La boxe, le regole di de Boer e i pregiudizi, Ranocchia confessa: “Ho un supporto psicologico contro i fischi dei tifosi”
“Sento un pregiudizio su di me. Sembra che all’Inter non abbia vinto solo io. Ma il periodo negativo non è stato tutto e solo mio. È stato dell’Inter. In sei anni avrò visto passare un centinaio di giocatori. Oltre a tre presidenti e proprietari. Ma tutto questo cambierà”. Ne è sicuro Andrea Ranocchia che ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera in cui ha parlato del suo momento e di quello dell’Inter di Frank de Boer.
“Quello che so è che sto lavorando come un cane, al di là degli allenamenti, anche extra calcio – ha ammesso il difensore nerazzurro -. Posso solo dire che era molto tempo che non ci mettevo così tanto impegno. Credo che nella vita delle persone ci siano momenti in cui ti va tutto benissimo e si arriva all’apice. Poi arrivano le difficoltà. E lì ci sono due strade. Puoi smettere di lottare e migliorare. Oppure fai qualcosa per andare più in là. Arrivi a un punto in cui sopporti tante cose non positive. Se uso questo termine è perché a me è capitato, e ho deciso di abolire la parola “negativo”. Al massimo ci sono le cose non positive. E mi sono alzato da solo l’asticella verso cose migliori”.
Tra le cose ‘non positive’ ci sono i fischi ricevuti dai tifosi che hanno portato Ranocchia alla decisione di affidarsi ad un supporto psicologico: “Da tre mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. È lì che tiro di boxe, per esempio. E poi c’è una persona con cui parlo. Non è uno psicologo. È laureato in Fisioterapia ma è anche esperto di mental training. Parlare con lui mi è servito a capire che quasi niente nella vita è irrimediabile. E anche quello che lo è non è detto che sia un male. Puoi subire critiche, insulti, denigrazioni. Ma se lavori tantissimo, ti impegni, vesti una maglia che milioni di persone vorrebbero vestire (e sei pagato tanto per farlo), la tua famiglia sta bene: ecco, se hai consapevolezza piena di tutto questo, è meno difficile volgere in positivo le cose che non vanno. Perché questa decisione? Non c’è una ragione precisa – ha spiegato Ranocchia -. Una persona fa delle cose quando è pronta a farle. Io, per esempio, con tutto quello che mi è successo in carriera, ora so come fare a dare una mano, so che posso aiutare. Per esempio Kondogbia, che è molto introverso. Non esprime le sue emozioni, non parla molto. L’ho incoraggiato molto dopo la sostituzione nel primo tempo contro il Bologna…”.
Fischi allo stadio, critiche sui social che hanno spinto Ranocchia a mandare un messaggio di vicinanza a Montolivo dopo l’infortunio riportato in nazionale: “A Ricky ho scritto subito dopo l’infortunio e, per quanto riguarda i messaggi di quelli che gli auguravano il peggio, lui ha avuto una reazione da uomo. D’altronde, è il capitano del Milan. E da uomo intelligente. Io ho partecipato a una campagna contro il cyberbullismo, perché penso a tutti i ragazzi che non hanno la forza di reagire. Una soluzione non ce l’ho. Posso solo parlare per me, e dire che sono arrivato al punto che non è più un problema”. Ranocchia ha parlato anche del “nonnismo pesante in spogliatoio” nei suoi primi anni carriera (“I miei «persecutori»? Carrozzieri, Abbruscato e Mirko Conte nell’Arezzo, avevo 17 anni e come se non bastasse andavamo a giocare in campi terribili”) e della fascia di capitano dell’Inter che ormai non indossa più: “Non c’è stato un motivo, sono tante cose, ma non mi va di dirle adesso. Forse a fine carriera”.
Spazio poi a qualche considerazione sul cambio di allenatore sulla panchina nerazzurra: “Mancini? Con lui non ho mai litigato. Con me si è comportato bene, abbiamo sempre parlato molto, mi ha dato il via libera per andare alla Sampdoria quando volevo giocare ma è stato felice che tornassi all’Inter. Ma in ritiro si intuiva che si era rotto qualcosa”. E il presente invece dice Frank de Boer: “Ha introdotto regole ferree. Come per esempio pranzare qui, tutti insieme, prima delle partite. O far colazione se c’è l’allenamento al mattino. E poi tornare qui a dormire dopo”. I giocatori che lo hanno più impressionato all’Inter? “Quelli del Triplete, con cui ho giocato nei primi sei mesi del 2011 erano tutti di un’altra categoria psicologica e tecnica – ha ammesso Ranocchia -. A parte loro, direi Coutinho e Kovacic“. Chiusura d’intervista sulla sua voglia di nazionale (“Sì, ma non è un’ossessione. È una possibilità”) e sul suo vero obiettivo: “Che tante persone mi prendano da esempio. Non solo e non tanto per i successi, i gol, i salvataggi, i tackle. Ma per quello che ho fatto nel calcio dal punto di vista della voglia di reagire, di non farsi abbattere. E vorrei che l’esempio servisse anche a chi fa altri lavori”.