Ricostruire. I latini lo intendevano nel senso di “ripartire dalle fondamenta aggiungendo mattone dopo mattone”. Con i tempi giusti e senza saltare passaggi intermedi. Step by step. L’iter che sta seguendo Rolando Bianchi da allenatore è più o meno lo stesso. Da pochi giorni infatti è diventato il secondo di Lorenzi alla guida dell’Atalanta Under 18. Ma non è stato scelto per caso. “In questi anni ho studiato molto. Ho preso anche il patentino Uefa Pro e ho fatto un corso da direttore sportivo e match analyst. Credo che sia fondamentale prima studiare, per poi poter pensare di insegnare ai ragazzi. Non è solo un discorso tecnico, ma anche psicologico e di gestione del gruppo”.
Di giorno si studia tra libri e scrivanie, poi si va al campo a mettere in pratica. Rolando lo sa e lo ha sempre fatto. Il pallone come pensiero fisso, ma analizzato in più forme e aspetti. Anche perché quello è il suo mondo. Cambia solo la prospettiva da cui lo guarderà.
"Stando dentro, si capisce il perché il settore giovanile dell'Atalanta funzioni così"
Bianchi all’Atalanta è la chiusura perfetta di un cerchio a più di vent’anni di distanza. Nel giugno del 2000, infatti, esordiva in maglia nerazzurra a Torino contro la Juventus, dopo aver fatto tutta la trafila delle giovanili a Zingonia. Oggi è tornato li, in una veste diversa. È cambiato il suo mondo, non i colori e l’ambiente. “L’Atalanta è un settore giovanile che funziona, ma non lo scopro di certo io. Solo che quando ci lavori da dentro capisci il perché. Alle spalle c’è sempre stata una proprietà - la famiglia Percassi - che ci ha creduto fino in fondo investendo sui ragazzi”. Strutture, empatia e organizzazione come parole d’ordine. D’altronde, parlano i fatti.
“Spero di trasmettere ai ragazzi tutto quello che il mondo del calcio ha dato a me”. Durante la chiacchierata Rolando lo ripete più volte, come a voler ribadire un concetto e fissarlo in modo chiaro. Quasi fosse un debito generazionale, seguito da una grande passione e voglia di fare. “Aver vissuto un’esperienza di campo, da calciatore, per tanti anni è sicuramente un punto in più. Ma non bisogna adagiarsi, anzi non si smette mai di imparare. È necessario imparare a essere duro nei momenti giusti con i ragazzi, ma allo stesso tempo conoscerli e cercare di sfruttare al meglio le loro caratteristiche”.
"Andare a cercare il gol è la mia natura"
Già, perché il calcio lo fanno i calciatori. Bianchi ne è convinto e lo sottolinea. In fondo lo ha sempre pensato anche durante la carriera da calciatore, nonostante la prospettiva fosse diversa. “Un allenatore deve essere bravo a plasmare il suo modo di giocare a seconda dei calciatori che ha a disposizione. Così si può dire di essere completi. Io ovviamente sono all’inizio, però credo che la strada da ricercare sia quella”.
Anche se il gol lui ce l’ha nel sangue. Ne ha fatti più di 120 in carriera, sparsi tra Italia, Spagna e Inghilterra. Anche se mai nessuno con la maglia dell’Atalanta. È stato la punta del Manchester City prima dell’arrivo degli sceicchi, poi ha trovato nel Torino una seconda casa e una famiglia. “Andare a cercare il gol è la mia natura. Mi piacerebbe fare un calcio propositivo, ma tenendo sempre un equilibrio. Senza quello, in un calcio come quello di oggi, non si va da nessuna parte”.
"Spero di imparare tanto e di diventare un valore aggiunto"
Bianchi ha le idee chiare e il suo viaggio in panchina può cominciare. Anche se non ancora in prima persona, ma appena un passo indietro. “Ringrazio Lorenzi e Finardi per l’opportunità. Spero di imparare tanto e di poter essere piano piano sempre più un valore aggiunto”.
Con la speranza di vederlo esultare per un gol dell’Atalanta, cosa che non gli era mai riuscita in campo. Stavolta da protagonista. Cambierà solo la prospettiva da cui lo guarderà. Dalla scrivania al campo, tra idee di calcio e cerchi che si chiudono. Rolando è pronto a partire con la “sua” Atalanta, lì dove tutto è iniziato.