“O Capitano, mio Capitano!”: Cristian Agnelli, l’emblema della promozione del Foggia
I “Cavalli Stalloni” è il nome convenzionale col quale i foggiani indicano una zona posta a sud della città. C’è un ippodromo, in disuso oramai da anni. Siamo nei pressi del quartiere fieristico, verso l’imbocco della statale che da Foggia conduce a Bari. E’ cresciuto da quelle parti, Cristian Agnelli. Il campetto della Madonna del Rosario ha il cemento, ed è lì che il trentaduenne foggiano ha iniziato il suo percorso: “C’erano giorni in cui mia madre doveva quasi chiudermi dentro casa per impedirmi di uscire e di riprendere a giocare a calcio con i miei amici. Magari la nuova generazione è un po’ più pigra, lo noto anche con mio figlio Gerardo. Ma in quegli anni, era diverso. C’era troppa voglia di giocare, giocare sempre”. Gerardo e Melissa, sono i figli del capitano del Foggia. Sempre al seguito del papà. Lei ci ha messo pure faccia e voce nel video con il quale la società chiamava a raccolta tutti, sotto Natale, nel periodo più difficile. La letterina di Melissa a Babbo Natale commosse tutti: “Io ho tanti hobby, mi piace la pesca, la caccia. Non vorrei mai stare fermo; ma il calcio, e il mio ruolo di capitano, mi tolgono molto di quel tempo che vorrei dedicare a loro. Ma so, e lo sa anche tutta la mia famiglia, che il Foggia non è solo il campo. Il Foggia è la visita all’orfanotrofio, l’incontro con la società, il dialogo con la tifoseria organizzata, il confronto e la pressione nei momenti di crisi”. E con sua moglie Miriam e i due bambini, lo Zaccheria ha tributato a Cristian Agnelli applausi ed elogi, lo ha incoronato, nella domenica di festa, simbolo dell’impresa che riporta il Foggia in B dopo 19 anni. C’era anche Asia, il suo pastore tedesco, con tanto di maglia numero 4 indosso.
A Natale Cristian Agnelli omaggiò ogni compagno di squadra con una bottiglia. Accompagnò ognuna di essa ad un bigliettino con due righe: “Il sogno è qualcosa che non hai, ma per il quale lotterai talmente tanto che, realizzarlo, ti cambierà la vita”. E’ una citazione, un concetto tratto dal libro “Gioco di mente” del mental coach Roberto Civitarese. “E’ un libro nel quale mi rifugio spesso, soprattutto nei momenti più difficili. Scrissi quelle parole a Natale, fa ancora più effetto vedere che cinque mesi dopo il sogno è realtà”.
E che, in effetti, la vita un po’ è già cambiata: “La consapevolezza di quello che abbiamo fatto arriverà più tardi. Forse in me giungerà quando avrò smesso di giocare a calcio. Vivo ancora un presente di responsabilità, di voglia di proseguire in questo percorso ed in questo progetto. Stiamo festeggiando tanto e io non voglio smettere di godermi questa scia di festa. Voglio incontrare la gente ogni giorno, stare in mezzo a loro. Stiamo dando vita a tante iniziative in città e in provincia, ma per me – scherza il capitano – non sono ancora abbastanza. Voglio andare nelle scuole, i bambini ci aspettano per festeggiarci. Voglio condividere con tutti questo momento”.
Agnelli è uno che sa tenere a bada le emozioni: “Piango difficilmente, sia nel bene che nel male. E se volete sapere l’unico momento in cui mi sono sciolto, ve lo dico. E’ stato a Fondi, al gol del vantaggio di Maza (nella partita dell’aritmetica promozione in B, ndr). Doveva segnare lui. Un cantabrico diventato praticamente un nostro concittadino”.
Cristian non è fuggito da Foggia. Ha contribuito a risollevare la squadra della sua città dal gradino più basso, dicendo no al Martina che, di fatto, lo avevo tesserato in Lega Pro: “Mi ritrovai in D, nell’Agosto del 2012. Malgrado i tanti sforzi di una società fatta di foggiani, non mancavano le difficoltà. Già all’inizio e prima ancora del mio arrivo. Non c’erano palloni e ogni giorno e Padalino doveva tenere dei veri e propri provini, quasi dei casting. Dovevamo tesserare giovani, non raggiungevamo il numero minimo per mettere su una squadra. E’ stato difficile e questi giorni rendono ancora più nobili quelle difficoltà e tutto ciò che quelle persone hanno fatto in quegli anni. Erano tutti foggiani, e Foggia ha bisogno della sua gente”.
Cristian Agnelli, diventato profeta in patria, è già nella storia del Foggia. Ma lui non ne ha abbastanza, tutt’altro. E sorride quando gli viene chiesto di immaginare il giorno dopo il suo ritiro dall’attività agonistica: “Non so bene come, ma il calcio rimarrà la mia vita. Mi piacerebbe studiare da allenatore, seguire i ragazzini del vivaio. E poi dare vita ad un centro sportivo, migliorare le strutture della mia città. Ma c’è ancora tanto tempo per pensarci…”. Agnelli ha perso il papà quando era piccolissimo: “Mi manca tantissimo e ho fatto tutto questo anche per lui. Io volevo dare il suo cognome a qualcosa di importante, a qualcosa che rimanesse a lungo nel tempo e nella memoria di questa città”. Anche qui regge l’emozione, Cristian.
E’ la forza e la consapevolezza di chi ce l’ha fatta.
A cura di Antonio Di Donna
Foto di Carla Bianco