Ha indossato le maglie di alcuni dei club più prestigiosi della storia del calcio, dalla divisa del Liverpool (club in cui ha realizzato 158 gol in 274 partite) alla camiseta del Real Madrid, passando per il Manchester United. Ha fatto sognare l’Inghilterra nel Mondiale del 1998, quando da baby prodigio incantò il mondo diventando per tutti il Wonder boy, ha alzato al cielo il Pallone d’Oro del 2001: dietro una carriera da prima pagina, Michael Owen però nascondeva una sofferenza profonda nei confronti di quello sport che lo ha reso celebre in tutto il mondo.
“Nei miei ultimi sei o sette anni da giocatore odiavo il calcio. Non vedevo l’ora di ritirarmi”, un male profondo svelato dallo stesso Michael Owen nel corso di un’intervista senza filtri rilasciata a BT Sport. Un odio profondo verso quello che è stato il suo mondo, che l’ex attaccante inglese – ritiratosi nel 2013 dopo la parentesi allo Stoke City – motiva così: “Non ero più quello che segnava gol come quello all’Argentina. A quei tempi saltavo gli avversari, scattavo negli spazi, crossavo. Quello ero realmente io. Negli ultimi sei o sette anni della mia carriera mi sono trasformato soltanto nel massimo che potevo a essere: ero terrorizzato dalla possibilità di scattare quando avevo spazio e sapevo che mi sarei potuto strappare ogni volta”, ha ammesso l’ex attaccante inglese.
Scendere in campo per Owen era diventato ormai un dolore. “Il mio istinto mi diceva di giocare come sempre, perché sono nato per essere un calciatore. E invece mi ricordo delle volte in cui avevo paura che un compagno mi lanciasse in profondità. Pensavo sempre: ‘no, non farlo, ti prego, giocala corta quella palla’. Non vedevo l’ora di smettere, mi mettevo in zone del campo dove non sarei neanche dovuto essere: quello che andava in campo non ero io”, ha concluso Owen.