Lo ripetono spesso, i calciatori. “Quando smetterò voglio essere io a deciderlo, non gli altri”. Non vogliono sentirsi un peso, né essere messi alla porta. Perché quella decisione non sarà mai una decisione semplice e presa a cuor leggero: che la prendano altri, per te, non deve essere il massimo.
Di storie a lieto fine ce ne sono tante, altrettante sono culminate in addii amari, masticati, forzati.
E poi c’è una storia un po’ unica, perché ci si mette di mezzo niente meno che una pandemia: la storia di Alessandro Matri. Precisiamo: no, non è stata la surreale situazione in cui siamo piombati da ormai più di due mesi a determinare l’addio al calcio dell’ex attaccante – tra le altre – di Juventus, Cagliari e Milan. L’ultima esperienza a Brescia, infatti, si era conclusa a gennaio con una risoluzione del contratto e Matri – come aveva dichiarato a #CasaDiMarzio qualche settimana fa – stava già valutando questo scenario.
Il calcio in stand-by, però, almeno in parte ha contribuito alla decisione finale. Poche offerte, gli stimoli e le “risposte sul campo” che mancano, la voglia di “non fare più figuracce” e di “non tornare con la mentalità giusta”. E poi, quel “voglio decidere io” comune a tanti calciatori, un concetto che oggi – annunciando il ritiro a Sky Sport – Matri ha espresso in maniera ancora più chiara: “Non voglio più essere sopportato”. Così è addio, un addio in collegamento su Skype: del resto, in queste settimane ci siamo abituati a fare un po’ di tutto con uno schermo davanti. E sugli schermi ieri, 6 maggio, scorrevano le immagini del primo scudetto vinto da Matri e conquistato a Trieste una notte di otto anni fa.
Quello il periodo più luminoso della sua carriera: al posto giusto, al momento giusto. Matri arriva alla Juventus nel gennaio 2011 e mette la sua firma anche nell’amara stagione che per i bianconeri precede il ritorno alla vittoria. Tutto però cambia pochi mesi dopo con l’arrivo di Antonio Conte e con Matri che insieme a Del Piero, Vucinic, Quagliarella e Del Piero compone il multiforme attacco di cui si rivelerà, a fine campionato, il miglior marcatore (10 gol). I gol di Siena, Napoli e San Siro contro il Milan, la doppietta sotto la neve contro l’Udinese: Conte chiama, Matri risponde. E si ripeterà anche nella stagione successiva, con altri 10 gol tra campionato e Champions League e un altro titolo. La storia con la Juve finisce nel 2013 con l’arrivo a Torino di Tevez e Llorente, ma gli concede un ultimo rendez-vous: Matri torna in bianconero dal Milan, in tempo per un altro scudetto (il primo di Allegri) e – soprattutto – la zampata in finale di Coppa Italia contro la Lazio, che lui stesso definisce “il più bello perché il più importante e decisivo”.
Il Milan, il Cagliari e Massimiliano Allegri: qui i ricordi diventano agrodolci. La Sardegna è la terra dove Matri si consacra, i rossoblù la squadra con cui segna più gol (38 dei 92 in Serie A, tra il 2007 e il 2011) e dove si diverte in campo, con tanti amici. Ma è anche la piazza dove – probabilmente – non lascia un bel ricordo proprio per il suo passaggio a metà stagione alla Juventus vissuto come un tradimento dai tifosi. L’unico vero rimpianto però, come ammette lui stesso, è non aver sfruttato l’occasione con la maglia del Milan. Quella 9 che da piccolo tifoso aveva sognato e che rappresenta soltanto un’illusione suggellata da un gol. Se in bianconero è stato l’attaccante al posto giusto al momento giusto, l’esperienza rossonera necessita un cambio di aggettivo. E pensare che proprio con il Milan era arrivato l’esordio in Serie A, in una trasferta di Piacenza del 2003 ricordata soltanto perché l’ultima partita prima della finale di Manchester. Fiorentina, Lazio, Genoa, Sassuolo, altre tappe di una carriera in cui invece ha soltanto sfiorato l’azzurro della Nazionale. Una carriera che si conclude oggi in maniera surreale, tra ricordi e sogni realizzati: Matri lascia in pace con se stesso, grato per quello ciò che ha dato e ricevuto. Un nuovo capitolo da scrivere e la consapevolezza che "l'impresa eccezionale, a volte, è essere normale".