Mattia Mustacchio, il “biondo” che fa impazzire Perugia. “Dovevo svoltare, sono partito dai capelli”
I chilometri sulla fascia. Avanti e indietro a destra, aspettando l’occasione per colpire. Che arriva a un quarto d’ora dalla fine: scambio con Cerri e diagonale alle spalle di Vigorito. Il Frosinone cade per la prima volta nel suo stadio, Mattia Mustacchio corre dall’altra parte del campo, in braccio a 400 tifosi perugini.
Poche settimane fa sembrava sul punto di salutarli. Il Frosinone premeva per averlo come rinforzo promozione. È rimasto a Perugia ed è diventato il primo pirata a portarsi via lo scalpo del “Benito Stirpe”, immacolato finora: 9 vittorie e 4 pareggi, un tabellino “macchiato” dal ragazzo di Chiari con i capelli ossigenati.
“Li ho tinti così, perché avevo bisogno di una svolta”, sorride ai microfoni di gianlucadimarzio.com. “Venivo da mesi difficili e una sera a cena con mia moglie Paola abbiamo deciso di cambiare qualcosa. Direi che quantomeno ha portato bene”.
Una scommessa vinta ripensando a un passato felice. Sì, perché il cambio di capigliatura non è una novità per l’esterno alto perugino. “Avevo fatto la stessa cosa quando mi allenava Longo a Vercelli e anche lì le cose erano migliorate. Oggi sarà stato meno contento di vedermi così, ma gli voglio comunque bene…”.
Magari non gli avrà fatto venire i capelli biondi, ma per tutta la partita Mustacchio è stato una spina nel fianco per il Frosinone di mister Longo.
Sacrificio e dinamismo, vicino alle punte e vigile nelle chiusure. Quinto di centrocampo con licenza di attaccare e doveri difensivi da sbrigare. “Mi trovo bene in questo sistema. Ho molto campo da esplorare e posso liberare meglio le mie qualità. A volte giocavo così anche con Mazzarri ai tempi della Sampdoria”. Attaccante o esterno di centrocampo, un equivoco e al tempo stesso una qualità che ha accompagnato tutta la carriera di Mattia. Quasi dieci anni fa esordiva in serie A con la maglia blucerchiata. Lo faceva con un allenatore che aveva la fama di fidarsi poco dei giovani. In quei giorni, Mazzarri lo chiamava “flipper” e scommetteva su di lui, ragazzo dell’89, nato sulle rive del lago d’Iseo e cresciuto nel Brescia.
Uno che con la Primavera della Samp aveva vinto Coppa Italia e campionato nel 2008. La Nazionale under 21 con Casiraghi allenatore, l’esordio in Europa League, un ottimo mondiale under 20 in Egitto.
Sembrava il preludio di una grande carriera e invece il cammino verso la gloria ha subito un rallentamento. Un paradosso per uno capace di correre i 100 metri sotto i 12 secondi.
Quattro anni a Vicenza fra il 2011 e il 2014, il soprannome MM7 coniato dai tifosi biancorossi. “E pensare che non avevo neanche quel numero…”. Riferimento nobile: CR7. Un modo di celebrare le sue cavalcate, purtroppo per Mattia non accompagnate dallo stesso numero di reti del portoghese. Difficile segnare tanto, cambiando sempre ruolo. In 88 presenze col Vicenza, almeno 8 ruoli ricoperti. Un manifesto di generosità, ma forse anche uno spreco.
Ad Ascoli ha trovato il numero 7 e riconquistato quella serie B persa nell’ultimo anno in Veneto. Poi il trasferimento a Vercelli, prima con Foscarini poi con Moreno Longo. “Un grande allenatore. Il Frosinone è nelle mani giuste per conquistare i traguardi a cui ambisce”. Stima reciproca, perché Longo lo avrebbe ripreso volentieri per la volata finale. “So che c’è stata un’offerta, la società l’ha valutata e ha deciso di non accettarla. Io sono contentissimo con questa maglia addosso”.
La indossa dal gennaio dello scorso anno. L’ha fatta volare sul prato del Benito Stirpe per liberare la sua gioia. Un’escursione nella follia, un po’ come quelle gite col suo fuoristrada insieme a Paola, sua compagna di vita e consigliera fedele. “Non è facile starmi vicino quando le cose vanno male, lei sa sempre come prendermi”.
Le difese avversarie invece un po’ meno. Breda conta su di lui per arrivare ai playoff. Mattia, il 9 sulle spalle e il 7 in una testa dipinta di biondo. Il numero di chi ama correre e stupire.
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