“Tra una settimana partirò. Sto sistemando gli ultimi dettagli burocratici e mi sto documentando riguardo il tipo di campionato che andrò ad affrontare, poi si inizia”. Pronti, partenza e… via! Tenetevi forte per la storia di un vero e proprio allenatore globetrotter del pallone. Prima Svizzera poi Lituania, Slovacchia, Congo, Nigeria e ora… Mongolia. Sì, Mongolia: avete capito bene. Il diretto interessato si chiama Marco Ragini, è un sanmarinese classe ’67 che a 28 anni ha deciso "di appendere gli scarpini al chiodo per dedicarmi alla carriera di allenatore. Ero un portiere arrivato fino alla Serie C, poi mi ruppi i legamenti e non riuscii più ad esprimermi a certi livelli. Anzi, ogni anno scendevo di due categorie! Sono sempre stato un allenatore in campo: rompevo le scatole a tutti già da giocatore! Anche quando parlava l’allenatore, l’ultima parola doveva sempre essere la mia”.
Studiando da un idolo in particolare: “Penso di dire una bestemmia ma mi piace da impazzire Bielsa per come intende il calcio. È il dio in terra per quanto concerne le conoscenze calcistiche. Una volta ne parlai anche con Guardiola e pure Pep fu d’accordo con me”. Nel mentre “avevo aperto anche un mio ufficio marketing: un’attività che portavo avanti contemporaneamente a quella di allenatore. In estate poi trascorrevo le vacanze in camp estivi con 800 – 900 bambini”. Ora invece ha fissato sul calendario una data ben precisa: 28 aprile, quando ci sarà il match d’esordio sulla panchina del Ulaanbaatar, squadra della capitale Ulan Batar. Il primo allenatore europeo di sempre della Super League mongola, grazie ad un'operazione curata da Gianluigi Marraffa, Alessio Baronchelli e Davide Stuto della Best Soccer Management”.
Storia unica, da leggere tutta d’un fiato. Soprattutto perché Ragini è reduce da due esperienze, prima in Congo all’Ujana e poi in Nigeria al Garden City, che hanno lasciato fortemente il segno in lui. In particolare nel suo cuore: “È stata l’avventura che più mi ha toccato sotto il profilo umano. Lì il 96% della popolazione vive in una situazione di povertà; il 4% invece nel lusso più totale”. Situazioni paradossali con le quali un animo sensibile fatica a convivere: “Vedere tutto ciò mi ha fatto male. C’erano madri per strada che si lasciavano cadere a terra per la disperazione e magari poco più in là vedevo passare una Lamborghini. E nonostante l’estrema povertà avevano sempre un sorriso per tutti”. Salti di gioia quando vedevano l’allenatore della loro squadra del cuore: “Quando mi riconoscevano addirittura facevano un inchino o mi posavano una mano sul cuore: sono tutti aspetti che ti rimangono dentro, davvero. Era un paese religiosissimo, poi. Prima e dopo allenamento ci radunavamo in cerchio a pregare: oltre ad essere allenatore ero diventato anche una specie di prete – ride -! I ragazzi ancora oggi quando ci sentiamo mi chiamano ‘papà’”.
E che soddisfazioni. “In Africa ho incontrato giocatori dotatissimi sia fisicamente sia tecnicamente. L’aspetto più difficile su cui lavorare è stato proprio quello tattico ma è stato anche ciò che mi ha regalato più soddisfazioni perché alla fine tanti di loro sono stati richiesti anche da campionati europei”. Un’avventura terminata però nel peggior modo possibile: “Era scoppiata la guerra civile e rimanere lì sarebbe stato troppo pericoloso: ho addirittura visto uccidere persone a pochi metri da me. Dispiace per il campionato che stavamo portando avanti visto che eravamo secondi ma non potevo rischiare”.
Ora Ragini è pronto a ripartire verso un nuovo paese ancora tutto da scoprire. “Quest’indole di voler conoscere paesi nuovi non solo tramite la televisione la porto con me fin da bambino”. Una scelta quantomeno particolare, unica. “La Mongolia mi ha sempre affascinato e può aprirmi diversi scenari anche per quanto riguarda campionati asiatici maggiori. Andrò là con la mia compagna, mi aveva seguito anche nell’esperienza in Congo dove divenne responsabile dello staff sanitario della squadra. Mi dà serenità avere la mia compagna al mio fianco, sto bene mentalmente. E non sento troppa nostalgia dell’Italia”. Con un obiettivo ben preciso: “Voglio vincere a tutti i costi il campionato visto che in carriera non sono mai riuscito a vincerne uno”. E via di calciomercato: “Col presidente ci sentiamo tutti i giorni e sto cercando di convincerlo che non servono grossi nomi ma giocatori dediti alla causa. Dal canto mio, devo essere preparato sotto ogni aspetto perché loro non vincono da tanti anni e serve una sterzata a livello tecnico. Se vinco farò un pellegrinaggio ma… ancora non so dove! Ci devo pensare”, ammette ridendo Ragini in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com.
Una scuola di allenatori, quella italiana, che all’estero non passa mai di moda: “Sono stato fermo diversi mesi e sono stato contattato quasi esclusivamente da squadre estere: la nazionale dell’Uganda, il Kukësi in Albania, una squadra lituana, una nigeriana e una in Costa D’Avorio. Lo scorso settembre mi contattarono dall’Arabia Saudita ma non ci furono i presupposti per parlarne. E non parlo di motivazioni economiche: semplicemente parlavamo due lingue calcistiche completamente diverse”. Attenzione però: momento saggezza. “Bisogna star attenti sempre a non stravolgere le abitudini locali. E ricordarsi sempre di essere ospiti in un paese nuovo... Per noi italiani, ad esempio, è importante impartire conoscenze tattiche ma non bisogna mai esagerare perché, a causa dei troppi tempi morti, può diventare controproducente”.
Ma l’Italia non avrebbe bisogno di un allenatore così, a chilometro 0? Forse si sono dimenticati di lui... “In realtà venni richiesto anche da due squadre di Serie C ma al momento di firmare… mi chiesero di portare uno sponsor! Ci rimasi male e me ne andai. Purtroppo è colpa di queste situazioni se il livello di campionati come la Serie C si è abbassato drasticamente: ci sono allenatori mediocri che allenano solo perché portano lo sponsor e a causa di ciò, per forza di cose, la qualità ne risente”. Però, un domani, chissà. “Il sogno è ovviamente allenare in Serie A anche se un campionato da cui sono particolarmente affascinato è ovviamente la Premier”. Di certo sarebbe il coronamento di una carriera spesa da globetrotter della panchina sfidando campionati e culture a dir poco uniche. L’avventura ai nastri di partenza in Mongolia docet.