Le storie dei calciatori, a volte, vanno oltre il puro aspetto sportivo. E Francesco Acerbi ne è certamente un esempio. Chievo, Milan, Sassuolo, Lazio, le difficoltà e la malattia. Il difensore biancoceleste, autore di una fantastica stagione, si è raccontato in una lunga intervista a L’Ultimo Uomo. A cominciare dalla morte del padre: “Io giocavo per lui. Ci teneva tanto, forse anche troppo. Credeva così tanto in me che a volte, invece di farmi bene, mi faceva male. Quando è scomparso, non avevo nessuno per cui giocare”.
L’alcol e il pensiero del ritiro
“Non avevo rispetto per me e per il mio lavoro, non avevo la testa da professionista. Spesso arrivavo alticcio al campo, dopo aver bevuto superalcolici la sera prima. Le serate non sono per forza un errore, ma io esageravo” ha proseguito Acerbi. “Non avevo paura di essere al Milan solo perché non mi fregava nulla. Volevo solo giocare e divertirmi, non mi importava della pressione. Ero un po’ ignorantello, non pensavo a fare una vita da professionista anche fuori dal campo. Pretendevo che mi facessero fare come avevo sempre fatto, ma non me lo permettevano. Perciò, davanti alle difficoltà, mollavo”.
E una volta tornato al Chievo “volevo smettere di giocare. Non trovavo più stimoli. Ne parlavo con mia madre e anche con Paloschi, che mi diceva di tenere duro”. Poi il trasferimento al Sassuolo: “Non è che sia andato lì tanto per fare, ma continuavo a fare tutto con la mia testa”.
La salvezza data dalla malattia
“Il tumore è stata la mia fortuna, ringrazio Dio per averlo avuto. Ho scoperto di averlo nel luglio 2013, appena arrivato al Sassuolo. A tre settimane dall’operazione ero già in campo. Era accaduto tutto così velocemente che continuavo a comportarmi come prima, da non professionista. Anche dopo la ricaduta di novembre, stessa storia. Al tumore reagivo bevendo e facendo serata. E continuavo a chiedermi perché la malattia non mi stesse cambiando”.
Il cambiamento, però, arriva a cancro battuto: “Un giorno avevo finito le pasticche per la nausea e chiamai il medico per farmene prescrivere altre. Mi disse che quello era il lassativo. Avevo sbagliato pastiglie, ma la nausea non la sentivo più. Significava che il tutto era passato solo grazie alla mia mente. Qualcosa stava cambiando. Mi stupivo quando dicevo che alle serate preferivo allenarmi. Cominciavo anche a sentire meno bisogno di alcol. Dopo il vino o la birra bevevo l’acqua, come se avessi dovuto depurarmi. Poi ho cominciato anche ad allontanarmi dalle persone che stavano con me solo per secondi fini”.
L’ambizione per il futuro
“Quello di oggi non è il miglior Acerbi possibile. Non voglio nessun punto d’arrivo, voglio solo pensare a migliorarmi giorno dopo giorno. Senza la malattia sarei finito in Serie B, o forse avrei smesso. Per fortuna però ho passato tutto questo, niente mi avrebbe potuto salvare. Nonostante i miei difetti, oggi sono felice della persona che sono diventato” ha concluso Acerbi.