Cognome sardo e fisico da fantino. Apparenze ed etimologie che ingannano. Darsi all’ippica non è mai stato un pensiero di Manuel. “Sono nato a Genova, è la mia città. Mio nonno Tino ci arrivò da Padria, un paesino in provincia di Sassari”. Lasciò la Sardegna per cercare lavoro. Trovò quello e una città in cui vivere. Manuel è cresciuto lì. Di statura non tanto, ma quel limite è diventato la sua forza. 168 centimetri di muscoli e agilità, nessun cavallo da montare e una fascia da percorrere avanti e indietro.
Manuel Marras ha 25 anni e tanti campi di serie C sulle gambe. Sta diventando grande a Pescara, alla sua prima stagione in B. “Mi ha voluto Pillon che mi aveva già allenato ad Alessandria. Appena mi ha chiamato, ho detto subito di sì”, racconta a gianlucadimarzio.com l’esterno che l’anno scorso fece il record di assist in C col Trapani: 14. Il marchio di fabbrica. In B siamo già a 3. “È la mia specialità. Poi non mi farebbe schifo segnare anche qualche gol in più ma fare il passaggio decisivo mi dà la stessa gioia. E rende felice anche un compagno”.
Più 1 al fanta, più di un’amicizia in spogliatoio. Intanto, aspettando la prima rete personale, Manuel si gode il secondo posto di un Pescara che ha iniziato il campionato facendo le fiamme. “La sconfitta di Palermo non ci ha buttato giù, anzi. Domenica ripartiamo dall’Ascoli con la stessa fame”.
A destra molto probabilmente ci sarà sempre lui, pronto ad assistere Mancuso e Monachello. Le 3M di Pillon: “Siamo una famiglia, tutti ci teniamo a giocare ma nessuno si lamenta se sta fuori”. Lui intanto quel posto l’ha ritrovato dopo averlo perso in un esordio shock. Espulso a Cremona alla prima, non male come debutto. “Continuo a ritenerla una punizione eccessiva. Vabbè, almeno mi sono battezzato subito”.
Un incidente di percorso, pit stop di un turno poi di nuovo a sgommare sulla fascia. Assist e sacrificio. Eccola, finalmente in B, la (rin)corsa di Manuel. Partita da lontano e lanciata da suo padre Giuliano, tifoso storico del Genoa. Il primo a credere in lui. “Anche più di quanto facessi io. Quando ero piccolo, ci trasferimmo in provincia di Savona. Giocavo nel Genoa e papà si faceva certe attraversate in macchina. Devo dire soprattutto grazie a lui”.
Otto anni in rossoblù, dal 2000 al 2008, l’amicizia con El Shaarawy “uno di famiglia” e il sogno di diventare grande con la squadra del cuore. “Facevo il raccattapalle a Marassi, sentivo il boato della Nord ed ero felice con i gol di Carparelli o le giocate di Adailton. Non era un grande Genoa, ma è stata una bella infanzia”. Poi quel sogno si è chiuso bruscamente. Porta chiusa e l’esigenza di trovare una nuova tappa per il sogno. Prima Spezia, poi Rimini, Savona, il SudTirol e l’Alessandria.
Già, quell’Alessandria. La Cenerentola capace di arrivare a San Siro a giocarsi una semifinale di Coppa Italia, dopo aver eliminato Palermo, Spezia e soprattutto il Genoa al Ferraris. Gol e assist del ragazzo respinto. Una favola al quadrato. “È stato il giorno più bello della mia vita. Ho ancora i brividi a pensarci. Non mi ero lasciato bene. È stata una rivincita che porto sempre nel cuore”. Gol di sinistro e assist di destro. Sotto la Nord, chiudendo gli occhi per non vedere gli amici di una vita, poi riaprendoli. Tutto vero, chiusura di un cerchio.
Emozioni tatuate addosso. Senza inchiostro e senza tempo. La voce di Manuel sussulta ancora a pensare a quella notte di dicembre del 2015. “La più bella di tutte, anche della semifinale a San Siro”.
Due anni in Piemonte, una finale persa contro il Parma per andare in B e poi il trasferimento a Trapani. “A riabbracciare il mare, finalmente. Non glielo puoi togliere a un genovese”. Il record di assist, una promozione sfumata ai playoff contro il Cosenza ma soprattutto “il ricordo di una città incredibile che mi ha lasciato senza parole. Francesca, la mia ragazza, piangeva al momento di andare via”.
Lacrime compensate dalla chiamata del Pescara. Che niente fosse impossibile, Manuel se l’era scritto sul corpo. Tatuato a inchiostro e impresso nella mente. Il suo motto, la base di partenza per arrivare sempre più in alto. A destra col piede invertito. Una caratteristica perfetta per la Roma di Di Francesco. Un pescarese che sull’altro lato del tridente ha El Shaarawy. “Ahahah, magari. Il mio obiettivo è arrivare in serie A con il Pescara. Premio promozione? Magari un figlio con Francesca, chissà…”.
“Sognare è la vitamina della vita”, scrive sul suo profilo Instagram. La vitamina A è quella che serve per vedere bene. I compagni da mandare in rete o i traguardi ancora da raggiungere. Che iniziano e finiscono con la stessa lettera.
"A"come Ascoli, il prossimo avversario da battere. Un po’ di reggaeton da ascoltare prima della partita, “anche se quel fulminato di Antonucci mi massacra in ritiro con la trap” e via a caccia di tre punti.
"A" come obiettivo di una rincorsa partita da lontano. Come un cavallo al Palio. Come un ragazzo di Genova che sembra un fantino e non smette mai di galoppare.