“In fondo alla via c’è una scuola”. Ecco, “da lì inizia a vedersi il campo”. L’indicazione giusta. Una curva e quasi senza accorgersene ci troviamo all’interno dell’impianto sportivo. Travacò Siccomario (PV). La sede dell’Audax Travacò, Seconda Categoria lombarda. È qui dove ha avuto inizio il viaggio che ha portato Simone Verdi fino alla Nazionale. E che insieme andremo a scoprire attraverso le parole e i sentimenti di chi ha dato il via a questa avventura, in esclusiva per Gianlucadimarzio.com.
"Anche Ronaldinho stravedeva per lui. E quella volta che pianse disperato in panchina..."
Sergio Catalani è lì, appena varcato il cancello. Puntualissimo. Primo allenatore di Verdi, lui. “Simone era il più piccolo di tutti ma… in campo era incredibile: prima di andare al Milan segnò 38 gol in 24 partite”. Uomo in gamba, Sergio. Di quelli che farebbero le fortune di ogni società calcistica. “Al Milan credevano tantissimo in lui e anche Ronaldinho aveva una certa simpatia per ‘Simo’. Al ritorno dalla partita di Champions di Madrid lo volle vicino a sé sull’aereo perché stravedeva per lui”. Ma Dinho non era l’unico. “Donadoni conosceva Verdi da quando allenava gli Allievi del Milan e già lì se ne innamorò calcisticamente”. Rewind. “Tutto è iniziato qua”, riferimento alla foto di squadra appesa al muro con Verdi in prima fila. Una maglia dell’Empoli col numero 18 incorniciata. A parlare di quel bambino “pane e calcio, anzi calcio e pane” quasi si emoziona. “Il mio ruolo è stato quello di impedirgli di montarsi la testa”. Bastone e carota. Mai nessun tipo di preferenza rispetto ai compagni. “Eravamo a Casteggio (PV) e quel giorno ‘Simo’ non aveva proprio voglia di giocare. Lo sostituii dopo 10’. ‘Così non va!’. Piangeva disperato. Inconsolabile. A 7’ dal termine l’ho preso da parte: ‘Sai che il risultato non mi interessa ma se entri e non fai almeno due gol vedremo quando giocherai ancora con me…’. Entrò, segnò, prese un palo ed una traversa: più di così proprio non si poteva fare”. Gli brillano gli occhi nel rievocare certi episodi.
Per non parlare di quando ci mostra orgoglioso una foto con dedica speciale di Verdi ai tempi del Toro. “È un ’92 ma lo aggregavo coi ’90 dove giocava il fratello, Mattia: il grande faceva gli assist e Simone segnava. Che legame quei due!”. Corteggiatissimo. “In ogni campetto c’era un osservatore”. “Lo volle il Piacenza e lo sottoposero ad un provino. Fu abbastanza: subito accettato”. Esperienza che però si concluse dopo appena due mesi ma… “chiusa una porta si aprì un portone”. “Il padre di De Vito è di queste zone e, visto che suo figlio era già al Milan, disse di portare là anche Simone”. Ok, nuovo provino. “’Lasciatemelo subito’: Bertani, l’allenatore del Mian, quasi non voleva che tornasse a casa. ‘No mister, il ragazzo finisce il campionato a Travacò e poi verrà’. Alla fine ci accordammo di portare il ragazzo a Milano una volta a settimana ad allenarsi con loro”. Ah, il Milan. “Accordo firmato da me e Galliani”. Neanche il tempo di ambientarsi che “una settimana più tardi il Milan aveva in programma una partita in Portogallo. Simone non ci pensò due volte e disse al padre ‘papà prepara la borsa che vado’”. Scuola, panino, pullman messo a disposizione dal Milan e via agli allenamenti: questione di routine. “Andai a vedere un suo allenamento e un dirigente mi si avvicinò. ‘Ma Verdi è destro o sinistro?’, domandò incredulo”. Già ad 11 anni calciava indifferentemente con entrambi i piedi. Svelato l’arcano: “È destro”. Gli occhi di Sergio tradiscono le emozioni. “Cuore ricolmo di gioia”. Mai indiscreto. Legatissimi ma “preferisco non essere invadente con lui”. Anzi. “L’ho giusto chiamato per complimentarmi per la Nazionale…‘Ciao Simo mi riconosci?’. ‘Sergio, come faccio a non riconoscerti?’”, un'ultima battuta prima di salutarci. I nipoti a casa aspettano: dovere di nonno.
"Simo passa la palla se no ci tocca giocare con due palloni!"
Nel frattempo il ‘Comunale’ di Travacò si è riempito di bambini pronti per l’allenamento. Con loro arriva Giuseppe Di Salvo, il presidente. Piccolo particolare: secondo allenatore di Verdi. Cammina verso di noi, fiero. Sotto al braccio il suo album stracolmo di foto e ritagli di giornale riguardanti “quel ragazzo con un pizzico di barba in più ma con lo stesso sguardo di quando era bambino”. Che “fuori dal campo era timido ma in campo un trascinatore”. Simpatico, Giuseppe. Accento siciliano e un mondo di aneddoti. Un caffè e via, si comincia. “Che fatica per fargli capire di passare la palla! ‘Simo se fai così ci tocca giocare con 2 palloni… Si gioca in 11!’. ‘Mister io la passo ma gli altri poi la perdono…’”, racconta divertito sfogliando il suo album. “Saltava tutti come birilli. Quando aveva segnato 4-5 gol, allora passava la palla ai compagni davanti alla porta per farli segnare”. Un classico. E che gol: “Ne ricordo uno pazzesco in sforbiciata volante da fuori area”. Un unico difetto: “Ogni tanto si prendeva delle pause”. Comprensibile. “Ad un torneo vincevamo di 12-13 gol. Così dissi al mio portierino di lasciar fare un gol agli altri. Sai, mi dispiaceva vederli tristi… Peccato che all’intervallo è andato a riferirlo a Simone”. Guai. “Una furia! È venuto da me arrabbiatissimo dicendo che non dovevamo lasciar far gol a nessuno. E l’ha avuta vinta lui!”. Risata contagiosa, inevitabile.
Improvvisamente si torna seri. Purtroppo un talento come Verdi non sempre era apprezzato dagli avversari. Anzi. Colpa di alcuni genitori: “C’era chi lo osservava stupito, applaudendolo. Una volta invece ritirai la squadra perché dalle tribune qualcuno sollecitava il proprio figlio a tirargli un calcio nelle gambe…”. Episodi deplorevoli che non hanno minimamente intaccato la passione di Simone. Al contrario: “Eravamo anche vicini di casa e nelle orecchie ho ancora il rumore di quel pallone calciato continuamente contro al muro. Pensate che suo papà gli faceva sparire i palloni perché rompeva tutto!”. Nessun problema, “imperterrito costruiva una pallina con la carta dei giornali e tornava a giocare. Se non poteva farlo in casa, lo faceva al parchetto, sempre col fratello”. Per chi l’ha visto crescere non è semplice spiegare a parole cosa significhi ammirarlo in Nazionale. Figuriamoci in riferimento ad una piccola società come l’Audax Travacò. Circa un centinaio gli iscritti nelle giovanili. “È incredibile osservare i bambini che a turno entrano a vedere la maglia e le foto chiedendoci di Simone. Lo ammirano e lo seguono sempre. Addirittura è arrivata una telefonata di un ignoto a casa del nostro ds: voleva l’indirizzo della sede per inviarci un telegramma di complimenti”. Soddisfazioni. “Anche in ufficio mi chiedono di lui! Per non parlare dei miei nipoti che alla domenica da Palermo mi tengono costantemente aggiornato su Simone mentre magari io sono qui al campo”. Soprattutto considerato le qualità umane oltre che tecniche del ragazzo. “Umilissimo e gentile. Quando segnò il primo gol in Serie A scrivemmo all’Empoli complimentandoci. E lui ci mandò una letterina ringraziandoci e ricordando come tutto fosse partito da qua”.
È tempo dei saluti. Super disponibili, all’Audax Travacò. Educatori prima che allenatori. Tanto da emozionarsi ancora raccontando il talento di quel “piccoletto timido ma inseparabile dal suo pallone” capace di trasformare le lacrime per una sostituzione in gol pazzeschi. E che “nessuno riusciva a fermare”. Diventando il pupillo di Ronaldinho fino alla maglia azzurra. Orgoglio di Travacò e di tutti i piccoli del settore giovanile. Anche se qua ne sono sicuri: “Un altro come Simone non sarà semplice da trovare”.