“Din don din don din don, intervengo da La Spezia, ha segnato Bocalon”. Un coro ormai in loop, colonna sonora dell’ennesima pagina memorabile di una pazza stagione scritta, e continuamente riaggiornata, dall’Alessandria di Angelo Gregucci. Dal 2-0 all’Alto Vicentino al derby vinto contro la Pro Vercelli al “Piola”, passando per il successo di misura contro la Juve Stabia ed il magico tris di imprese in trasferta contro Palermo, Genoa e Spezia: eroi moderni del mondo grigio pronti a ricalcare le orme di chi li ha preceduti in passato, con una semifinale di Coppa Italia alle porte da giocare nientemeno che contro il Milan, proprio come 80 anni fa.
Il 31 maggio 1936, infatti, un gol segnato da Croce ai rossoneri portò l’Alessandria in finale, poi persa nettamente a Genova 5-1 contro il Torino. Scenari non ancora noti da un volto storico del club piemontese come Juan Carlos Tacchi, ex attaccante anche di Napoli e Torino, che proprio contro il Milan avrebbe avuto, poco più di 20 anni dopo, un feeling sempre più particolare per il gol. Come dimenticarlo, quello storico 3-1 del “Moccagatta” alla squadra campione d’Italia in carica nella stagione ’59-’60, fisso tra gli incancellabili ricordi dell’allora ala di Basavilbaso che, proprio in quell’occasione, fu protagonista principale del successo dei grigi. “Mio padre in quella stagione fu capocannoniere dell’Alessandria, con 8 gol segnati a fine stagione: il club poi retrocesse e lui andò a Napoli. Affrontarono alla prima giornata il Milan campione d’Italia uscente, non una cosa che capita tutti i giorni - racconta ai microfoni diGianlucaDiMarzio.com il figlio Maurizio, ripercorrendo i ricordi ed i racconti lasciatigli da papà Juan Carlos - Lo stadio è sempre rimasto lo stesso, stracolmo in ogni ordine di posto, e ci fu l’esordio di un giocatore che avrebbe fatto grandi cose come Rivera. Mio padre segnò una tripletta: già di per sé non era un attaccante puro, ma un’ala sinistra, e già fare gol non era una sua prerogativa. Farne tre addirittura alla prima giornata contro i campioni d’Italia è stato tutto dire… Mi ha sempre parlato con parecchio entusiasmo di quella partita, che ha dato però il via poi ad un’annata di difficoltà per l’Alessandria”.
Alcune immagini di Tacchi dai giornali dell'epoca, post partita contro il Milan
Un tuffo nel passato che Maurizio, ex vice allenatore di Pisa e Lecce tra le altre, ha potuto fare solamente grazie alle memorie narrate dal padre, del quale ha poi voluto ripercorrere una carriera segnata da un’altra gioia in particolare: “Lui arrivò come straniero al Torino nel ’56-’57, spendendo due anni lì ed altrettanti poi ad Alessandria. Successivamente ha chiuso la sua carriera al Napoli, dove è rimasto 7 anni ed ha vinto una Coppa Italia, scrivendo il record di unica squadra allora non di Serie A a vincere il trofeo”. L’allora “9” di quell’Alessandria si chiamava Gianni Rivera, colui che divenne poi “Golden Boy” del calcio italiano e “10” per eccellenza: “Per un po’ di tempo lui e papà hanno mantenuto i contatti, poi ognuno ha intrapreso la sua strada. Ma quando si sono rincontrati si sono sempre salutati con stima, i rapporti sono sempre stati ottimi: mio padre era del ’32 ed è stato come un fratello maggiore per Rivera in quell’annata, visto che aveva 16 anni. Non essendoci tutta quella tecnologia ai tempi, l’unica cosa possibile ai tempi per osservare uno come lui era andare allo stadio: l’Alessandria in Serie A era una realtà che avrebbe fatto una comparsa non in là nel tempo, e che andava quindi vissuta in quel modo. Ogni domenica lo stadio era sempre pieno, caloroso: anche un non intenditore di calcio avrebbe poi intuito che Rivera sarebbe diventato ciò che è diventato”.
Tacchi insieme anche a Rivera all'uscita dal campo
Un’impresa, restituita poi con lo stesso risultato dal Milan al ritorno (a San Siro segnò proprio Rivera, un anno dopo rossonero) che l’Alessandria proverà a ripetere anche in questa pazza annata, giungendo al doppio confronto con la squadra di Mihajlovic da sfavorita sì, secondo Tacchi, ma senza nulla da perdere: “Facendo l’allenatore (è stato vice di Dino Pagliari, ndr) conosco la gavetta e la Lega Pro, e posso dire che per la categoria l’Alessandria è una signora squadra. Quando si incontrano squadre di categoria superiore si raddoppiano gli stimoli, le forze, e se di base hai già una squadra buona esalti ancor di più le tue qualità. Sicuramente metterà in difficoltà il Milan sulle ali dell’entusiasmo, e lo ha dimostrato anche nella partita di ieri: credo incida molto anche la spinta che ti dà la città stessa, e la cosa più romantica sarebbe stata quella di giocare questa sfida al “Moccagatta” (andata all’Olimpico di Torino, ndr). C’è un po’ di rammarico, la città l’avrebbe vissuta anche meglio: giocare nel proprio stadio avrebbe dato più forza, e ci sarebbe stato un altro fascino indipendentemente dal guadagno e dal risultato. Ricordo il Calais, squadra non professionistica arrivata in finale di Coppa di Francia contro il Nantes: quindi perché non crederci, se sei lì? Occhio alla prima partita…”.
Ad incoraggiare la squadra di Gregucci un esempio particolare che Maurizio Tacchi ha vissuto, con un’esperienza indimenticabile, sulla propria pelle: “Ho avuto la fortuna di vincere a Napoli già in mano a De Laurentiis con il Chieti, 1-2 al San Paolo nel 2005 con 45mila spettatori sugli spalti. Il Napoli, dopo quella sconfitta, perse in casa solamente 4 anni dopo in Serie A, contro il Cagliari. I miracoli esistono e sognare non costa nulla, anzi, l’Alessandria ha tutto da guadagnare: ha sempre fatto la partita anche contro squadre di Serie A, mai giocando di rimessa e tentando di imporre sempre il proprio gioco. Poi per tutte le cose ci vuole sempre un pizzico di fortuna, ma il calcio è così”.
Una riuscita inattesa che porta l’indelebile firma di Angelo Gregucci: “La qualità della rosa è indiscutibile, ma l’impronta dell’allenatore si vede, soprattutto a livello emotivo e di gioco: i numeri parlano per Gregucci, c’è stato un grande cambio di marcia della squadra. Hanno vinto e convinto, e la possibilità di ambire alla Serie B c’è eccome. Non è il primo anno che costruiscono una squadra per vincere il campionato: l’esperienza degli anni passati sia a livello societario che tecnico è servita”.
E allora… tutti svegli: il 26 gennaio, a Torino, il sogno grigio diventerà sempre più realtà. Un’avventura che anche Maurizio avrebbe voluto vivere, magari ereditando la maglia indossata da papà: “Sarebbe stato un sogno, lo è un po' per tutti. Io e i miei due fratelli abbiamo fatto tutti i calciatori e mai nessuno è arrivato a livello di mio padre: solo Giancarlo ha giocato in A ad Avellino, mentre io ed Oscar ci siamo fermati in B. A dire il vero, sono stato tutt’ora in contatto con la dirigenza dell’Alessandria, anche in occasione del centenario del 2013: l’anno scorso ci hanno anche mandato una maglia. E mio figlio oggi, per orgoglio di ciò che ha fatto il nonno, è andato a scuola con la maglietta dell’Alessandria… Sono cose che emozionano, come vedere il settore ospiti di Marassi e La Spezia pieno: è simbolo di un calcio che non c’è più”. O che forse, proprio l’Alessandria sta contribuendo nel rilanciare grazie alla sua favola, pronta ad affrontare il Milan in una sfida dal sapore nostalgico. Con quella tripletta di Tacchi indelebilmente incisa nella storia.