Il papà: Nestor Osvaldo Gomez, campione di biliardo:
Guido Gomez esulta mimando il colpo di biliardo con l'amico e compagno Antonio Palma
Tutti nella vita possiamo diventare padri, ma ci vogliono persone speciali per essere dei papà. Nestor Gomez, il papà di Guido, probabilmente lo era. L'attaccante ne parla ammaliato e commosso, senza tristezza. Nonostante sia scomparso pochi mesi fa l'insegnamento più grande che gli ha lasciato è quello di avere sempre tanta forza e non arrendersi mai. Il suo papà è e sarà sempre con lui, dalle sue parole non si può che pensarla diversamente: "Ha avuto tutto dalla vita: ha vinto due campionati italiani di coppia con mio fratello Camilo. Questo per un genitore è il massimo che può accadere. Ha vinto due titoli italiani, 18 titoli argentini oltre a quelli con mio fratello. È arrivato al massimo livello in questo sport. È diventato maestro di scuola di biliardo. Io ho visto gente iniziare a giocarci grazie a mio padre perché lui davvero è arrivato a grandissimi livelli. Era una persona piena di valori, ci ha insegnato tanto a me, alla sua famiglia e ai suoi allievi: alle persone si illuminavano gli occhi quando parlavano di lui. Non si può spiegare. Aveva sempre voglia di fare e non si lamentava mai. Quando stava male voleva sempre fare tutto lui. Banalmente: se c’era da buttare la spazzatura, nonostante non stesse benissimo, voleva andare lui. Aveva una forza dentro incredibile, questo è il ricordo più bello che mi resterà sempre di lui". La forza del papà traspare in un sorriso felice perché il suo esempio, i suoi valori non se ne sono andati con lui, anzi.
"Lo chiamavano ‘Nene’ (= bimbo) perché in Argentina a 16 anni ha vinto il suo primo campionato. Era una personalità in Argentina. Tutte le volte che tornava c’erano feste in paese e i giornali che volevano intervistarlo… era molto importante. Si è trasferito qui in Italia perché il movimento del biliardo stava andando bene e migliorava, si è trovato a suo agio ed è rimasto. Lui ha vissuto di biliardo anche perché insegnava e questo gli ha permesso di guadagnare e mantenerci. Diceva sempre che questo sport andava insegnato nelle scuole: il biliardo è matematica. Il ricordo più bello? Io gli chiedevo sempre come faceva a vincere, ad essere da tanti anni il numero 1… lui mi rispondeva che prima della gara lui era sempre agitato ovviamente, ma quando prendeva in mano la stecca era come trovarsi nel suo elemento naturale. Non aveva più motivo di essere agitato. Il segreto per fare bene, mi ripeteva, era di essere sereno". Una serenità sicuramente trasmessa anche a lui, un ragazzo che non si fa abbattere dalle ingiustizie della vita, ma anzi che guarda avanti e con fiducia al futuro. Tanto il papà 'Nene' è lì con lui anche quando esulta: "Quando segno mimo il tiro da
biliardo come faceva mio papà. L’ho sempre fatto da quando ho iniziato a giocare a
calcio". Tutto molto bello.
Guido Gomez assieme al fratello Camilo e il papà Nestor
La passione per il biliardo resta. Continua con il fratello Camilo (anche lui giocatore professionista) e in lui che quando può prende in mano una stecca e gioca anche se il biliardo è un gioco di pazienza e lui ammette di non averne molta: "Sono più uno da campo. Mi piace correre e spendermi per i compagni". Passione per il pallone manifestata molto velocemente già quando era piccolino: "Quando ero piccolo ho fatto disperare mia mamma, anzi la abbiamo fatta disperare. Mio papà di nascosto ci faceva, a me e a mio fratello, le palline con il giornale, ci passava attorno lo scotch e poi le infilava nei calzini e le cuciva così creava una palla morbida… e con mio fratello mettevamo il divano a mò di barriera e usavamo il muro come porta immaginaria. Mia mamma quando tornava a casa diventava matta. Ho perso il conto delle cose che abbiamo rotto giocando in quel modo". E chi non lo ha fatto?
Il basket, LeBron James e le Air Jordan:
"Nel tempo libero gioco, oltre che a biliardo, a Basket e a tennis. Impazzisco per la NBA, quando posso la seguo. Se non avessi giocato a calcio forse avrei fatto basket. Mi piaceva un sacco: da piccolo praticavo sia calcio che basket, ma alla fine ho scelto il calcio. Idolo? LeBron James. Mi rivedo molto in lui. Quando ha vinto uno dei primi titoli a Cleveland postò un video dove disse che aveva trionfato facendo una cosa che non era compito suo: difendere. Lui che in realtà doveva attaccare. Io anche sono così: se ho segnato e vinciamo 1-0, ma la squadra sta soffrendo e bisogna portare a casa il risultato io difendo fino alla morte". Un attaccante moderno che corre e si sbatte per lui e per i compagni. La filosofia è quella ed è una sola: vincere ad ogni costo, mollare? Mai.
Attaccante moderno e passioni moderne come quelle per le Air Jordan: "Avrò più di cento paia di scarpe. Tante? Mavà dovreste vedere il mio compagno Antonio Palma, lui è impressionante. Avrà più di trecento paia di scarpe, belle e da collezione. Alcune paia sono di venti anni fa. Non so come faccia ad averle. Penso che la passione mi sia nata da piccolino. Mio papà mi comprava sempre ogni tanto un paio di scarpe, ma mi duravano tre anni perché mettevo sempre lo stesso paio, non poteva comprarcene un paio ogni mese. E soffrivo un po’ questa cosa di dover mettere le stesse scarpe sempre tutti i giorni. Così appena ho iniziato a guadagnare qualcosina mi sono tolto lo sfizio di comprarmene tante. Cerco anche quelle limited edition, le mie preferite".
Gli idoli e il rapporto con Berardi:
Al Sassuolo gli anni migliori dal punto di vista realizzativo. Quelli in cui segnava come il 'Pipita' Higuain e il 'Matador' Cavani. I suoi idoli perché incarnano l'essenza del prototipo di attaccante ideale che vuole diventare e i modelli da seguire e da cui imparare: "Gli ho visti giocare da vicino e devo dire che Higuain mi ha impressionato tecnicamente, per come fa gol, di Cavani mi ha impressionato la rabbia che mette in campo e l’abnegazione che ci mette per difendere il risultato". Ma è di un altro che è innamorato follemente: "Quagliarella ha dei numeri pazzeschi peccato non abbia fatto di più in carriera, purtroppo quei problemi personali lo hanno un po’ penalizzato secondo me". Ma a Sassuolo non ha lasciato solo i gol, ma anche un amico con cui tutt'ora si sente, Domenico Berardi: "Abbiamo fatto gli Allievi nazionali assieme e poi la Primavera. Lui ha avuto la fortuna che alla prima squadra serviva un esterno d’attacco. Ma comunque era fortissimo, Di Francesco è stato bravo a metterlo in condizione di fare bene, ma sarebbe arrivato ad alti livelli comunque. Lo sento ancora è un personaggio… un bravissimo ragazzo, non è vero che caratterialmente è un po’ come Cassano. Lui è un ragazzo d’oro. È un po' timido. In campo faceva morire dal ridere, aveva una serenità unica. Poi era particolare: quando eravamo agli Allievi e lo chiamavano in Primavera non voleva andare perché aveva paura che i grandi gli rompessero le scatole o lo obbligassero a passargli la palla. Mi faceva morire dal ridere. Poi alla fine è andato e i grandi passavano la palla a lui".
Tante storie e tanti aneddoti, forse troppi, un fiume in piena che si perde nel mare dei ricordi e delle passioni. Lo si ascolta volentieri parlare, ma il tempo è tiranno e a riportarci alla realtà è mister Cevoli che bussa alla porta e con un sorriso paterno lo richiama all'ordine: "Fra poco inizia l'allenamento, che fai? Sei dei nostri". Subito torna sull'attenti e sveste gli abiti da Guido Gomez per trasformarsi nel 'Papu' di Renate, il bomber che segna e fa segnare una piccola-grande realtà di Serie C che punta in alto come il suo ariete.