L’immortalità di un innovatore romantico e degli Invincibili: Wenger e un addio all’Arsenal dopo 22 anni di storia della Premier
La fine di un’era. E di un calcio che col suo addio, forse non ci sarà davvero più. Quello degli anni ’90. Quello del suo Arsenal degli Invicibili, di Highbury e delle sfide infinite con lo Utd di Ferguson. Perché oggi Arsene Wenger ha detto basta. Dopo 1422 panchine, 2722 punti, 22 anni di permanenza e 17 titoli vinti, ha deciso di abdicare. Lasciando così momentaneamente senza successore un trono che non sarà equiparabile a quello britannico ma che, per una discreta parte dei cittadini di Londra, per diversi anni forse è valso addirittura di più. Un fulmine a ciel sereno. In particolar modo per chi, cresciuto ammirando quella squadra senza età, voltandosi indietro, realizzerà per la prima volta quanto tempo sia passato. Epoche trascorse quasi senza accorgersene: un incantesimo a cui chi ama il mondo del calcio è spesso soggetto. Un mondo nel quale il tempo scorre a velocità doppia. Tripla. Ci sarà anche chi sorriderà, certo. Ma siamo sicuri che anche i più acerrimi sostenitori del #WengerOut, prendendo atto delle reazioni di questo addio ed immaginando un futuro senza Wenger, ponendosi una mano sul cuore abbiano già cambiato partito. E pensare che questa storia semi infinita ebbe inizio quasi per caso. Quando Barbara, la moglie dell’allora vicepresidente dei Gunners, David Dein, si imbatté casualmente in Wenger nella vecchia cocktail loungedi Highbury prima di una partita casalinga nel lontano ‘89. I due iniziarono a parlare e Arsene le fece una grande impressione. Dopo il fischio d’inizio, Barbara andò a cercare il marito spingendolo ad incontrare quell’uomo conosciuto poco prima e presente quel giorno ad Highbury da spettatore poiché, la Ligue 1, dove allenava, era ferma per la pausa invernale. Dein accettò e i tre alla sera uscirono a cena insieme. Terminata la cena, decisero di giocare a fare gli attori. L’attuale manager dell’Arsenal recitò davanti a tutti Sogno di una Notte di Mezza Estate. Dein non fu colpito, di più. Percepì di aver davanti a sé la persona giusta per il futuro dell’Arsenal. Da allora si ripromise che prima o poi avrebbe voluto vedere quel signore conosciuto appena qualche ora prima sulla panchina dei Gunners. Lo corteggiò per anni, spedendogli videocassette delle partite della squadra anche quando Wenger emigrò ad allenare in Giappone. Fino a quando nel ’96, nonostante la concorrenza di Terry Venables e Johann Cruyff per la panchina dell’allora allenatore Rioch, Wenger prese le redini della squadra. Ora, col senno del poi, quella stampa scettica che nel giorno del suo approdo titolò “Arsene who?”, forse sarà un domani testimone della costruzione di una statua a lui dedicata all’esterno dell’Emirates insieme a quelle di Herbert Chapman, Henry e Adams. Immortale. “Sono grato per aver avuto il privilegio di guidare il club in tutti questi anni. Ho lavorato con impegno totale e integrità. Voglio ringraziare lo staff, i giocatori, i direttori e i fans che hanno reso questo club così speciale. Vi amerò e tiferò per voi sempre”, il comunicato apparso sul sito dell’Arsenal con le parole di Wenger, ufficializzando così il suo addio. Quasi come se qualche riga potesse cancellare 22 anni di convivenza senza batter ciglio. Impossibile. Perché quel 68enne francese con la passione per il ballo e per la politica, laureatosi in Ingegneria a Strasburgo con tanto di specialistica in Economia, è forse l’ultimo anello di congiunzione tra il ieri e l’oggi. Almeno per quanto riguarda la storia dell’Arsenal e della Premier. Dal ‘boring, boring Arsenal’ agli Invincibili dal gioco spumeggiante, dalla Premier degli inglesi al campionato più cosmopolita di sempre – nessun altro club della Premier in quegli anni aveva un manager non britannico -, da Highbury al più funzionale Emirates. Romantico, Arsene. Pensate che ha acquistato un appartamento nella zona corrispondente alla sua panchina nel vecchio stadio. Ma soprattutto innovatore. Dal momento del suo approdo sulla panchina dell’Arsenal infatti, la musica è cambiata. In primis negli atteggiamenti e nell’alimentazione dei giocatori, ritenuta sconsiderata per dei professionisti: i broccoli presero presto il posto delle barrette di Mars. Niente più junk food ma diete a base di riso bianco e pesce bollito. Bandite le gare a chi riusciva ad ingurgitare il maggior numero di budini durante i viaggi di ritorno dalle trasferte, un’usanza diffusa nell’Arsenal del pre Wenger. “Non deve accadere mai più una cosa simile”. Ma le innovazioni non riguardano solamente il cibo, anzi. Fece traslocare il centro sportivo lontano dai campi che i Gunners condividevano con gli studenti dello University College London a Sopwell House, creando un centro sportivo di ultima generazione a London Colney. Introdusse lo stretching prima e dopo i match: un esercizio ritenuto fondamentale. Ma soprattutto si distinse per la dedizione nello scouting. Henry, Vieira, Ljungberg, Robert Pires, Emmanuel Petit, Kolo Touré, Cole,Anelka, Rosicky, Robin vanPersie, Walcott, Alex Song, Cesc Fabregas ieri, Wilshere, Ramsey, Chamberlain e Bellerin oggi. E chi più ne ha, più ne metta. Tutti giocatori scovati o rivitalizzati da Wenger. Perché “all’Arsenal non compriamo superstar, le costruiamo”. Perseverante riguardo il proprio credo. Guai ad omologarsi alla Premier degli sceicchi e dei magnati spendaccioni del giorno d’oggi: non sia mai. Wenger ha sempre sborsato i soldi dell’Arsenal come se fossero suoi, nonostante ciò abbia inevitabilmente provocato un distacco dalle prime della classe. Non solo. Il francese sarebbe pronto a schierarsi apertamente a favore della tecnologia, anche se la Premier non ne vuole sapere di introdurla: “Niente VAR in Premier League? Scelta pessima”. Un innovatore capace di esaltare i propri valori ancora oggi. E di divertire. Ne siamo sicuri: la Premier dal momento del suo addio perderà qualcosa. Ne saranno dispiaciuti anche il suo rivale ed il suo nemico di sempre: rispettivamente Sir Alex Ferguson e Josè Mourinho. Avversario Ferguson, nemico Mourinho. Con quest’ultimo arrivò quasi allo scontro fisico con tanto di spintoni e parolacce il 6 ottobre 2014.Senza però mai chiudere la porta ad un’ipotetica riappacificazione: “Io sono sempre disponibile, nella vita sono aperto a tutto e non avrei alcun tipo di problema”. Con lo scozzese invece magari si ritroverà presto a discutere di calcio ricordando duelli epici, di quelli che un domani i giovani di ieri racconteranno ai propri figli e nipoti. Perché 3 Premier 7 Coppe d’Inghilterra e 7 Community Shield vinte non possono essere tradotte che con un unico termine: storia. Di un calcio che probabilmente nel momento in cui Wenger si alzerà per l’ultima volta dalla propria panchina dell’Emirates, non esisterà più. Segnando così inevitabilmente la fine di un’era.