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“La mia Triestina suona il rock…”, nel mondo di Pavanel: “Una vita sempre a mille…”

La nostra intervista a Massimo Pavanel, allenatore della Triestina.

In numeri – Sarebbe anche riduttivo limitarsi ad enucleare tre o quattro dati per descrivere la splendida stagione della Triestina, seconda nel girone B di Serie C. E’ uno spettacolo, un luna-park, un prosimetro di emozioni e concretezza la squadra di Massimo Pavanel: miglior attacco, miglior rendimento in casa, cinquanta gol fatti, appena ventotto subiti, sette punti di distanza dalla capolista Pordenone. L’urlo della Furlan, la bellezza del mare che di questo periodo torna a riscaldar il cuore dei triestini, lo stadio Rocco, un gioiello che trasuda storia in ogni sua declinazione. Sembra un quadro bucolico, lo è! Tutto perfetto, simmetricamente ordinato: preciso ed emozionale, baroccheggiante ma concreto…Trieste.

La storia – Parte da Piazza Unità d’Italia, si affaccia sul mare, si ripara dal rigido vento con un bel sorriso, Massimo Pavanel. Osserviamo un pomeriggio intero le onde, un po’ mosse sì, in lontananza vediamo la Slovenia, non è affatto una giornata primaverile: il sole non c'è, cala fin troppo presto la sera ed è qui, però, che Trieste ti folgora con la sua magia, ti ammalia con la sua misteriosità, ti incuriosisce con la sua (non) finitezza. Trieste è un tramonto infinito, poliedrico nelle sue multi-prospettive, ognuna di per sé bellissima e affascinante. Trieste è aperta, leggiadra e buona. Come il nostro protagonista. Un buono vero. Un uomo vero. Di valori, sincero, schietto. Innamorato e appassionato, di questa splendida città e del suo lavoro.

Uno di quelli a cui la vita non ha regalato mezzo centimetro in più di quello precedentemente conquistato con sudore e fatica. Uno di quelli che per tanti, troppi anni ha atteso vanamente il sacrosanto e meritato Sabato del villaggio. Perché spesso, paradossalmente, esser persone vere e sincere è un clamoroso ostacolo nel mondo delle apparenze e del ‘sì signore’ (costi quel che costi, in primis la dignità…)… “Ma sai della mia carriera da calciatore c’è da dir molto poco (ride), un mediano che si è barcamenato undici anni in C2 e uno in C1. Sapevo di non poter ambire a molto di più e non ho vergogna nel dirlo. E’ la vita, non tutti abbiamo talento. Non tutti siamo dei privilegiati. Ma questa cosa qui, noi figli di un dio minore, non dobbiamo viverla con risentimento e repulsa bensì come stimolo in più, per fare le cose semplici, per andare in mezzo al campo o in aula all’università e dare tutto quello che abbiamo perché poi quando e se arriveremo nessuno potrà godersi quel successo come noi…L’importante è la passione, anzi è proprio fondamentale. Tendenzialmente nelle nostre esplicazioni professionali dico sempre che siamo da soli assieme alla nostra passione, se ci manca anche questa, allora diventa davvero dura…”.


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C’è un aspetto incredibile di Massimo che accende una scintilla di empatia incredibile: la sua profonda pacatezza. E poi il contenuto di ciò che dice: vero, di vita, oltre ogni filtro. C’è tanta umanità nella sua persona e nelle sue parole. Nel mondo dei calciatori super-eroi e degli allenatori semi-divinità, forse aveva ragione il nostro amato Lucio, l’impresa eccezionale è davvero l’esser normali… “Sai, ti rivelo una cosa, ho un solo grandissimo rimpianto nella mia vita…quello di non aver completato l’università. Credimi ogni volta che ci penso ho un rammarico che non so descriverti. Ripenso agli input dei miei genitori, io procrastinavo, ‘l’anno prossimo’, l’anno prossimo ancora’, quasi sentendomi giustificato dall’inutile palliativo del ‘sei bravo nel calcio, farai carriera…’. Quell’Economia Aziendale alla Ca’ Foscari di Venezia, ah che rimpianto… Sai per quale motivo soprattutto? Perché lo studio e la cultura rendono liberi, se ti crei un’alternativa puoi puntare i piedi quando vedi che le cose non sono giuste o non vanno come vorresti, puoi permetterti di dire anche qualche ‘vaffa’. Invece così no, non hai un’alternativa, hai solo questo, hai solo il calcio e devi ingoiare bocconi amari, devi stringerti la lingua, perché quello è ‘uno importante’ e anche se ti manda a quel paese tu non puoi replicare. Io glielo dico ogni giorno ai miei ragazzi…Non fate il mio stesso errore, studiate, createvi un’alternativa, non preoccupatevi di saltare un allenamento… Sapete tra quindici anni quando portate il curriculum con scritto solo ‘ho fatto per dodici anni il calciatore’ quante sportellate sui denti vi arrivano? Se non ci prendiamo la responsabilità, in primis di essere uomini liberi, dov’è il senso della nostra vita?”.

Quest’ultimo interrogativo grida riflessione. Ci impone di fermarci un attimo, un secondo a pensare, ci impone di staccar la spina dallo spesso vacuo affanno quotidiano.Ma io sono veramente un uomo libero?’.

Poi riprendiamo la nostra chiacchierata. Massimo parla della sua vita, tanti aneddoti, altrettante riflessioni… Ricordo a Fiorenzuola quando ero compagno di squadra con Fabio Paratici… partita importantissima contro il Lecco, palla ad un centrocampista avversario al limite della nostra area, io mi immolo con tutto il corpo per non farlo tirare…Fabio nel post gara viene da me e… ‘Sai Massimo, quando hai fatto quel salvataggio lì ho capito che oggi non avremmo mai e poi mai perso’…”.  Sorridiamo, ci scambiamo confidenze come se ci conoscessimo da una vita, perché è in questa semplicità la quintessenza dell’essere Massimo Pavanel… “Mah ti dico, io della mia vita ero e sono soddisfatto. Alla fine con un normalissimo stipendio da mediano di C2 son riuscito a comprarmi casa e ad aprire un negozietto con mia moglie. Non avrei potuto ambire a molto di più, bisogna accontentarsi nella vita sennò saremo condannati all’eterna infelicità”.

Camminiamo nella zona del porto, vedo che Massimo osserva ammaliato le barche. Ne commenta ogni minimo dettaglio con una dovizia tale che mi lascia essenzialmente stupefatto. Vinco il velo del reverenziale Ma sei un appassionato? Sai, fin da bambino ho sempre avuto un grande sogno nella mia vita, quello di diventare un ingegnere navale e nella fattispecie costruttore di motoscafi d’alta velocità. Avrò avuto dieci anni quando mi sedevo sulla banchina di questo porto, osservavo il mare e mi immaginavo di esser lì a planare a tutto gas in mezzo alle onde. Sognavo ad occhi aperti, ore e ore… Poi da buon mancino, un po’ estroso, sono innamorato della chitarra… Anche il cantautore non sarebbe stato male. La mia Triestina? Un bel rock potente, molto incalzante… Ecco, ora se siamo dei rockettari veri dobbiamo reagire subito domenica alla sconfitta di settimana scorsa contro l’Imolese…”.

Ben si confà genere siffatto alla vita di Massimo, sempre a mille all’ora. Ma, d’altronde, la passione non conosce sacrificio. La passione è lucida follia, è inebriante razionale. “Dai sedici ai vent’anni non ricordo di aver passato un sabato sera fuori casa a divertirmi, si doveva studiare…”. Un moto di idee, di valori e di sana schiettezza. Un moto di passione, di fantastica adrenalina… “Vivo per quella, è la mia forza propulsiva…”.

Come ad Arezzo, l’anno scorso, dopo la prodromica esperienza (eccezionale) sulla panchina della Primavera dell’Hellas Verona. Alla parola ‘Arezzo’ gli occhi di Pavanel si illuminano, brillano, diventano lucidi. Non c’è motoscafo che tenga. Solo tanti, bellissimi ricordi. In una stagione folle, senza stipendi, senza società, senza più niente e poi quella data, quel 5 maggio, cerchiato in rosso sul calendario di casa. Quel 5 maggio 2018, il giorno della salvezza (pazzesca) sul campo della Carrarese, la fine della battaglia totale“Mi viene solo da scoppiare in lacrime di gioia, nient’altro. Per la città, per quel gruppo di ragazzi fantastici, per tutte le prese in giro che abbiamo subito. Per sei mesi ogni giorno ci trovavamo un energumeno diverso che veniva al campo spacciandosi per ‘nuovo proprietario dell’Arezzo’. Matteoni, ah Matteoni, mi chiamava ‘amico’, mi diceva ‘non ti preoccupare’, avesse tirato fuori una lira… Un giorno vennero quattro fenomeni, ‘siamo i nuovi proprietari dell’Arezzo, dov’è lo stadio?’, i miei ragazzi li hanno presi e spintonati in macchina, ‘andatevene via’. Ci hanno massacrato di false promesse, ci hanno preso in giro, io mi affidavo al destino, ai miei valori di vita… ‘Perché se Qualcuno Lassù esiste noi non possiamo retrocedere. Il sudore di questi ragazzi non può retrocedere, questa città fantastica che ci è sempre stata vicino non può retrocedere’. E’ stata una prova di vita incredibile, mi viene da piangere davvero se ripenso a quel 5 maggio…”. La bellezza di sapersi emozionare, di non nascondersi dietro inutili retaggi sociali, il Super Uomo asettico di emozioni esiste solo nei migliori romanzi. Grazie Massimo per questa lezione, di vita… “Grazie Arezzo città per tutto quello che mi hai dato…”.

In estate un nuovo (vecchio) capitolo nella vita di Pavanel: il ritorno a Trieste. Perché nella vita non ci si dimentica mai ‘di quelli veri’, di quelli che mettono il cuore in tutto quello che fanno. Ci si dimentica, presto, il risultato è effimero, dei vigliacchi e dei falsi. Non degli onesti, oltre la contingenza della vittoria o della sconfitta. L’onestà vince a priori, come nei migliori proverbi delle nostre amate nonnine. Ah, se solo le ascoltassimo un po’ di più… Essere qui mi rende felice da pazzi, la Curva Furlan ogni domenica mi dà una adrenalina pazzesca, il suo boato è fantastico. La città, la società, Mauro Milanese, questi ragazzi, si è creata una simbiosi incredibile. In estate siam dovuti ripartire da zero, ma veramente ho la fortuna di avere un gruppo eccezionale. Al di là di come andrà a finire sono orgoglioso di ognuno di loro e daremo filo da torcere al Pordenone fino all’ultimissimo secondo…”.


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In conclusione – Massimo ci saluta con un sorriso affettuoso in Piazza Unità d’Italia, ricambiamo di cuore. Con il cuore in mano e senza orologio al polso, è questa l’essenza di una gita a Trieste. E’ questa l’essenza di un viaggio nel mondo, così genuino e sincero, di Massimo Pavanel…

 

Foto di Matteo Nedok