Lazio, Inzaghi: “Futuro? Mi sento realizzato, perché alleno la squadra del cuore. Ma non si sa mai…”
“Mi sento realizzato, perché alleno nella mia città, perché sono laziale e sono tifoso…”. Diciassette anni di Lazio per Simone Inzaghi, l’allenatore del momento. I biancocelesti hanno vinto la doppia sfida dei derby, sono in finale di Coppa Italia e si trovano a meno 4 dal terzo posto. E dire che Simone non rientrava nei piani di Lotito… “Invece si vede che tutti abbiamo un nostro destino assegnato e così ci sono stati problemi con Bielsa e a quel punto, come era giusto, mi hanno richiamato” – si legge nelle pagine del Corriere dello Sport –“Probabilmente qualcun altro avrebbe storto il naso, si sarebbe risentito, avrebbe detto no, avrebbe detto “mi è stata tolta un po’ di leadership”, avrebbe rifiutato di passare come seconda scelta. Però sapevo che la mia leadership, quella che contava, l’avrei potuta riconquistare con la gente a suon di risultati. E, per la squadra, sapevo che con i miei giocatori, nonostante fossi una scelta tra virgolette di ripiego, la leadership non l’avrei mai persa. Perché sapevo che i ragazzi mi avrebbero riaccolto a braccia aperte. E così è stato”.
Gli inizi: “Ho cominciato a San Nicolò, nel paese dove siamo nati mio fratello ed io. Paese dove tuttora abitano i miei genitori. San Nicolò è una cittadina a cinque chilometri da Piacenza, settemila abitanti. Giocavamo sempre a calcio. Abbiamo cominciato lì. Poi, facendo i campionati pulcini, ci videro squadre come Milan, Inter, Atalanta che erano più blasonate del Piacenza, erano squadre di serie A. Noi potevamo andare lì o potevamo andare a Piacenza che all’epoca, come purtroppo è adesso, era in serie C. Ma, per non allontanarci da casa e da papà e mamma, abbiamo preferito andare a giocare nel Piacenza, convinti che poi le nostre qualità sarebbero potute uscire anche giocando lì e non solo nelle grandi squadre. E così è stato. Noi eravamo pazzi per il Piacenza però c’era nostro padre che era milanista e simpatizzavamo Milan. Ma la cosa che ci interessava di più era il Piacenza”.
Il giorno dell’esordio in A: “Venne Materazzi in camera e bussò alla porta. Le panchine erano più corte, all’epoca, si andava in diciotto e pensavo venisse a dirmi che, probabilmente, sarei andato in tribuna. Invece mi disse che c’era da giocare titolare contro la Lazio. Arrivava la Lazio di Nedved e Salas e compagnia bella… Insomma mi disse che dovevo giocare titolare. La partita finì 1 a 1 con un mio gol al novantesimo a Marchegiani e da lì cominciò tutto. Giocai tutto il campionato. Su trenta partite ne saltai due per squalifica e due per infortunio. Le giocai tutte, feci quindici gol e l’anno dopo il mio primo campionato in A mi acquistò la Lazio. La Lazio è nel mio destino. L’esordio in serie A contro di lei e poi nel ’99 arrivo e vinciamo subito Supercoppa europea, Coppa Italia e campionato. Facciamo un triplete storico e da lì è cominciata la mia cavalcata a livello calcistico. Probabilmente avrei fatto la mia carriera ugualmente, però senza il coraggio di Materazzi secondo me sarebbe stata più dura”.
Il compagno più forte: “Sicuramente Nedved, perché era un grandissimo professionista. Il primo anno ho fatto sette gol in campionato, nove in Champions e tre in Coppa Italia. Ho fatto diciannove gol stagionali e Pavel mi ha aiutato tantissimo. E’ stato un grande giocatore ed è una grande persona. L ’ho apprezzato molto come uomo, perché allenandomi e giocando con lui, ho capito che puoi avere tantissime doti tecniche o fisiche ma l’allenamento è la prima cosa, la più importante. Pavel era il primo ad arrivare e sempre l’ultimo ad andare via da Formello. Penso, in due anni e mezzo di Lazio, di averlo visto andare due volte in centro a Roma. Per lui esisteva il campo e lì dava tutto. Più forte allenato? Se proprio devo dire un nome, farei quello di Biglia :è un giocatore che in quel ruolo, in questo momento, in Italia e in Europa secondo me non ha eguali”.
La soddisfazione di eliminare i cugini: “Avendo giocato tantissimi derby so cosa vuol dire per la nostra gente. Eravamo coscienti della difficoltà perché sulla carta, guardando i budget e i fatturati, non ci dovrebbe essere partita con la Roma. Però sapevo che facendo la nostra partita gagliarda, aggressiva, avremmo avuto grosse chance. Poi dopo la partita di andata le mie speranze sono aumentate. Alla vigilia sapevo che c’era qual-che rischio, perché abbiamo visto grandissime squadre subire rimonte pazzesche. Ma vedevo la squadra concentrata, che mi seguiva. A parte i primi dieci minuti in cui eravamo un po’ contratti, la mia sensazione, dalla panchina, era che la finale l’avremmo centrata. E’ un risultato straordinario: abbiamo eliminato Inter e Roma con le quali, per dimensione dei bilanci, non dovrebbe esserci partita. Ma abbiamo dimostrato che con la determinazione e l’umiltà si possono fare grandi cose”.
Immobile è tornato bomber: “Immobile si è rigenerato da solo, dal primo giorno che è arrivato. Mi ha colpito per come si è allenato, per lo spirito e la disponibilità a sacrificarsi che ci ha messo. Ho voluto molto che lui fosse con noi. Dopo pochi giorni ho capito, da come si allenava, che avrebbe fatto un bel campionato. Nella mia testa non sapevo dire se avrebbe fatto dieci, quindici, venticinque gol. Sapevo che avevamo indovinato l’acquisto, per la determinazione che ci avrebbe dato e perché dentro il campo è un trascinatore”. Champions? “Confrontando i budget nostro e del Napoli non ci dovrebbe essere partita. Però abbiamo dimostrato che possiamo giocarcela contro tutti. E’ normale che quelle davanti a noi sono delle corazzate costruite per fare la Champions. Ma in questo campionato basta una partita vinta o persa, un passo falso e tutto si può riaprire. Noi dobbiamo ragionare partita per partita: se ci metteremo la testa, il fisico, l’intelligenza e la determinazione nulla deve essere considerato impossibile”.
Futuro: “Io mi tengo lontano dal consueto tourbillon di questo periodo di ogni campionato. Mi sento un allenatore realizzato, perché alleno nella mia città, perché sono laziale e sono tifoso e quindi so che alla mia gente, arrivando in finale dopo aver sconfitto la Roma, ho dato molto. Poi nella vita non si sa mai”. Un sogno e i giovani italiani dal futuro sicuro: “Chi vorrei? Ce ne sono tanti. A me personalmente piace tanto Hamsik del Napoli. E’ un giocatore completo, forse, in questo, il migliore che ci sia in Italia. Giovani? Berardi, Bernardeschi sono bravissimi , sono pronti a giocare in qualsiasi squadra. Io penso che in prospettiva anche il nostro Murgia sia destinato a diventare un giocatore fondamentale. Ha dimostrato martedì di saper entrare venti minuti in un derby con grandissima personalità. Io lo sto gestendo nel migliore dei modi, davanti a lui ha giocatori importanti, ma se continua a lavorare con questa testa da atleta, come sta facendo, secondo me potrà dare grandissime soddisfazioni”.
Pippo, intanto, è a un passo dalla promozione in B con il Venezia: “Abbiamo sempre un grandissimo rapporto. E’ contento per me. Ma il più bravo secondo me tra i due è stato lui, perché dopo venticinque anni di professionismo tra Milan e Juventus, non so se un’altra persona avrebbe avuto l’umiltà di mettersi in gioco andando ad allenare in Lega Pro. Fermo restando che lui al Milan ha fatto quello che doveva fare e con la squadra che gli avevano dato secondo me ha fatto il massimo. E poi abbiamo visto che tutti gli allenatori prima e dopo non sono riusciti a fare meglio . Lui aveva fatto il suo percorso, aveva un altro anno di contratto, non è stato confermato e l’anno scorso è rimasto a guardare, a studiare. Quest’anno ha avuto una grande umiltà e un grande coraggio a rimettersi in gioco andando in Lega Pro. I fatti gli hanno dato ragione perché sta facendo un’impresa a portare, tocchiamo ferro perché mancano cinque partite dalla fine, di nuovo il Venezia in serie B”.
Secondo lei la Juve potrebbe vincere la Champions? “Vedo la Juve matura quest’anno. La vedo lunga, la vedo profonda, ha giocatori per poter cambiare in corsa. In tante partite ha dimostrato di essere una squadra matura e poi ha quel Dybala, che sa spostare gli equilibri da un momento all’altro della partita. Senza parlare di quel campione di Higuain“.