Merito di una tecnica tutta sua, personalizzata, di traiettorie diventate uniche dopo consigli ed attenzioni. “Magician” dal piede d’oro pure in Nazionale, la sua Bosnia. Questioni di cuore, d’identità, perché avrebbe potuto vestire anche la Francia. E invece no, storia nella storia. Fino ai Mondiali. Eroe poliglotta che parla ben sei lingue.
Pjanic è diventato tutte queste cose e col tempo le ha pure mantenute. Ingigantite. Anche nei costi, perché il Lione lo pagò appena 7.5 milioni, mentre la Juve ne ha sborsati 32. Oggi gioca per la Juve, prima ancora per la Roma. Qualche ombra e tante luci. “Continuità ne abbiamo?”. Da sempre un suo difetto col tempo limato. Perché resta uno dei migliori centrocamposti per numero di gol e rendimento. Tutto merito del Lione di Claude Puel, dove ebbe inizio la Leggenda del Pianista che stavolta suona sullo Stadium. Ripensando, comunque, a quei primi squilli con l’OL che facevano vibrare le corde più nascoste. Non per caso, non per fortuna. Per talento.
Stasera Pjanic sfiderà il Lione in Champions League per la prima volta da avversario. I tempi sono cambiati, le stagioni pure. Vorremmo scrivere che almeno lo stadio è rimasto lo stesso ma è cambiato pure quello: al posto del Gerland c’è il nuovo Parco OL. Pjanic si guarderà attorno un po’ spaesato, forse sì. In fondo son passati più di sei anni dall’addio (a proposito: 121 presenze con l’OL, 16 reti). Ma ritroverà l’affetto dei tifosi. Quelli che l’hanno amato, coccolato e infine lanciato. Perché per comprendere Miralem Pjanic bisogna guardare in casa OL. Le origini, i graffi di un talento e le 3 stagioni senza trofei: “Ho collezionato secondi e terzi posti, è un rammarico”. Inevitabili giochi di specchi. Guarderà se stesso, vedrà un altro giocatore. Stavolta con la barba. E gli stessi occhi “affamati” di chi è stato in silenzio e poi ha “colpito”. Perché Mire ha sofferto, ha pazientato, è stato in panchina quand’era meritata e anche quando non lo era. Ha fatto il trequartista, la mezz’ala, il regista, pure l’esterno. Ha pagato anche il dualismo con Gourcuff nell’ultima stagione. Non è stato facile: “Ho cambiato tutto, gli allenamenti erano più duri, mi sono abituato ai nuovi ritmi, alla nuova città. Ho lavorato tanto. Ma col tempo…”. Col tempo è diventato Miralem Pjanic.