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Maniero ci racconta il Recoba del Venezia: “Odiava la corsa e parlava… dialetto veneto! E le sue punizioni…”

“Una cena per tutti gli assist che ti ha fatto non gliel’hai mai offerta?”. Pippo Maniero non trattiene una risata quanto mai spontanea, forse sorpreso dalla domanda. E replica sincero: “No, mai!”. Poi però passa subito al dessert con parole al miele: “Sembrava giocassimo assieme da dieci anni eppure non ci conoscevamo nemmeno. Bastava uno sguardo per capire che movimento dovessi fare, intuivo subito dove mi l’avrebbe messo il pallone. Non so spiegarlo, una chimica naturale”. Una coppia che ha fatto scoppiare le difese avversarie: Filippo Maniero feat Alvaro Recoba. E che spettacolo quel Venezia dei miracoli! “Da quando arrivò il Chino – gennaio 1999 con Marotta ds – il Venezia iniziò a volare, ci salvammo con due giornate d’anticipo e quasi quasi arrivavamo in Europa. In cinque mesi io segnai 12 gol, lui 11”. E chiamarli solo gol è davvero riduttivo: punizioni, colpi di tacco, botte dalla distanza e tiri al volo. Poesia

Filippo Maniero racconta il ‘Chino’ Recoba in esclusiva per gianlucadimazio.com. “Sai che si ritira? Il 31 marzo ci sarà la sua partita d’addio” è la mia seconda domanda. Pippo cambia tono e dice la sua: “Ha dato tanto”. Al Venezia di Zamparini tantissimo, una salvezza che profuma ancora di scudetto. “Fu accolto come il messia” svela Maniero. “All’Inter aveva già fatto vedere di cosa fosse capace. Alla tv si erano già visti alcuni gol, giocate importanti da parte di un ragazzo poco più che ventenne. In una squadra ‘normale’ come la nostra puoi immaginarti. La piazza impazzì totalmente, noi eravamo elettrizzati… pur non lo avessimo ancora visto giocare dal vivo!”. In campo nessun problema di comunicazione, i piedi del Chino cantavano. Ma fuori? “L’italiano lo parlava già abbastanza bene” glissa Pippo. Che poi però si sbottona e narra l’inganno. “In quella squadra si parlava più il dialetto veneto che l’italiano: Pavan, Dal Canto, De Franceschi, io. Una squadra di veneti. La nostra parlata – o con le buone o con le cattive – veniva assimilata anche dagli altri alla fin fine. E col tempo pure Recoba l’ha imparato”. Il compagno che gli è stato più vicino nei suoi primi mesi? “All’inizio aveva come punto di riferimento Ciccio Pedone. Aveva preso una casa che confinava proprio con quella di Pedone. Stavano sempre insieme, venivano all’allenamento, andavano anche a cena insieme con tanto di famiglie”. 

“Amava giocare a calcio, toccare il pallone. Durante la settimana era uno spettacolo vederlo, nelle partitelle soprattutto. Poi però… “. Attimi di suspance, i dolori del Chino secondo Maniero: “Nelle ripetute non lo vedevi neanche!”. E giù a ridere. Ma discorso che torna serio, aneddoti preziosi. “Odiava la corsa, la tattica: era disgustato da queste cose. E Novellino diventava matto”. Il bello deve ancora venire. “Il mercoledì c’era il doppio allenamento, il mattino era sempre parte atletica. Lui ogni mercoledì – l’allenamento iniziava alle 10 – arrivava alle 10 meno due minuti, sistematicamente. Poi tempo di cambiarsi e tutto… non iniziava mai in orario come gli altri”. Ma occhio al programma: “Aveva con una faccia che sembrava si fosse svegliato da dieci minuti, due occhi che non ti dico. Faceva morire dal ridere, di uno svogliato unico. Il mister si incazzava ma capiva e poi chiudeva un occhio. Anche perché insomma diciamolo, alla domenica la risolveva lui. Recoba era uno che voleva farsi coccolare, sentirsi importante”. Vi ricordate sue punizioni? Telecomandate. Maniero racconta un altro particolare: “Durante la settimana lui non è che stesse lì a provarle continuamente, poi però in partita gli venivano naturali. Baggio – con cui ho giocato a Brescia – ogni venerdì si fermava da solo a fine allenamento e calciava, provava. Uguale Mihajlovic: a fine allenamento si metteva lì con la barriera e ne provava una decina, una ventina. Recoba no, era talmente conscio del suo potenziale che forse non gli serviva. Quando capitava o la buttava dentro oppure usciva di poco”. Come preparava le partite? Magari non dormiva la notte, non mangiava, si agitava. Macché. “Con la solita flemma. Era tranquillissimo, sempre! Non gli pesava mai. Che fosse stata l’ultima in classifica o la prima era indifferente per lui. Forse era talmente forte a livello psicologico che sapeva come sarebbe andata a finire. In quei sei mesi non ha mai sbagliato una partita penso”. Concentrato di talento, il Chino a Venezia. In una parola? Poesia