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Napoli, “adieu” Garcia: quando un 4-3-3 non è la stessa cosa

Dopo cinque mesi, finisce senza applausi l’avventura del francese in azzurro

Dal 14 giugno al 13 novembre possono passare cinque mesi oppure nulla. Soprattutto se si parla di calcio a Napoli. Che va veloce, ti risucchia e finisce per portari in un vortice senza uscita. Rudi Garcia è ancora l’allenatore azzurro, ma da ieri ormai sembra un dato superfluo. Anzi, forse da qualcosa in più di ieri.

Perché l’esperienza azzurra del francese si è conclusa in realtà troppo tempo fa: sarebbe ingiusto dire che non è mai cominciata, che il feeling con la piazza non è mai scoppiato, che di napoletano Garcia ha avuto davvero poco, ma restano dati da analizzare per quello che è il terzo esonero in pochi anni per Aurelio De Laurentiis: Ancelotti, Gattuso, ora monsieur Rudi. 

 

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“Sarà l’uomo giusto per continuare il nostro 4-3-3” aveva detto il patron azzurro in estate. Invece, mai come questa volta, i numeri sono stati ancora più scarni di quanto già non lo siano nello sport. Non bastano le idee – poche quelle viste – sulla carta, non bastano le cifre, né tantomeno i moduli.

L’avventura azzurra di Garcia era cominciata tra un “Di solito il capitano lo scelgo io” che aveva fatto strabuzzare gli occhi persino a Di Lorenzo e un “Se non si può vincere, bisogna almeno non perdere”. Lecito, per carità, ma come fai a spiegarlo a una piazza trascinata per due anni dal motto “Uomini forti, destini forti” che è diventato uno dei tatuaggi più in voga degli ultimi dodici mesi? E va bene che nessuno avrebbe potuto fare meglio di Spalletti, ma nessuno si aspettava nemmeno di poter fare così male.

La scorsa sosta, tutto sembrava pronto, ma il rifiuto di Antonio Conte aveva cambiato le carte in tavola. Al Napoli di Garcia era stata riattaccata una spina senza corrente: per restare a galla bisognava vincere e convincere, gli azzurri non hanno saputo fare nessuna delle due cose.

 

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I numeri camuffano persino quanto accaduto fin qui. Perché a vederli chi si sognerebbe di parlare di fallimento? Il Napoli è quarto in classifica, in piena corsa per la qualificazione Champions che è da sempre l’obiettivo assoluto di un club che difficilmente pensa ad altro a inizio stagione. In Europa, poi, è assolutamente in linea con gli obiettivi: 7 punti nel girone Champions, ne manca uno soltanto per strappare il pass per gli ottavi di finale del torneo, obiettivo mai scontato. 

E allora cosa chiedono i detrattori di Garcia? Bisogna guardare nelle pieghe di un rapporto mai iniziato: -10 dalla capolista Inter, già quattro sconfitte in campionato, l’ultima vittoria al Maradona 47 giorni fa, prestazioni deludenti in Europa e un gioco mai gioco. Il 4-3-3 è sulla carta lo stesso di un anno fa, eppure il Napoli non è mai stato più quello. Ma nemmeno lontanamente. Questo ha sempre preoccupato i tifosi.

 

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Quali fossero le idee di Garcia – stamattina in partenza per la sua Francia – forse non lo scopriremo mai, perché dare all’allenatore francese tutte le colpe sembra anche ingiusto. Eppure ha saputo “giocare” con le sue carte. Almeno ieri contro l’Empoli, in quella che potrebbe essere l’ultima volta azzurra a tutti gli effetti.

In panchina Kvaratskhelia e Zielinski, spazio al 4-2-3-1 al’assalto della penultima in classifica. Al Maradona si è vista chiara la differenza tra Napoli e la squadra di Andreazzoli: i toscani, però, sembravano i campioni in carica, quelli organizzati, quelli bravi a studiare l’avversario prima di scendere in campo.

Garcia ci ha provato a cambiare le cose, senza riuscirci ma comunque fino alla fine. La pioggia incessante di Fuorigrotta è stato il telo finale dell’ultimo capitolo. I saluti arriveranno a distanza, così come distanti sono sempre state le parti fin qui. Perché non basta un 4-3-3 a fare un allenatore e non tutti possono essere scelti in panchina. Anche Napoli ora l’ha imparato.