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“Meravigliosamente, incredibilmente Drogba”: 39 anni oggi, buon compleanno “Tito”

And the Oscar goes to… “Tito’s night in Munich”. L’attore che interpreta Didier Drogba sale sul palco insieme al regista e a tutto il team che ha realizzato il film, mentre scorre la clip con le immagini di quella notte lì. Nessuna finzione però, è tutto vero. Perché l’abbiamo pensato tutti: forse nemmeno uno sceneggiatore di Hollywood sarebbe arrivato a tanto, nessun regista avrebbe immaginato un epilogo così: Tito, il soprannome che gli diede la mamma, che consegna la Champions League al Chelsea nella sua ultima partita in blues. Prima pareggiando allo scadere con un colpo di testa su calcio d’angolo, poi segnando il rigore decisivo. In mezzo, un rigore causato per il Bayern durante i tempi supplementari, quando disse a Robben: “Tu sei del Chelsea, non puoi farci questo. E in ogni caso, sappiamo come tiri.” Sceneggiatura? No, realtà. Robben tira tra le braccia di Cech, il resto è storia.

Nessun film, nessun Oscar, d’accordo. Ma la storia esiste e parte da lontano, racconta di un inizio di carriera non facile per Drogba. Il primo trasferimento in Francia da Abidjan, seguendo uno zio calciatore, il ritorno in Costa d’Avorio, il nuovo trasferimento con la famiglia vivendo in condizioni non proprio agiate. E quel confine sottile, tra restare uno dei tanti giovani arrivati in Francia in cerca di fortuna e diventare un grande calciatore. Un avvio difficile anche in campo, con Didier non abituato ai ritmi europei. Siamo nel 1997 e il Le Mans è il suo primo banco di prova, superato sì, ma non senza difficoltà d’adattamento. E’ il Guingamp a credere definitivamente in lui nel 2002, Drogba ripaga con 20 gol in 45 presenze. Arriva il primo turning-point della carriera: nel 2003 lo chiama il Marsiglia.

Drogba e Malouda al Guingamp.

31 gol in una sola stagione, squadra trascinata in finale di Coppa Uefa (poi persa con il Valencia), l’ambiente ideale, una casa comprata sulla costa, l’impressione che Drogba, seppur un po’ tardi, fosse diventato grande. Ed è proprio questo, forse, che lo spinge a lasciare la squadra dopo soltanto un anno. Al Chelsea di Mourinho non si può dir di no, nemmeno all’opportunità di fare il salto di qualità sperato durante gli anni in quel piccolo appartamento in cui viveva con i suoi. Comincia la leggenda, lunga 8 anni… E che si alimenta di tanti momenti: a partire dal record come trasferimento più caro nella storia del Chelsea (poi abbondantemente battuto, ma questa è un’altra storia); la doppietta in finale di Coppa di Lega contro l’Arsenal nel 2007, i gol decisivi nelle finali di FA Cup, tra cui il primo in una competizione ufficiale nel nuovo Wembley; la scarpa d’oro nel 2007… e quella nel 2010, le due Premier League consecutive, quella vinta con Ancelotti (fu un double), la nomina come miglior giocatore nella storia del Chelsea, nel 2012. Lui, non Terry o Lampard, per dire. Due che qualcosa, dalle parti di Stamford Bridge, hanno significato. Quel Terry che Drogba scambiò per un giocatore delle giovanili: “Portiamolo in prima squadra!”. “E’ il capitano, Didier…”. Bene ma non benissimo. Quel Lampard che fu decisivo per farlo rimanere, nel 2006: “Ero in vacanza a Marrakesh e mi arriva un sms. ‘Spero che resterai, perché dobbiamo vincere. Insieme. Frank non mi aveva mai scritto in due anni e parlava poco. Restai a fissare il cellulare”. Il Chelsea lo lascerà nel 2012, dopo sappiamo cosa. Comincerà così la fase della sua carriera da viandante: Shanghai Shenhua, Galatasaray (con il Chelsea affrontato da avversario nel 2014 in un ottavo di Champions League), Montreal Impact. E il ritorno, nel 2014/15 al Chelsea: da leggenda. Perché ogni storia contempla un ritorno prima dell’addio definitivo. Quello di Drogba a Stamford Bridge non va spiegato a parole:

L’ultima, stavolta davvero, partita di Drogba col Chelsea. (Getty Images)

Una leggenda che Drogba non è riuscito a scrivere con la sua Nazionale. L’ha sfiorata. Ne è comunque un’icona: l’aveva già lasciata quando gli Elefanti tornarono a vincere la Coppa d’Africa nel 2015, dopo 23 anni. Ma l’aveva accarezzata e portata due volte al secondo posto, nel 2012 e nel 2006, stesso anno in cui condusse, per la prima volta nella storia, la Costa D’Avorio in una fase finale dei mondiali. Oggi, Drogba, non si è ancora ufficialmente ritirato. Compie 39 anni, un buon motivo per ripercorrerne la storia. Come leggere un libro. O guardare un film. E ogni racconto, letterario o cinematografico, ha un momento cult. “Tito’s night in Munich”. Forse non si chiamerebbe così, eppure quello è stato il momento che ha sublimato la leggenda di Drogba. Quella notte ha fatto pace con se stesso e con il destino: perché in Champions League, fino ad allora, era ricordato per l’espulsione a Mosca quattro anni prima e per la sfuriata contro Ovrebo dopo la semifinale contro il Barcellona nel 2009. L’affermazione europea gli era sfuggita già col Marsiglia, stava assumendo i tratti di una sfuggente maledizione. Ma “Tito” non è il tipo che crede a queste cose. La fede ha avuto un ruolo fondamentale nella sua carriera: andate a rivedere qual è la prima cosa che fa dopo aver segnato il rigore all’Allianz. Un ringraziamento, per qualcosa che finalmente riusciva ad afferrare. E a regalare, per la prima volta, a chi come lui ci aveva creduto. Non è forse questo il senso di molti film?