“Fai quello che ti piace e fallo al cento per cento. Anche oltre l’impossibile”. Sono parole di vita, di coraggio e totale indifferenza verso il “male”. Questo è ciò che rimane di Sinisa Mihajlovic. Un'affermazione intrisa di sentimenti: amore e fiducia. Che solo una mentalità e un trascorso come quelli del serbo possono regalare. Affermazioni frutto di esperienze.
Così Miro Mihajlovic, figlio di Sinisa, spiega - in una recente intervista al Resto del Carlino - l'insegnamento lasciato dal padre. Perché Mihajlovic non è solo quel ragazzo che a 22 anni vince una Coppa Campioni con lo Stella Rossa. Non è solo quel mancino delizioso che segna tre gol su punizione in una partita. Non è nemmeno quel burbero calciatore fuori dagli schemi che indossa la maglia dell’Inter. Vince due Scudetti, quattro Coppe Italia, una Supercoppa Italiana. Sinisa è anche e soprattutto questo, ma il suo ricordo a un anno di distanza dalla scomparsa va oltre la banalità del campo.
La forza del passato sono i sorrisi del futuro
Sinisa è quel genitore che alleva tre figli con l’attenzione e la meticolosità che non prova mai al loro posto. Perché il destino è più forte, ma la sofferenza insegna. Un’infanzia trascorsa a badare il fratellino quando lui stesso è ancora bambino. Mamma e papà devono assicurare il futuro migliore possibile ai fratelli Mihajlovic. Trascorre i pomeriggi in un campo sconnesso, senza porte, a calciare qualsiasi cosa gli passi fra i piedi. Ricordare Mihajlovic è assistere alle atrocità della guerra fra le mura di casa. Quella che a sfociare nel fratricidio è un attimo. Basta un banalissimo confine di terra e la pazzia di pochi che si diffonde a dismisura nel dolore già pressante della povertà. L’insegnamento di Mihajlovic: vivere nonostante tutto. Alzare la testa ed estrapolare il bello dalle esperienze più laceranti. Come una malattia. Quella leucemia che affronta a viso aperto. Da quel Dall’Ara che in occasione dello scontro Champions con la Roma esporrà uno striscione a lui dedicato che occuperà tutta la Curva Bulgarelli e, forse, arriverà fino all’Ospedale Sant’Orsola. Lì dove tutti, dai medici, agli infermieri alla città al Bologna Tutti imparano chi è veramente. “Di lui mi ricorderò il coraggio, ma soprattutto della richiesta dei televisori nella sua stanza per vedere le partite. Non ne avevo mai avuta una in casa. Sinisa mi ha convinto a comprarla. Così sono diventata un’appassionata di calcio e tifosa del Bologna” – racconta la dott.ssa Bonifazi sulle colonne del Resto del Carlino interpellata per un suo ricordo.
Allenatore, non malato
Sinisa è esempio di resilienza. È l’uomo affranto dal corso della vita che non si prende mai sul serio. La sfrontatezza di presentarsi davanti alle telecamere e raccontare pubblicamente il suo male. “È una malattia coraggiosa questa leucemia se ha deciso di sfidarmi due volte”. L’essenza dell’uomo racchiusa in una frase. Quella che annuncia l’imminente secondo ricovero. Il primo messo alle spalle con l’amore della famiglia. Quella naturale, ma anche quella acquisita: il Bologna F.C. Il capoluogo emiliano la sua seconda casa. I suoi giocatori la soddisfazione più grande per chi fa il suo mestiere. Legami, gioie, dolori e sorrisi. Questo è il Bologna di Mihajlovic. Quello del ritorno in gran segreto in panchina in una gelida serata al Bentegodi di Verona perché la parola data è una legge del codice Mihajlovic.
Bologna e Sinisa: i simboli restano
Da quello della prima esperienza nel 2008 dove salva la squadra dopo averla rilevata a campionato in corso dal penultimo posto della classifica fino all’attualità. Nel Bologna di oggi ritroviamo molto del suo ex allenatore. C’è un De Silvestri che diventa leader, fuori e dentro il campo. Prodotto della scuola Mihajlovic. C’è un Orsolini che “Si è svegliato”; richieste, esortazioni e ultimatum di serba memoria. C’è un Posch che da un “Non lo conosco neanche” è oggi padrone indiscusso della corsia destra rossoblù e guai a scalzarlo. C’è uno Zirkzee al quale Sinisa concede poco spazio solo perché Arnautovic è qualcosa di più di un giocatore: “Grazie per aver creduto in me anche quando nessuno lo faceva” – scriverà l’austriaco in quel 16 dicembre del 2022. Ma “Quando sarà pronto diventerà un fenomeno. Ha qualità enormi”. Sinisa insegna che è solo questione di crederci. L’olandese assimila. Miha è la forza della provocazione, della coerenza e l’anima dissacrante di un mondo che vuole apparire fin troppo corretto. Il ricordo dell’allenatore è una Bologna che non dimentica. È una rosa intera nel cortile dell’ospedale dopo una vittoria a osannare la loro guida che assiste dalla finestra con un sorriso del quale la massima espressione sono gli occhi. Le lacrime che non usciranno mai perché l’austerità dell’uomo lo impone, ma che illuminano il viso strappando la commozione dei presenti. Condottiero, guerriero e uomo umile. Ciò che resta di Sinisa è un insegnamento profondo. Che non si impara né a scuola né all’università. Non arrendersi mai alle difficoltà e vivere sempre al massimo: “Anche oltre l’impossibile”. Bologna ricorda e piange di gioia. Perché aver conosciuto un’epoca sportiva e umana come quella segnata da Mihajlovic è icona di una città.