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​Lazio, basta Caicedo. Il déjà vu di Crotone che sa di Champions

“Ama il tuo sogno se pur ti tormenta”, diceva la curva del Frosinone con uno striscione all’ingresso delle squadre. Citazione di D’Annunzio, pensiero di una notte di mezzo inverno. Forse Felipe Caicedo gli ha buttato un occhio e ha ripensato al suo tormento: quell’errore di Crotone, solo davanti a Cordaz, che costò una fetta di qualificazione alla Champions. Controllo di destro, palla sul sinistro e un innocuo pallonetto. Poteva essere il gol del vantaggio, poteva rendere inutile quel drammatico Lazio-Inter.

Torna sempre quella partita nei ricordi dei laziali. L’occasione persa prima dello psicodramma dell’Olimpico. Mercoledì era arrivata la vendetta di San Siro, la notte dello Stirpe è stata invece quella della riscossa di Caicedo. Una saetta mancina al posto del cucchiaino di maggio. Un’azione identica a quella dello Scida, con Luis Alberto a fare da suggeritore al posto di Felipe Anderson. Una bomba alle spalle di Sportiello per mandare la Lazio a un punto dal quarto posto. Un deja vu e un destino da prendere in contropiede.

C’era Capuano in marcatura su di lui quel giorno e se lo è ritrovato davanti anche stavolta. Ha spostato la palla nello stesso modo e ha calciato la rabbia accumulata per mesi.

Il graffio della Pantera, il sorriso sotto quella lacrima tatuata sotto l’occhio. Incarnazione di una sofferenza giovanile ben più importante di un pallonetto sbagliato: nella sua Guayaquil, in Ecuador, ha visto morti, feriti e sparatorie. Ha visto suo padre spaccarsi la schiena vendendo noci allo stadio e sua madre pulire chilometri di pavimenti. Ha sofferto in silenzio e camminato nel fango verso la gloria. Anche grazie a un reality: “Camino a la gloria”, show del 2003 della tv ecuadoregna. Lo Stargate di Felipe per il successo. Aveva 15 anni, gli si aprirono le porte del Boca Juniors, anche se solo per uno stage. Prima tappa di una vita da giramondo, dalla Svizzera alla Russia, passando per Spagna e Abu Dhabi. Il gol come compagno non sempre fedele, una famiglia felice accanto con una moglie da copertina.

La copertina però adesso è solo per lui. Decisivo e talismano: con lui titolare la Lazio non ha mai perso in questa stagione in trasferta e solo una volta in casa (0-3 a ottobre contro l’Inter). E anche l’ultima vittoria in campionato, nel Boxing day di Bologna, era arrivata con lui dal primo minuto. Prima punta solitaria quel giorno, partner di un esausto Ciro Immobile nella notte ciociara.

E ora il futuro della Lazio potrebbe passare sempre di più dalle sue giocate. Come detto da Simone Inzaghi in conferenza stampa, Immobile ha sentito pizzicare un muscolo nel finale. Un problema che lo terrà quasi certamente fuori nell’anticipo di giovedì contro l’Empoli e che dovrà essere valutato nelle giornate successive.

A febbraio i biancocelesti si giocheranno tanto: doppia sfida di Europa League col Siviglia, l’andata della semifinale di Coppa Italia a San Siro e tre gare di campionato. C’è da agguantare un posto Champions e da inseguire due trofei.

Un lungo cammino verso la gloria. Non è un reality, ma una realtà da affrontare come un sogno. Mettendo da parte il tormento di un pallonetto ormai lontano.

“Il rimpianto è il vano pascolo di uno spirito disoccupato”, diceva D’Annunzio.

Felipe non lo scriverà su uno striscione, ma lo pensa sicuramente. E rimpianti non vuole più averne.