Perugia, Prcic: “Mi manda Pjanic. Sono cresciuto nella stessa scuola calcio di Menez”
Sanjin Prcic erede di Miralem Pjanic? Storie simili. Entrambi di origini bosniache, di scuola calcistica francese e con l’Italia nel destino. Simile anche la posizione in campo, ma Prcic, a differenza della stella del centrocampo giallorosso ha ancora tutto da dimostrare. A Perugia Sanjin ha avuto l’opportunità di mettere in luce il suo talento: “Ho chiesto di andare a giocare con continuità” – si legge nelle pagine di B Magazine – “Questo è l’unico modo che ha un calciatore per dimostrare il proprio valore e per migliorare costantemente. Il Perugia mi ha voluto fortemente. Roberto Goretti, responsabile dell’area tecnica del Perugia, è venuto tre volte a Torino a incontrarmi. Mi ha detto che interessavo al club, che avrei dovuto essere molto motivato, giustamente si cautelava, perché questa per me è la prima volta che gioca in una Seconda Divisione. Io ho risposto che volevo giocare, che avrei dato tutto, che poco mi importava la categoria nella quale è il Perugia. A Torino mi dicevano che avrei dovuto apprendere il modo di stare in campo che c’è in Italia, quindi l’offerta del Perugia, più che gradita, è stata accettata”.
Differenze tra campionato francese e italiano? “Da voi c’è molta più tattica, i calciatori sono bravi tecnicamente, ma hanno molte più conoscenze tattiche di chi viene dall’estero. Ci sono tanti concetti che sviluppate molto: coperture preventive, linee di copertura; in molte nazioni si gioca di reparto, qui si gioca di squadra. Quello che apprendi in settimana devi mostralo in partita, contro avversari bravi, preparati e motivati come te. Per questo avevo bisogno del confronto, dell’adrenalina del match. L’anno scorso a Rennes ho giocato 17 partite, le due presenze della prima parte di campionato non potevano bastare. E ora sono felice dello spazio che mi sono ritagliato a Perugia”. Con gli umbri ha già segnato tre gol: “Tre tiri da fuori area, tre conclusioni forti, sulle quali i portieri non sono arrivati. Il tiro è una delle mie qualità, anche se la più importante è la visione di gioco, che unisco alla volontà di sacrificarmi, di rincorrere l’avversario. Oltre alle esercitazioni proposte dall’allenatore, qualche volta, dopo la seduta, mi fermo a calciare, mi esercito. Facevo così anche in Francia, la tecnica individuale l’ho appresa al Centro di Formazione di Sochaux“.
Nel club francese ha affinato il suo talento: “Sochaux che non solo è una società tra le più importanti della Francia, ma è anche Centro di Formazione Federale: 20 chilometri la mattina e altrettanti la sera, in mezzo scuola e allenamenti. A Sochaux è cresciuto Jeremy Menez, che tutti voi conoscete bene. Quella dei Centri di Formazione, mi hanno detto, fu un’intuizione della federazione, creare dei centri nei quali far studiare e insegnare calcio: mattina a scuola, quindi allenamento, pranzo, compiti e ancora allenamento. Poi a casa, esausto, ma felice. Ma chi veniva da lontano si fermava a dormire nella struttura e tornava a casa solo nel fine settimana. Bisoli? Il mister è molto generoso, partecipa moltissimo, è una miniera di consigli… Parla, suggerisce, urla… la squadra lo segue e cresce. Nazionale? Nel periodo nel quale facevo panchina giustamente non sono stato chiamato, ma appena ho ripreso a giocare con continuità, Baždarevic mi ha richiamato. Ho giocato sia contro il Lussemburgo sia contro l’Austria. Pjanić? L’ho contattato prima di venire al Torino e lui mi ha detto: ‘Accetta subito, vieni in Italia!’. E così ho fatto”.