“Grazie Chievo, ormai sei casa mia”. Nel mondo di Pellissier: “Io, il 31, il Napoli, la Nazionale. E guai a chiamarmi finito!”
“Alt, parola d’ordine?”. Semplicità. Basta questa per entrare nel suo mondo, capirlo. Chiave di volta di un successo che lui tende a sminuire: “Magari tra qualche tempo non mi riconosceranno più, neanche per strada!”. Difficile. Recordman, capitano. Quasi un Totti… veronese? Sorrisone: “Non posso competere con lui, Maldini e tanti altri”. Ma? “Ciò che ho fatto rimarrà sempre dentro di me”. Questione di carattere. “Umile, testardo, orgoglioso”. Con due moniti: “Rispetto per tutti, non mollare mai”. E guai a chiamarlo finito: “Io? A 37 anni sono ancora utile, posso dire la mia e continuare a segnare!”. Uno, cinque, dieci gol. Fino a 100. Tutti in Serie A, tutti con la maglia del Chievo. Dal primo al Parma all’ultimo col Palermo, siglato domenica. Semplicità, parola d’ordine di Sergio Pellissier, che si racconta in esclusiva su Gianlucadimarzio.com. “E che soddisfazione! Poi adesso…”. Stagioni complicate: “Quando non sei più indispensabile come prima c’è sconforto, ma al tempo stesso voglia di dimostrare di non essere finito. Non credono in me? Bene, gli dimostro che posso lasciare il segno. Ancora, sempre. Sono fatto così. E questo ti fa sentire pronto”. Goldaniga sbaglia, lui no. Guizzo: “L’importante è esserci”. Di smettere non se ne parla: “Voglio continuare, finché il fisico regge il mio obiettivo è divertirmi, ottenere risultati e giocare. Poi sai che c’è…”. Cosa? “Il giorno in cui mi sveglierò e non riuscirò a muovermi come un tempo smetterò, ma per ora non ne ho alcuna intenzione!”.
L’UOMO, L’ESEMPIO
Riferimento, bandiera. 461 presenze e 126 reti con una sola maglia. Via dal Chievo? Non se ne parla: “Durante gli anni ho ricevuto una marea di proposte! Ma la società non ha mai voluto cedermi”. Il Napoli ci andò vicino: “Era il 2009, De Laurentiis e Marino volevano prendermi a tutti i costi, ma Campedelli non ne ha mai voluto sapere”. Meglio l’Arena, ormai “casa sua”. Gioie e dolori: “Ho vissuto tutto qui, momenti belli e brutti. Ma mi sono sempre sentito a casa. Promozione, retrocessione, la Champions e l’Europa. Sono fiero di aver raggiunto tanti risultati”. Che ricordi con Delneri: “Ha cercato in ogni modo di farmi giocare, è stato il primo a darmi fiducia. Tutt’ora lo ringrazio”. Da Corradi a Marazzina, tanti partner d’attacco: “Eh sì, ma quelli con cui mi sono trovato meglio sono stati Amauri e Tiribocchi, nell’anno dell’Europa. Non importava chi giocasse, c’era amicizia. Ci siamo divertiti”. Come con Paloschi: “Ragazzo eccezionale, gli ho sempre dato tanti consigli. Ascoltava, è un tipo serio”. Qual è il segreto di Pellissier, invece? “In campo, come nella vita. Rispetto tutti, anche gli insulti dei tifosi avversari. Non andrei mai sotto la curva degli altri ad esultare, non fa parte di ciò che sono”. Esempio di lealtà sportiva: “E’ quello che la gente apprezza di più”. Antieroe con un modello: “Non mi piacciono i personaggi troppo appariscenti, non mi rappresentano. Impazzivo per Baggio, ero un suo tifoso”. E che emozione l’esordio in Serie A: “Proprio contro di lui!”. Fotogramma speciale: “Un ricordo bellissimo, avevo un sogno e l’ho realizzato. Mi considero fortunato dai”.
IL “MISTERO” DEL 31
In principio fu la Val d’Aosta: “Sono cresciuto lì, amo il freddo e le montagne, davvero fantastiche”. Da piccolino andava giù come un fulmine: “Piste nere, rosse, blu! Tutte. Ma è da quando avevo 14 anni che non vado sugli sci, non so nemmeno se riuscirei a scendere a valle”. Spazio al calcio: “Ho iniziato a Torino, ma non credevo di poter riuscire ad arrivare in Serie A, sono sincero”. Basso profilo: “Speravo di esordire in prima squadra, ma non ci pensavo. Poi a Torino era difficile, non hanno mai creduto in me e ho avuto poco spazio, poi però…”. Deus ex machina Chievo: “Ringrazio il ds Sartori e il presidente Campedelli, mi hanno dato fiducia. Ed è grazie a loro che ho iniziato la mia carriera, il Toro voleva darmi via a tutti i costi”. Prima, però, un paio d’anni alla Spal: “Lì ho capito che sarei diventato un calciatore”. Incontri speciali lungo il Po: “Eh sì, a Ferrara ho conosciuto Micaela, la mia futura moglie. Lavorava nel ristorante dove andavo a mangiare, convenzionato con la Spal. E’ una delle parti più importanti della mia vita e della mia carriera”. Ah, l’amore. C’entra anche col numero, il mitico 31: “Volevo l’11, ma era conteso tra due giocatori e lasciai perdere, scelsi il 21”. Problemino: “Quell’anno arrivò Bierhoff, che agli Europei aveva segnato diversi gol proprio col 21. Me lo chiese e allora glielo lasciai, ma non sapevo quale prendere…”. Scelta di cuore: “Mia moglie avrebbe compiuto 31 anni, così scelsi quello. Poi è rimasto”. Indelebile come un tripletta alla Juventus: “Indimenticabile, unica, la prima in carriera. E’ difficile dimenticare un giorno così, poi Buffon è uno dei migliori del mondo”. Conserva ancora il pallone: “Con gli anni si è sgonfiato, ma è sempre lì”. Dalla Juve, al Toro. Forse il gol più significativo: “Volevo far capire alla dirigenza che si erano sbagliati, ricordo che all’esordio un giornalista mi diede 5 in pagella. Scrisse che il Torino non aveva perso nulla, io me la legai al dito. Sono un tipo orgoglioso. Ho segnato e sono stato contento, erano loro ad aver perso qualcosa”.
GREATEST HITS
Schietto. Pellissier ha fatto del silenzio la sua miglior virtù. Nessuna polemica, nessun “colpo” di testa che non fosse un lampo in zona gol. Zero eccessi, solo lavoro. Una dote apprezzata da tutti, anche dai tifosi dell’Hellas, storica rivale del Chievo: “Nei momenti di difficoltà ci sono stati, anche loro mi hanno aiutato a non mollare”. Parentesi di vita e di carriera, come l’esordio – con gol! – in Nazionale: “Lì mi sono sentito un calciatore, è stata la ciliegina sulla torta della mia carriera”. Altro mondo: “Hai tutto a disposizione, la mattina mi svegliavo e c’erano venti copie di giornali, una per ognuno di noi. Piccoli dettagli che ti fanno capire che sei al top”. Girata col sinistro e via, fotogrammi: “Gol sentito, ma inaspettato. Non ci ho proprio pensato, mi è venuto così. Mezza rovesciata e palla in rete. Anche Lippi mi fece i complimenti, rimarrà per sempre”. Esattamente come le parole del presidente Campedelli, storico patron del Chievo alla guida dal ’92: “Nel momento in cui sono stato messo da parte mi ha fatto sentire la sua vicinanza”. Una frase storica: “Giochi? Non giochi? Non mi interessa, mi disse. Finché vorrà giocare in questa società, un posto per lei ci sarà sempre”. Incancellabili: “Nonostante non stessi giocando più come prima, mi ha fatto sentire il suo affetto. Non lo dimentico”. Futuro ancora incerto: “Allenare? Non saprei, sono troppo istintivo. Mi piacerebbe ricoprire un ruolo di responsabilità, ma ora non ci penso”. C’è ancora tempo, no? “Beh, me lo auguro!”. Perché il gol più bello è quello che deve ancora segnare. Chiusura semplice, ma significativa. La miglior virtù di Sergio Pellissier.