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Serie A, ecco l’alimentazione per non infortunarsi. E non è la Mediterranea…

Il momento è delicato. Già, non siamo davanti al più lieto degli incipit, semplicemente di mezzo c’è la realtà. Nuda e cruda. Perché in Serie A, e più in generale nel calcio italiano, qualcosa non funziona come dovrebbe. Questione di tattica e vittorie? Non proprio, anche se i risultati del campo sarebbero la logica conseguenza del tema che – per primi in Italia – abbiamo deciso di portare finalmente alla ribalta: ovvero quello dei troppi e ingiustificati infortuni nel nostro campionato. Sabato 30 settembre, con la prima pubblicazione (leggi qui), avevamo analizzato diversi fattori: in particolare abbiamo spiegato scientificamente come la sfortuna non c’entri nulla con la maggior parte degli infortuni. Nel frattempo, però, nell’ultima giornata di campionato altri giocatori sono usciti dal campo con problemi fisici: da De Rossi agli altri giallorossi Pellegrini e Strootman, passando per Borriello, Grassi, Kalinic, Belotti e infine El Shaarawy proprio qualche ora fa. Nel primo articolo avevamo spiegato come gli infortuni dipendono dai troppi chilometri percorsi dai giocatori rispetto alla biologia umana. In particolare la miglior performance, farà strano leggerlo, si ottiene con molte meno ore di allenamento e con una maggiore intensità e qualità. Il tutto seguito e accompagnato da un adeguato recupero. Una condizione praticamente impossibile in un calcio così ricco di impegni e in una cultura dove – sbagliando – si pensa che i risultati si ottengano solo col duro lavoro. E a proposito, a certificare il tutto abbiamo deciso di dare spazio a una testimonianza recente. Una posizione netta e presa direttamente da Coverciano, ovvero quella di Giorgio Chiellini: “Il calcio si sta evolvendo e si va ancora più forte di anni fa perché tutto si è livellato rispetto al passato. Gli infortuni sono una conseguenza. I grandi capi decideranno cosa fare, ma si sta giocando un po’ troppo”. Ma se giocare è giustamente obbligatorio, la stessa affermazione non si può fare per gli allenamenti in settimana, troppo pesanti e inutili ai fini della perfetta forma fisica. E oggi, per andare ancora più nel dettaglio, abbiamo deciso di trattare il tema dell’alimentazione ideale per un calciatore. Attenzione, nessuna dieta e nessun regime da inventare, semplicemente in tavola scende lo stile più naturale e congeniale al genoma dell’essere umano. Scopriamolo assieme.

Ci vuole un fisico…riposato e alcalino

E così noi di GianlucaDiMarzio.com abbiamo deciso di andare oltre, facendoci strada nel nostro viaggio grazie al migliore degli alleati: la biologia umana. Non solo, con noi ha deciso di partecipare anche Claudio Tozzi, il più grande esperto di preparazione atletica sulla forza in Italia e autore di BIIOSystem, libro bestseller sull’allenamento. Tra gli allievi di Tozzi, oltre a numerosi sportivi, c’è stato anche Tiberio Ancora: attuale consultant personal trainer/nutritionist del Chelsea e uomo fidato di Antonio Conte. Non proprio un allenatore e una squadra a caso, perché il modello di allenamento Blues è uno dei pochi ad avvicinarsi alla perfezione. Come? Allenando in maniera accorta e senza sottovalutare nessun aspetto. Dal riposo, complice anche il sistema della Premier League che lascia alle squadre due giorni ‘off’, all’alimentazione. Inevitabile, dunque, partire con la più classica delle domande in materia: Claudio, ma è ma è vero che senza pane e pasta non si avrebbe l’energia per i 90 minuti?Per rispondere voglio fare una premessa doverosa, quella relativa al valore e all’incremento del VO2max, ovvero il massimo volume di ossigeno consumato per minuto. Una misura globale integrata della massima intensità di esercizio che un soggetto può tollerare per periodi di tempo abbastanza lunghi. Un parametro biologico che esprime il volume massimo di ossigeno che un essere umano può consumare nell’unità di tempo per la contrazione muscolare. In breve, più questo valore è alto nello sportivo, più l’atleta resiste alla fatica e ha maggior grado di resistenza. Attenzione però, è provato che l’allenamento può essere un fattore migliorativo solo in piccola parte”. E allora qual’è l’altro fattore determinante? “L’alimentazione.Infatti è stato scoperto come nelle popolazioni e nelle persone che non mangiano cereali (pasta in particolare, pane e farinacei contenenti glutine), zuccheri, legumi e latticini il VO2max può aumentare addirittura del 20/30/40%, il tutto a parità di allenamento, o addirittura senza fare attività fisica. Questo senza che ci sia una differenza o un maggior stimolo muscolare. Semplicemente mangiando. Questo valore più è alto e più l’atleta avrà una prestazione forte e sana. Ovviamente un più alto livello basale di VO2max è dettato dalla genetica, ma con l’allenamento (quello giusto, pesante ma con molto riposo) allora si può alzare la soglia“. E allora qual è, nel calcio, la miscela ideale tra dieta e riposo per incrementare questo valore e rendere più performante un giocatore? “Si dovrebbe prevedere almeno 2 volte a settimana di riposo totale, di stacco anche dal campo di allenamento. Non è fantascienza, è roba che fanno già in Premier League, dove guarda caso le squadre hanno meno infortuni e corrono senza sosta per tutti i 90 minuti. L’ossigeno dà la prestazione e resistenza alla fatica, e se il suo valore scende allora il muscolo va in crisi, s’indebolisce e aumenta la probabilità di infortuni, crampi e stanchezza. Il corpo quando ha una maggiore quantità di ossigeno ti dà più resistenza alla fatica, e questo – oltre al talento – è quello che fa la differenza tra un campione e un giocatore normale”. Ma quindi si può ottenere energia senza pasta e i soliti carboidrati?Assolutamente sì. Gli alimenti acidi (soprattutto la pasta, magari ancor più acidificata dalla classica passata di pomodoro) e gli zuccheri indeboliscono i muscoli, riducono e alterando i processi di ossigenazione. Non solo, cibi acidi e con glutine (in particole nei soggetti intolleranti/sensibili al glutine e non solo) possono rilasciare una proteina (la Zonulina) che rompere le “giunzioni serrate” nel rivestimento intestinale, creando un intestino permeabile: favorendo l’insorgere di affaticamento cronico e bloccando il passaggio dei nutrimenti buoni ai muscoli. Aumentando quindi la possibilità di infortunarsi“.

Questa scoperta è dimostrata dagli studi del ricercatore italiano Alessio Fasano dell’università di Baltimora Ma allora – per esempio – la classica ‘crostata con la marmellata’ prima della partita può inficiare sulla prestazione? “Certo. Anzitutto è una sostanza acida e con glutine (proprio come la pasta), e quindi interferisce sul valore di ossigeno nel corpo e aumenta la probabilità di debolezza. Aumentare il grado di assunzione di zucchero vuol dire che nella prestazione il corpo umano comincia ad utilizzarli come carburante preferito a discapito dei grassi. Ma il glicogeno intramuscolare, cioè la quantità di zucchero che puoi immagazzinare nel fegato e nei muscoli, ben che vada non dura più di un’ora. Motivo per cui la maggior parte delle squadre cala dopo il 60’’ del secondo tempo. Col passare dei minuti il corpo dovrebbe andare avanti utilizzando grassi e proteine, ma siccome durante l’anno l’atleta ha mangiato prevalentemente zucchero e cibi acidi non ha grassi sufficienti e crolla in bambola perché li ha consumati in poco tempo”. E quindi, cosa si dovrebbe mangiare? “Beh, in Italia forse è tabù dichiarare quanto segue: ovvero che le proteine e i grassi dovrebbero essere gli alimenti prevalenti nella dieta di uno sportivo e non solo, eliminando così pasta, pane farine e latticini. Semplicemente mangiando e sostituendoli col cibo che l’uomo è abituato a reperire da sempre: frutta (zuccheri comunque ricchi di minerali e con effetto alcalinizzante, non acido ma basico), carne, pesce, uova e proteine. Magari può essere buona cosa utilizzare gli zuccheri entro un’ora dalla fine della partita, con l’obiettivo di ricaricare il glicogeno perso durante la gara. Zuccheri con proteine però, dalle banane e le patate al pollo e il pesce. Oppure il riso, un carboidrato quanto meno privo di glutine. Un po’ come ha fatto Conte dalla Nazionale al Chelsea, eliminando glutine e zuccheri, aumentando così il livello di ossigeno (maggiori prestazioni e diminuendo gli infortuni). Questi alimenti naturali la natura ce li offre da sempre, soltanto negli ultimi 10.000 anni l’ uomo ha introdotto l’ agricoltura (per motivi non ancora ben chiari) che ha portato all’ utilizzo anche di “nuovi cibi” come i cereali, i legumi, latte e derivati, mai ingeriti in precedenza da nessun essere umano. Certo, per riconfigurare i nostri geni sui nuovi alimenti il nostro organismo dovrebbe farcela in almeno 20.000/30.000 anni, ma ci sarebbe un piccolissimo problema: ne sono passati “solo” 10.000…”. La dieta della Nazionale di Conte e dei Blues quindi privilegia l’asse proteine della carne – zuccheri della frutta e lascia in panchina i carboidrati forniti dal pane e dalla pasta. Niente abbuffate, ma tanti piccoli pasti durante la giornata. Emblematico, inoltre, il caso del giocatore della Germania e dello Schalke 04 Leon Goretzka, che in passato ha dovuto saltare molte partite per infortunio. Di recente però, seguendo una dieta priva di glutine, latticini, carne di maiale e noccioline, ha giocato quasi tutte le partite.

Cibo ma non solo

Ovvio, il talento, la tattica e la motivazioni sono alla base per vincere, ma sicuramente cercando di cambiare o quantomeno approfondire l’aspetto dell’alimentazione e del recupero si potrebbero prevenire la maggior parte degli infortuni e dei cali fisici durante le partite. Cibo e riposo. E di modelli buoni ce ne sono, dal Chelsea di Conte fino al Barcellona degli ultimi anni: una squadra che addirittura non faceva la preparazione pre campionato. Sì, nella prossima pubblicazione scopriremo il metodo di Seriul Lo, ex preparatore dei blaugrana e uomo fidato di Guardiola. E soprattutto parleremo anche di come gli infortuni siano Vitamina D correlati. Sì, questo argomento, praticamente sconosciuto, è sicuramente uno dei segreti per rinforzare in maniera naturale la salute di ossa e muscoli. “La Vitamina D, prodotta naturalmente dal sole, nei periodi invernali è in forte calo in tutti noi. La Sampdoria so per certo che integra ai propri giocatori dosi di Vitamina D, appunto per migliorare le performance e ridurre il rischio di infortuni. In particolare, gli studi dimostrano che un calciatore su tre ne è carente. Ma, sinceramente, penso quello della Samp sia un caso davvero raro”. Insomma, c’è ancora tanto da approfondire, e noi di GianlucaDiMarzio.com lo faremo sempre di più. Perché sì, il momento è delicato, ma forse ne potremo venire finalmente a capo. Magari in una Serie A con molti meno giocatori infortunati…