Bernardeschi, il bambino diventato grande. Con Cristiano
Un assist, un rigore procurato e una partita col cuore in gola. Al servizio di Cristiano, con testa e gambe. Il trionfo della Juve e la serata di Federico Bernardeschi
Arriva per tutti il momento di nuotare senza avere i braccioli. Quell’attimo in cui o galleggi o affoghi. Il punto dove non tocchi, l’istante in cui ti rendi conto di essere diventato grande. E allora sorridi, perché c’è tuo padre vicino a sostenerti. Ma in realtà, da quel momento, vi sosterrete a vicenda.
Federico Bernardeschi è stato buttato in mare nella notte in cui i sogni potevano naufragare. Invitato a nuotare fra le linee dal suo allenatore e spronato da Cristiano, suo “padre” sportivo. Il 7 e il 33. Il ragazzo di Carrara e l’uomo di Funchal, complici dal primo giorno. Due affamati di gloria, in missione costante. Questa volta non c’erano né scialuppe, né braccioli. E stavolta Federico ha dimostrato qualcosa a se stesso e a tutti quelli che vivono ogni giorno lottando per superarsi.
SECONDO VIOLINO E UN ESEMPIO DA SEGUIRE: BERNARDESCHI, INTELLIGENZA E CUORE
La sua serata è un grido al mondo: assist per il gol della speranza, rigore conquistato con una fuga di rabbia e di talento sulla sinistra. Lavoro infinito e capitalizzato da chi lo ha preso sotto la sua ala facendolo diventare un calciatore migliore. Ci vuole intelligenza e sacrificio per essere secondi violini. Per capire che si può salire di livello anche lasciandosi trascinare. È un’arte anche questa: Scottie Pippen nei Chicago Bulls era lo scudiero di Michael Jordan, The Edge è sempre stato nell’ombra negli U2 al servizio di Bono Vox, il Napoli correva in gruppo per Maradona. Bernardeschi ha capito che un’occasione del genere andava sfruttava. Perché se la Juve, come dice CR7, ha preso Cristiano “per fare questo”, chi gli è vicino deve seguire l’esempio.
Federico ha eguagliato i carichi di lavoro e la voglia di rischiare. Nel primo tempo ha cercato persino una rovesciata identica a quella che il suo mentore segnò allo Stadium proprio un anno fa. È andata fuori di poco e la faccia di Berna era identica a quella di Cristiano: ossessionato dalla perfezione, intransigente sull’errore. Niente sembra scalfirlo, mai. Nel finale di partita di Madrid aveva sfiorato la rete e mostrato molta più lucidità dei suoi compagni. Nessuna smorfia per essere rimasto fuori prima, solo cambi di ritmo. Quelli che ha messo per tutta la sera, facendo impazzire Simeone che non gli ha mai trovato una contromisura. A ogni ripartenza, l’urlo di uno Stadium impazzito da quella combinazione di classe e ardore. Anche loro lo hanno spinto a dare qualcosa in più. Su quel rigore che cambia la storia di una stagione e per tutta la notte. Non poteva affogare stasera il ragazzo non più bambino, così come non poteva finire con una rete la Champions di Cristiano.
DA VALENCIA ALLO STADIUM. PER TORNARE A MADRID
Non è finita, anzi. Viene in mente la scena di com’era iniziata l’avventura a settembre. A Valencia: Cristiano in lacrime per un’espulsione strana, Federico che gli corre incontro per consolarlo e gridargli piano: “Sei il numero 1”.
Cristiano lo ha dimostrato, se qualcuno avesse avuto ancora dubbi. Federico era di nuovo accanto a lui.
Questa volta le uniche lacrime sono quelle di Georgina, ma si asciugano ridendo. Nessuna espulsione dall’Europa, si continua a viaggiare. Verso Madrid, di nuovo.
Berna quella notte la sogna da quando ha iniziato a giocare. Da quando gridava il nome di Sheva da ragazzino. Un altro 7, guarda un po’.
A Natale ha regalato a Cristiano un quadro. Un ritratto di CR7, con lo sguardo da vincente. Lo stesso di Federico nella notte in cui ha tolto i braccioli e scacciato gli incubi.