Monchi: “Coloriamo Roma di giallorosso. Mercoledì giochiamo tutti, abbiamo la possibilità di fare ciò che abbiamo sempre sognato”
La Roma si avvicina alla partita più importante della sua storia recente, contro il Liverpool si parte dal 5-2 di Anfield ma i giallorossi ci credono e sperano di poter fare la storia ancora una volta. Il clima sarà infuocato, gli incidenti della gara di andata hanno contribuito ad aumentare tensioni che la squadra di Eusebio Di Francesco dovrà essere bravo ad allontanare per almeno 90 minuti. In una lunga intervista concessa a Il Romanista, il direttore sportivo giallorosso Monchi si è concentrato su questo aspetto ma anche su altri più generali riguardanti la gestione del club, come ad esempio la cessione di Salah – nuovamente avversario proprio mercoledì – quella mancata di Dzeko ma anche altri dettagli su come lui vive a Roma e la Roma. Queste le dichiarazioni del DS spagnolo.
“Prima di tutto mi piacerebbe parlare di Sean Cox, dando continuità a quello che ha detto Pallotta. Il calcio e la vita sono due cose diverse in questo caso, io sono molto cattolico e prego per lui e la sua famiglia. Siamo esseri umani, spero che lui possa tornare a tifare per la sua squadra. Personalmente non ho avuto contatti con la famiglia ma sono stati Baldissoni e Gandini, con il presidente, a curare questo aspetto. Ho letto il comunicato della curva, so che non è nemmeno una cosa così solita: siamo di fronte a una partita unica. La storia di questa società dice che solo due volte c’è stata questa possibilità. Nell’84 e ora. E questo è il momento ti dimenticare qualunque cosa e tifare per la squadra. I ragazzi della Sud hanno detto che devono portare bandiere e voce. Io dico di più, mi piacerebbe che Roma fosse colorata di giallorosso già oggi”.
“Che tutti tifosi romanisti esponessero le bandiere sul balcone e facessero capire al mondo che Roma tifa per la Roma – ha continuato – in questo momento in cui si parla di violenza facciamo capire che il tifoso della Roma non è violento. È il momento di essere uniti. Battere il Liverpool è più difficile che battere il Barcellona. Non esiste domani, finisce tutto mercoledì, non dobbiamo lasciare dentro niente. Ogni nonno, nipote, figlio, padre, madre: mercoledì giocano tutti; io ho avuto la fortuna di vincere tanto a Siviglia ma mai avevo sognato di arrivare in finale di Champions. Lo dicevo a mia moglie: ho sognato tante cose e tante ne ho realizzate, ma nella mia testa non c’è mai stata la finale di Champions. Tutti dobbiamo fare quello che dobbiamo fare. Alisson una parata, Dzeko un gol, Daniele un passaggio, gli altri che non giocano trasmettere il proprio tifo alla squadra. E dobbiamo essere convinti di poterlo fare perché così è più facile farlo. Penso che la squadra sia convinta ma non significa che sia facile“.
Monchi è uno abituato a dare la carica al gruppo anche attraverso i social: “Anche a Siviglia lo facevo, mi piace. Credo che la squadra sia convinta di potercela fare, nella consapevolezza che sia difficile. Il Liverpool ha il vantaggio del risultato, noi abbiamo l’Olimpico. Loro il 5-2 non lo stadio. Roma. Rispetto al Barcellona è diverso, noi non abbiamo meritato di perdere 4-1 lì. Forse meritavamo di perdere di più a Liverpool. Diciamo che in entrambe le partite abbiamo posto le basi per la rimonta. Quando loro hanno avuto la pressione della Roma hanno faticato, dobbiamo prendere quei 10 minuti finali per andare avanti. Certo, il fattore sorpresa stavolta non c’è. Dobbiamo fare cose diverse. Poi il calcio è mister e calciatori. Fuori dobbiamo spingere. Se il Liverpool passerà gli faremo i complimenti. Applausi. Ma che sia una festa del calcio”.
“Credo che in quanto a sicurezza si stia facendo tutto ciò che serve. Se questa situazione può pesare sull’arbitraggio? Spero di no, ho sempre creduto nell’autonomia degli arbitri. Ci sono pochi precedenti per fortuna sulle eventuali conseguenze e sulle decisioni che prenderà l’Uefa, per me l’importante è che quando un organismo prende una decisione equivalga a una soluzione al problema, che ci sia un senso nella decisione. Penso che dentro ogni calciatore ci sia un po’ di preoccupazione dopo gli incidenti dell’andata. Loro di fondo vogliono solo fare calcio“.
Poi un tuffo nel passato, alla finale col Liverpool dell’84: “Non ricordo bene – continua Monchi – ho visto qualche immagine. Per i romanisti è sempre una rivincita. Penso che ci siano tante cose sufficienti per dare la carica, per i calciatori però guardare avanti penso sia meglio. E la possibilità di fare quello che tutti hanno sognato. La carica è già al top, dobbiamo solo gestirla. Lo so che ieri, prima di ieri, c’era il Chievo ma poteva essere normale che tutti avessero la testa a mercoledì. Nessuno di noi ha avuto la possibilità di essere vicino a questo successo. Totti non l’ha mai giocata una finale? Neanche Ibrahimovic se è per questo. Daniele, Aleksandar, Edin la carica ce l’hanno. Dopo l’andata erano tristi ed è normale, può essere stata un’occasione persa. Essere qui a parlare di una finale è già un segnale di crescita. Penso che non dobbiamo fermarci qui, indipendentemente da quello che faremo. Fare una partita da grande squadra è già uno step fatto”.
“Di Francesco? È difficile trovarlo fuori strada, fuori da se stesso. Io sono un po’ più maniacale, forse così è nato il nostro rapporto. Io a volte sono un po’ più caldo. Vengo dal sud della Spagna ma anche qui fa caldo… Mi piace Di Francesco, da questo punto di vista non lo conoscevo”. Il direttore sportivo giallorosso si concentra poi anche su Patrik Schick e su altri calciatori della rosa: “Da Patrik mi aspettavo questo percorso, sapevo che non poteva riuscire subito. È vero che ha avuto un problema fisico importante, poi anche nei primi sei mesi non è mai stato bene, ha anche giocato sotto pressione. È un segno di maturità anche questo. Poteva restare indietro invece ha sempre voluto giocare e mettere la faccia. Siamo vicini a vedere il vero Schick ma credo che manchi ancora un po’. Nel primo tempo col Chievo e nella partita di Barcellona si è visto il giocatore che vogliamo vedere”.
“Ho conosciuto tanti giocatori che hanno fatto lo stesso percorso, Dani Alves ha impiegato un anno e mezzo per acquisire la fiducia di tutti, all’inizio sembrava giocatore normale. Ma lo stesso Luis Fabiano e altri. Qui abbiamo l’esempio di Under o dello stesso Pellegrini, cresciuto a Trigoria. Serve tempo. Io ho fatto il percorso a Siviglia dalla seconda alla prima squadra, un mio ex compagno, Nacho, mi diceva sempre che non è difficile arrivare ma rimanere. Il problema è restare De Rossi, Dzeko, Totti. Il bosniaco a gennaio è rimasto perché è felice qui. Il suo profilo non corrispondeva ai programmi del Chelsea, capita che si tratti ma non sei convinto e pensi a come uscirne. Nessuno era convinto ed Edin è uscito prima di Emerson”.
Monchi riavvolge il nastro: “Prima è arrivata la possibilità di cedere l’attaccante piuttosto che il difensore. La cessione di Emerson ci ha aiutato a essere più tranquilli. Quando si complica Emerson andiamo un po’ in fatica perché dobbiamo vendere. Per questo il percorso di Edin è stato più lungo. Non è facile negoziare sapendo che hai bisogno di soldi, quando abbiamo trovato l’accordo per Emerson è stato più semplice uscire dalla questione Dzeko. La filosofia di cessione della Roma oggi potrebbe portare a vendere ad esempio un Totti a 26 anni? Non lo so, magari trovi altri calciatori che ti consentono di non vendere Totti. Come nel caso Salah. La Roma vende lui, Paredes e Rudiger e chiude sotto di 42 milioni. Non è stato facile, dovevamo trovare soluzioni ma ora è diverso. Vendere dipende da noi. è cambiata la situazione, non so se è totalmente ma comunque tanto. Continuiamo con un’ambizione forte”.
“È vero che qualche volta dobbiamo vendere ma abbiamo una squadra forte. La medaglia ha due volti e spesso non si guardano entrambi. I tifosi tifano per i calciatori e per il successo. Totti come Daniele è una cosa diversa. Comprendere la propria squadra per me significa anche capire questo. Sai che loro sono l’ultima cosa che devi toccare. Vendi la macchina, vedi un gioiello, per ultimo vendi la casa di tuo padre. Sai quali sono le priorità. Noi abbiamo venduto la macchina. Oggi le cose sono cambiate, non siamo in una situazione perfetta ma migliore sì. Preferisco giocatori forti che mi fanno vincere piuttosto che tifosi della propria squadra. A me piacciono i mercenari che si fanno pagare, rendono per quel che valgono. I tifosi vogliono un calciatore perché è forte. Non sono scemi. Nainggolan è un beniamino perché è forte”.
Infine Monchi si sofferma sulla sua esperienza a Roma: “Ho ancora tanto da imparare, sono un tifoso del Siviglia ma oggi tifo Roma. Me lo immaginavo più o meno così, sapevo che era una piazza calda ma non conoscevo la dimensione. Le ripercussioni che ci sono qui non le conoscevo. Si lavora all’aria aperta, alla luce del sole, può essere una cosa buona ma anche negativa e questo l’ho capito con il tempo. Ho dovuto cercare il Monchi che serviva alla Roma, quello di Siviglia forse non serve. Mi sono abituato anche se non è stato facile sapere che qualunque cosa fai scontenti qualcuno. Mi è servito del tempo per far capire che non ero matto. Io forse sono erede un po’ di Bilardo. Sono maniaco dei dettagli e su alcune cose tanti poi mi hanno dato ragione. Vale anche per lo spogliatoio, i magazzinieri, i fisioterapisti. Ci sono cose in cui credo, gli striscioni di sabato non portano i gol ma la somma di cose piccole porta a cose grandi”.
“Non ho mai pensato di aver sbagliato scelta, magari dovevo capire meglio dove ero arrivato. Sono un tipo metodico e mi sono fidato dell’istinto, ho fatto il fenomeno, ho pensato che potevo ripetere Siviglia ma per essere felice ho bisogno di altre cose. In Spagna il presidente mi avrebbe dato quello che volevo. Il piano partita per mercoledì? Dobbiamo arrivare nel secondo tempo con la possibilità di crederci“.