A fine partita un uomo in maglia bianca attraversa il prato di San Siro. Ha un sorriso senza ombre e la consapevolezza di aver fatto bene il suo lavoro. Stefano Pioli è un allenatore felice. Il Milan è ancora “suo” per poche settimane, ma difficilmente negli ultimi anni c’è stato un Milan più a immagine e somiglianza di chi l’ha guidato. Equilibrio, ordine e determinazione feroce.
La forza tranquilla di un gruppo capace di venire fuori alla distanza. Correndo più degli avversari, segno anche di una condizione fisica impressionante. Manifesto di professionalità, dei giocatori e di uno staff tecnico capace di dare intensità sempre. Con l’allenamento e con i cambi decisi da Pioli: contro la Juve ci ha pensato Leao a spaccare la partita. A Roma era stato Rebic a mettere le olive sul Martini. Spinge chi entra, ma anche chi esce. Basta guardare il coinvolgimento di Ibra dalla panchina: entusiasmo e consigli per tutti, totem ed esempio.
LA FORZA MENTALE
In una settimana ha rimontato per la seconda volta un doppio svantaggio. A Ferrara aveva raggiunto il pareggio più per demerito altrui, nell’unica serata storta dopo il lockdown. Contro la Juventus ha rimontato, messo la freccia e sgasato all’arrivo. L’ultima volta che i campioni d’Italia avevano perso una partita dopo un momentaneo 0-2 era stato a Firenze, nel 2013. Quella fu una rimonta di rabbia, arrivata anche grazie alla spinta di un Franchi indemoniato. Questa volta non c’era nessuno a San Siro. E solo una squadra mentalmente superiore può trovare la forza per ribellarsi alla sconfitta e ribaltare un destino già scritto in sette minuti: Ibra, Kessié e Leao, prima dell’ennesimo gol di Rebic, il decimo dall’inizio del 2020.
LA CONSAPEVOLEZZA
Ma più che i gol sono i comportamenti a dare l’idea di questa rivoluzione serena. Un’immagine su tutte: il sorriso consapevole di Ibra dopo il rigore della speranza, subito condiviso dai compagni intorno. La sensazione di potercela fare sempre. Basti osservare la rabbia e la convinzione di un Kessié tornato ai vecchi fasti. Sicurezza, fiducia e tranquillità, parole d’ordine del “Piolismo”.
Suona male definirlo così. Lui stesso forse scrollerebbe solo le spalle, dando merito a staff e giocatori. Ma niente arriva per caso. La sua mano è tangibile su un gruppo che approda a un insperato quinto posto provvisorio. Lo fa con una straordinaria armonia tattica nel 4-2-3-1 studiato e provato a Milanello, ma lo fa soprattutto superando numeri e spifferi diventati cicloni. Rangnick è in arrivo e forse cambierà tutto.
IL MERCATO DI MALDINI DA RIVALUTARE
Anche chi ha fatto un mercato a lungo criticato, ma che oggi dà frutti evidenti: un monte ingaggi abbassato di 20 milioni, un saldo attivo di 44 milioni nella finestra invernale, gli addii ben remunerati di Suso e Piatek, l’arrivo roboante di Ibra e quello più silenzioso di Saelemaekers. Le scelte di Paolo Maldini, con la collaborazione di Boban e Massara, stanno dando valore alla rosa. Fra queste anche le scelte estive di Theo Hernandez e Bennacer, due giocatori che complessivamente oggi valgono 100 milioni. Eppure tutto questo, con tutta probabilità, non basterà a convincere la proprietà. Il distanziamento sociale imponeva la distanza sugli spalti tra l’ad Gazidis e Paolo Maldini. È la stessa lontananza ormai non più celata, quella che nel prepartita gli ha fatto ribadire l’incertezza sul suo prossimo futuro.
CARPE DIEM
Non resta che godersi il momento, anche se del domani c’è quasi certezza. Guardare i numeri delle ultime giornate: 4 gol a Lecce, secco 2-0 alla Roma e gli ultimi due trionfi, con l’unica parentesi agrodolce contro la Spal. Resta magari il rimpianto di una Coppa Italia giocata senza Ibra e con Rebic espulso dopo venti minuti. Forse neanche un trofeo avrebbe cambiato il destino. Se chiedete a Pioli cosa sarà di lui dal 3 agosto, alzerà le spalle. Ma fino a quella data, il Milan sarà “suo”. Come mai è stato di nessuno da tanto tempo. Un Diavolo sereno. Un ossimoro. Un po’ come una rivoluzione quando tutto va bene.