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Jimenez: “Inzaghi era malato di calcio. Inter da scudetto? Chissà…”

Un cilindro poggiato in testa, una bacchetta nella mano destra. “El Mago”, è ovvio, te lo immagini così: pronto per stupire con i suoi giochi di prestigio, per lasciare a bocca aperta chi lo osserva da vicino. Ci sono maghi, però, che al palco dei teatri più rinomati hanno preferito gli stadi e le loro gradinate. Nessuna formalità né abiti da sera, la classe e l’eleganza sono quelle di chi porta sulle spalle il numero 10. 

Ci sono maghi – come Luis Antonio Jimenez – che a 36 anni hanno ancora voglia di regalare emozioni sui campi da calcio. “Ritirarmi? Non ci penso nemmeno, per ora mi sento bene. E, finché riuscirò a dire la mia, continuerò a giocare con la stessa gioia di sempre”. 


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Quattordici maglie indossate in carriera, tre continenti attraversati con il pallone tra i piedi: “Ma ora ho detto basta. Dopo una lunga esperienza tra Emirati e Qatar, sentivo il desiderio di confrontarmi con il campionato cileno. Sono tornato nella mia città, Santiago del Cile, al Palestino, la squadra che mi ha permesso di diventare un professionista. Resterò qui per almeno un altro anno, poi si vedrà”.

“Posso ritenermi un calciatore fortunato – spiega il trequartista ai microfoni di gianlucadimarzio.com -, sono sempre riuscito a far coincidere gli obiettivi personali con quelli di squadra. La qualificazione in Champions con Lazio e Fiorentina, gli scudetti con l’Inter e la salvezza di Cesena: sono tutti ricordi che custodisco con affetto”.


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IL MANCATO TRIPLETE

Almeno sulla carta, l’apice della carriera di Jimenez risale all’annata 2007-2008: dopo il terzo posto conquistato con la Lazio, si trasferisce all’Inter in prestito dalla Ternana: “I nerazzurri mi hanno permesso di esordire in Champions League, peccato non essere rimasto con loro fino alla vittoria del Triplete. Con Mourinho avevo un bel rapporto, ma fui io a chiedere di andare al West Ham: ero reduce dall’infortunio più brutto della mia carriera, mi serviva continuità per tornare al top. E all’Inter non l’avrei trovata”.


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Nei due anni trascorsi a Milano, Jimenez ha giocato al fianco di alcuni dei migliori bomber della Serie A: “Crespo, Adriano, Cruz, Balotelli… Ibrahimovic, però, è tutta un’altra cosa. Ho conosciuto tanti campioni, Zlatan però è un gradino più su. E non solo per come gioca, ma per tutto quello che è: basta vederlo in campo oggi per farsi un’idea. Ha quasi 40 anni e sembra ancora un ragazzino. Magari corre un po’ meno… però corre bene!”.


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E non si dica che è antipatico: “Dall’esterno può sembrare così, ma vi assicuro che è davvero una bella persona. Simpatico, divertente, ambizioso”. 

“MALATO DI CALCIO”

Mentre tra gli ex compagni c’è chi ancora domina sui campi di Serie A, qualcun altro – con il passare del tempo – ha dovuto… “accontentarsi” di sedere in panchina. Seppure con ottimi risultati: Simone Inzaghi era un malato di calcio, anche se quando ero a Roma non gli ho mai sentito dire che a fine carriera avrebbe voluto allenare. Ma era palese: parlava sempre e solo di pallone, voleva vedere ogni partita, vivere il calcio in ogni momento. Della sua Lazio mi piace questo: c’è tanta passione e voglia di fare bene, Simone è riuscito a trasmettere alla squadra i suoi valori.


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A proposito di Inzaghi: anche Jimenez, una volta dato l’addio al calcio giocato, vorrebbe rimanere nel mondo del pallone: “Ho già preso il patentino UEFA A, il percorso da allenatore è quello che più mi piace guardando al futuro. Tornare in Europa sarebbe un sogno, magari in Serie A… sulla panchina di una squadra dove ho già giocato. Chissà…”. È ancora presto per parlarne.


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In attesa di studiare da vicino le tattiche dei suoi futuri “colleghi”, Luis continua a godersi in tv il calcio italiano. “L’Inter ha bisogno di trovare continuità in campionato, quest’anno non si può permettere di sbagliare. Rispetto alle scorse stagioni, la Juve ha perso qualcosa e ci sono diverse squadre che ne potrebbero approfittare. I nerazzurri sono tra queste, hanno fatto un mercato importante e non devono sprecare questa chance”. 

ERIKSEN E LONGARINI


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L’impressione, al momento, è che i ragazzi di Conte siano ancora in cerca del giusto equilibrio. In attesa di scoprire il vero Eriksen: “Momento no? Non saprei, ci sono tanti fattori che potrebbero incidere sulle sue prestazioni. Il calcio italiano e quello inglese sono molto diversi, anche se la qualità di Christian non si discute. Per il bene dell’Inter, mi auguro che un giorno possa riuscire a convincere Conte: ha tutte le carte in regola per dare alla squadra una marcia in più”.


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Da Santiago del Cile a Doha, passando per Roma, Milano, Londra e Dubai. Una vita sempre in viaggio, nella continua ricerca di nuovi orizzonti. Senza mai guardarsi indietro: “Rimpianti? Nessuno, sarebbe anche inutile pensarci. Un rammarico, semmai, quello sì: avere incontrato Longarini nel mio percorso. Persone come lui fanno solo male al mondo del calcio, non portano nulla di positivo in un sport che dovrebbe essere meraviglioso”.

Una vecchia ferita, ancora aperta. Uno scontro con l'ex presidente della Ternana mai risolto, ma alla quale Jimenez è ormai abituato. Non ci pensa, continua a correre, nel frattempo si gode il suo Palestino: numero 10 sulle spalle, giocate vincenti davanti al pubblico di Santiago. La magia, quando si parla di calcio, è davvero tutta lì.


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