Pepe, un sorriso fra le cicatrici: “Nessun rimpianto, ora sono felice"
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Data: 04/04/2019 -

Pepe, un sorriso fra le cicatrici: “Nessun rimpianto, ora sono felice"

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strong>Sfortuna e infortuni da un lato, stimoli e sorrisi dall’altro: due facce opposte della stessa medaglia. Rimpianti zero, una voglia matta di tuffarsi nella sua nuova avventura. “Non ho nessun rammarico, anzi. Sarò sempre grato alla vita per quello che ho potuto raccogliere fino a questo momento. La fortuna te la crei, con il lavoro e il sacrificio, mentre la sfortuna viene fuori da sé, come se avesse il compito di ricomporre l’equilibrio originario”. Avevamo contattato Simone Pepe per parlare di pallone, ne è venuto fuori qualcosa di più.

Dopo giorni di messaggi Whatsapp, Simone ci risponde al telefono: “Dovete scusarmi ma ero in Cina per un mondialito tra ex calciatori. C’erano Totti, Zambrotta, Zaccardo, Baggio e Antonini. Tra una cosa e l’altra, ci siamo fermati lì per una settimana circa”. Adesso il rientro in Italia, per tornare al lavoro che, da ormai quasi un anno, Pepe ha deciso di fare suo: il procuratore sportivo. A trentacinque anni e mezzo, l’ex numero 7 si è ritagliato un nuovo posto nel mondo del calcio. E pensare che, a quell’età, gran parte dei suoi ex colleghi sono ancora sui campi di Serie A.

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La domanda viene da sé: senza gli infortuni, dove sarebbe potuto arrivare Simone Pepe? “Non me lo sono mai chiesto. Penso molto di più a quanto sono riuscito a fare nel giro di dieci anni. Ho giocato in Serie C, poi altri due anni in Serie B. Posso dire di aver fatto la gavetta e i sacrifici che ne derivano, per poi ritrovarmi alla Juventus, fino alla finale di Champions League”, spiega Simone ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Oltre venti presenze con la maglia della Nazionale, quattro scudetti conquistati ai tempi della Juve, “una società che ti insegna cosa vuol dire avere una mentalità vincente”. Pepe l’ha vista affondare, rialzarsi e tornare grande.

“Guardo Allegri in panchina e ripenso al modo in cui è arrivato alla Juventus. La partenza di Conte è stata un fulmine a ciel sereno, ma dopo 24 ore era già tutto risolto. Ripetere il lavoro di Antonio sembrava impossibile. invece siamo arrivati in finale di Champions League: lì capisci con chi hai a che fare. Lo comprendi dalla rapidità con cui la dirigenza è arrivata alla soluzione ideale. Conte e Allegri sono stati l’opposto, ma allo stesso tempo perfettamente funzionali per due obiettivi differenti. Il primo ci ha reso grandi, il secondo consapevoli di esserlo.

Alla base della rinascita bianconera c’è il marchio di Antonio Conte: “Considerando il momento che vivevamo, Conte era davvero l’allenatore giusto al momento giusto. Con lui arrivarono Pirlo, Vidal, Vucinic e Lichtsteiner. Un fenomeno e gli altri tre già forti e pronti per il definitivo salto di qualità. Nello spogliatoio Antonio mise subito in chiaro una cosa: o facevamo come diceva lui oppure chiunque sarebbe rimasto fuori. E il discorso valeva anche per uno come Pirlo”, spiega Simone.

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Il meglio di Conte veniva fuori nel pre-partita: “Lo vedete il campo? Ecco, per gli avversari deve essere in salita, ci ripeteva prima di scendere in campo. Dopo 30 secondi di gioco era già lì che urlava e ci richiamava, dimenandosi per farci riconoscere i nostri errori. Il giorno dopo la partita ci mostrava dei video per farci capire dove saremmo dovuti migliorare e ogni tanto qualcuno si opponeva per dire la sua. A fine riunione, però, la storia era sempre la stessa: eravamo tutti convinti del fatto che avesse ragione lui”.

Arriva Allegri e la musica cambia, “com’era giusto che fosse. Conte doveva costruire, Max era lì per consolidare una base già forte. Ci diceva sempre che eravamo forti, che ci voleva determinati, ma sopratutto pazienti e ordinati. Se sbagliavamo un gol, dovevamo restare e calmi e prepararci a un nuovo attacco. Conte, al contrario, in quei casi diventava una furia…”

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